LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3403-2018 proposto da:
B.G., + ALTRI OMESSI, rappresentati e difesi dagli Avvocati FERDINANDO EMILIO ABBATE e MARA MANFREDI, nonchè l’avv.to ABBATE FERDINANDO EMILIO in proprio rappresentato e difeso dall’Avvocato MARA MANFREDI;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso il decreto n. 1751/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato il 20/06/2017, R.G.n. 155/2017 V.G., Cron.n. 154/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/09/2018 dal Consigliere SERGIO GORJAN.
FATTI DI CAUSA
B.G. ed altri otto ricorrenti ebbero a proporre istanza di riconoscimento dell’equo indennizzo per l’eccessiva durata di precedente procedimento, ex lege n. 89 del 2001, avanti la Corte d’Appello di Perugia.
Il delegato del Presidente della Corte umbra ebbe ad accogliere il ricorso e liquidare a titolo di indennizzo l’importo di Euro 1.200,00 per ciascun ricorrente oltre alle spese del procedimento.
I ricorrenti proposero opposizione avanti la Corte umbra, limitatamente alla ritenuta insufficiente misura della liquidazione delle spese del procedimento. La Corte perugina con il decreto,oggi impugnato,ebbe a rigettare l’opposizione, osservando come la tassazione era corretta stante l’applicabilità,alla specie, della voce tariffaria afferente ai procedimenti monitori.
Il B., unitamente ad altri sei ricorrenti, ha proposto ricorso per cassazione fondato su unico articolato motivo.
Il Ministero della Giustizia,regolarmente evocato,non ha resistito in questo giudizio di legittimità,mentre il ricorrente in prossimità dell’adunanza ha depositato scritto difensivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso proposto da B. ed altri s’appalesa siccome infondato e va rigettato. Con l’unico articolato mezzo d’impugnazione i ricorrenti deducono la violazione degl’artt. 91 c.p.c. e art. 2231 c.c. nonchè la liquidazione del compenso professionale in misura inferiore alla tabella forense ex D.M. n. 55 del 2014.
Con il primo profilo i ricorrenti osservano come la Corte umbra abbia errato nel ritenere applicabile,in relazione alla liquidazione delle spese nel “provvedimento originario di ingiunzione”, la voce tariffaria afferente i procedimenti monitori invece che quella afferente il giudizio contenzioso avanti la Corte d’Appello.
La doglianza non appare fondata posto che non assume alcun rilievo al riguardo la questione portata dai ricorrenti a sostegno della loro censura – anche in memoria difensiva – che pure a seguito dell’opposizione, L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter il procedimento rimane unitario come ribadito in più arresti di questa Corte Suprema.
Difatti anche nel procedimento per decreto ingiuntivo – disciplinato dal codice di rito – il procedimento, a seguito dell’opposizione, comunque ha inizio con il ricorso per l’ottenimento del decreto, portando questo la domanda oggetto di giudizio, ma un tanto non sviluppa alcuna influenza sulla tassazione dei compensi professionali, a carico della parte ingiunta, effettuata al momento dell’emissione del decreto ingiuntivo.
Difatti l’opposizione è sviluppo eventuale del procedimento avviato con la richiesta del provvedimento monitorio, sicchè la liquidazione delle spese del procedimento in esso operata ha una propria autonomia, siccome confermato da specifico arresto di questa Suprema Corte – Cass. sez. 2 n 26851/16 -.
Inoltre non appare potersi revocare in dubbio che il provvedimento, emesso dal Presidente della Corte territoriale o suo delegato L. n. 89 del 2001, ex art. 3, comma 5 abbia natura monitoria – assimilabile al decreto ingiuntivo – siccome già affermato da questa Corte – Cass. sez. 2 n 18200/15 -.
Difatti lo speciale procedimento disciplinato dalla L. n. 89 del 2001, art. 3 risulta analogo a quello codicistico afferente il decreto ingiuntivo,posto che l’esame della domanda avviene in assenza di contraddittorio ed esclusivamente sulla scorta delle allegazioni e documentazione portata dalla parte istante.
Dunque non v’è ragione alcuna per non applicare l’apposita voce della tariffa forense annessa al D.M. n. 55 del 2014 afferente i procedimenti monitori, atteso che il provvedimento ad esito della fase presidenziale, ex art. 3 legge Pinto, ha tale natura e struttura.
In sede di opposizione, che dà luogo alla fase – eventuale – contenziosa, viceversa troverà applicazione la voce tariffaria afferente le cause avanti la Corte d’Appello.
Con il secondo profilo di doglianza i ricorrenti lamentano come la liquidazione sia lesiva del disposto ex art. 2231 c.c.poichè irrisoria,siccome anche riconosciuto da arresti di questa Corte.
A parte la fattuale circostanza significativa che gli arresti evocati – anche in nota difensiva – riguardano la tassazione del compenso professionale a carico della parte soccombente in base all’applicazione della dimidiazione D.M. n. 140 del 2012, ex art. 9 abrogato, ovvero ad esito della fase contenziosa, va rilevato come la Corte umbra abbia liquidato il compenso in misura media rispetto alla specifica voce tariffaria per lo scaglione di valore sino ad Euro 5.200,00 – Euro 450,00 -.
Dunque in relazione alla specifica situazione di causa non può affermarsi che l’importo riconosciuto sia irrisorio essendo consentito al Giudice, valutata le, specifica situazione di causa in relazione all’impegno professionale effettivamente profuso,di intervenire sul compenso stabilito in tariffa nei limiti segnati dal D.M. n. 55 del 2014, art. 4 nella specie, rispettati.
Con il terzo profilo di censura i ricorrenti denunziano la mancata od inadeguata applicazione dell’aumento previsto dalla tariffa nella situazione in cui il difensore patrocina più parti, come nella specie, senza che la Corte umbra abbia al riguardo esposto motivazione circa la scelta di non applicare detto aumento ovvero di disporlo in misura diversa da quanto previsto “di regola” nella tariffa forense. Fermo restando la regola, principe a disciplina della questione – Cass. sez. 3 n 16153/10, Cass. sez. 1 n 5351/99 – che l’aumento ex art. 4 tariffa per la difesa di più parti è rimessa al potere discrezionale del Giudice con l’obbligo di motivazione, sia esplicita che implicita, della sua scelta di non applicare detto aumento, la doglianza riguarda la ritenuta insufficienza dell’aumento, comunque, disposto dal Giudice del provvedimento monitorio.
Rilevando l’utilizzo del termine “di regola” in relazione all’aumento che il Giudice “può” disporre parte impugnante reputa che il Giudice abbia anche l’obbligo di motivare la scelta di disporre, bensì, l’aumento per la difesa di più parti ma in misura inferiore rispetto a quanto stabilito in tariffa.
Tuttavia anche nella specie vale il principio ricordato in tema di riconoscimento o non dell’aumento e,nella specie, la motivazione dell’applicazione dell’aumento in misura inferiore al possibile previsto in tariffa rimane evidenziata e dalla tipologia della causa promossa risolta con provvedimento monitorio e dalla modestia del ristoro riconosciuto e dalla omologia delle posizioni che lumeggiano – come implicitamente – ritenuto dal Giudice di merito, un impegno professionale non reso più gravoso dalla difesa di più parti poichè nella medesima posizione.
La mancata costituzione dell’Amministrazione della giustizia comporta che nulla sia da provvedere circa le spese di questa lite di legittimità.
Il presente procedimento risulta esente dall’applicazione della disciplina sulla duplicazione del contributo unificato in caso di rigetto del ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Nulla per le spese.
Così deciso in Roma, nell’adunanza di camera di consiglio, il 19 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018