Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.30928 del 29/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2644-2015 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE ACCADEMIE 47, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE NERIO CARUGNO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE LAUDANTE;

– ricorrente –

contro

B.N., M.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4177/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 28/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/05/2018 dal Consigliere ANTONELLO COSENTINO.

RILEVATO

che la signora S.G. ricorre, sulla scorta di un unico motivo, per la cassazione della sentenza con cui la corte d’Appello di Napoli, confermando la sentenza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ha rigettato la domanda proposta dal suo marito e dante causa, sig. F.D. (deceduto in corso di causa ed a cui ella è succeduta nel processo), diretta ad ottenere, previo accertamento dell’esistenza di una società di fatto tra l’attore e i due convenuti, signori B.N. e M.G., lo scioglimento di detta società (funzionale all’acquisizione, edificazione e commercializzazione di un fondo sito in Capua, località Casermette) e la liquidazione della propria quota;

che la corte partenopea ha ritenuto assente sia l’elemento oggettivo che quello soggettivo della società;

che, quanto all’elemento oggettivo, la corte di appello ha evidenziato che il fondo de quo risulta in proprietà esclusiva del solo B.N., in quanto da quest’ultimo acquistato con atto notar Ma. del 5.7.1988 senza spendere il nome della società o la qualità di socio; nella sentenza si argomenta, per un verso, l’irrilevanza dei versamenti pecuniari effettuati dal M. e dal F. in favore del B. – sostenendo che tali versamenti potevano, al più, dimostrare l’intenzione dei signori M. e F. di acquisire un mero diritto di comproprietà sul fondo – e, per altro verso, l’inesistenza di atti, adottati con la necessaria forma scritta, aventi ad oggetto il conferimento del fondo da parte del B. in favore della società di cui il F. chiedeva l’accertamento;

che, quanto all’elemento soggettivo, la corte di appello ha giudicato indimostrata l’esistenza dell’affectio societatis, intesa come comune volontà dei soci di esercitare insieme un’attività commerciale conferendo beni o servizi e dividendo utili e perdite:

che i signori B.N. e M.G. non hanno spiegato attività difensiva in questa sede;

che la causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del giorno 9 maggio 2018, per la quale non sono state presentate memorie.

CONSIDERATO

che con l’unico mezzo di ricorso la sig.ra S. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2247 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo non provata l’esistenza del contratto di società e, in particolare, l’affectio societatis;

che il motivo non può trovare accoglimento, perchè – contrariamente a quanto enunciato nella relativa rubrica – non denuncia una violazione di legge ma critica l’accertamento di fatto operato dalla corte territoriale sulla sussistenza della società di cui si discute, censurando la sentenza gravata senza rispettare il paradigma fissato dall’art. 360 c.p.c., n. 5 ma sollecitando questa Corte a rivalutare l’apprezzamento delle risultanze istruttorie complessivamente operato dal giudice di merito;

che quindi, in definitiva, la formulazione della doglianza contrasta con il consolidato principio che nel giudizio di cassazione non è consentito alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito (cfr. sent. n. 7972/07);

che quindi in definitiva il ricorso va rigettato;

che non vi è luogo a regolazione di spese, in difetto di costituzione degli intimati;

che deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma,il 9 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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