Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.31231 del 04/12/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6095-2017 proposto da:

B.E.A., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II, 18, presso lo studio GREZ & ASSOCIATI STUDIO, rappresentato e difeso dall’avvocato EMILIO DANIELE GENEROSO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, in persona del procuratore speciale Dott. P.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C. COLOMBO 440, studio dell’avvocato FRANCO TASSONI, rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

FALLIMENTO ***** SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3387/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 07/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/09/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA;

FATTO E DIRITTO

Considerato che:

l’amministrazione fallimentare ***** s.r.l. conveniva in giudizio l’avvocato B.E.A., esponendo che lo stesso non aveva correttamente adempiuto alle sue obbligazioni di mandatario versando nelle mani dell’amministratore unico della società allora “in bonis”, Bo.Fr., in parte in contanti in parte in assegni circolari, alcune somme di denaro ricevute, come da accordi, da una società debitrice, denominata SDA, trattenendo il compenso professionale dovutogli per l’originario mandato di recupero del credito, senza però che di tali importi risultasse traccia nelle casse sociali: chiedeva perciò la condanna alla restituzione del corrispondente;

B.E.A. controdeduceva, per quanto ancora qui rileva, che parte attrice fondava la sua domanda su una sentenza del giudice tributario e una del giudice penale, entrambe di primo grado, con cui gli era stato addebitato il mancato versamento delle correlative imposte e un concorso nell’attività distruttiva dell’amministratore, laddove tali arresti non erano passati in giudicato, mentre in seguito sarebbero stati riformati, e, inoltre, evidenziava di aver ricevuto regolare quietanza dall’allora amministratore sociale in carica;

il tribunale, davanti al quale si costituiva anche Assicurazioni Generali s.p.a. chiamata a titolo di garanzia dall’originario convenuto, accoglieva la domanda, con pronuncia confermata dalla corte di appello che rilevava come, nonostante l’esclusione di debiti erariali e l’assoluzione dall’addebito penale per carenza dell’elemento soggettivo, dichiarate dai giudici di appello in sede di giurisdizione tributaria e penale, B. era venuto meno alla media diligenza professionale esigibile, la quale avrebbe imposto la precostituzione della prova dell’esatto adempimento che non poteva ritenersi integrato dal versamento all’amministratore, personalmente, di ciò che era dovuto alla società, ferma l’inidoneità del rilascio di una quietanza a inibire la condotta distrattiva infatti poi realizzata;

la corte di appello, inoltre, dichiarava improponibile la domanda di manleva stante la pattuizione, nel contratto assicurativo, di una clausola compromissoria;

avverso questa decisione ricorre per cassazione B.E.A. formulando tre motivi;

resiste con controricorso Generali Italia s.p.a., già Assicurazioni Generali s.p.a.;

Rilevato che:

con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1188 e 1713 cod. civ., poichè la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di rilevare che la prova liberatoria data dalle quietanze pacificamente rilasciate da Bo.Fr. a nome della società nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante, avrebbe dovuto imporre la ricognizione dell’esatto adempimento della propria obbligazione di mandatario, cui non avrebbe potuto essere imputata, a protezione dei creditori sociali, la condotta distrattiva successivamente posta in essere dal Bo.;

con il secondo motivo di ricorso si prospetta, in via subordinata, la violazione degli artt. 112 e 346 cod. proc. civ., poichè la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di rilevare che l’eccezione di compromesso arbitrale sarebbe stata implicitamente disattesa dal tribunale e non riproposta come necessario dalla società interessata in secondo grado;

con il terzo motivo di ricorso si prospetta, in via di ulteriore subordine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ., comma 1, in relazione all’art. 17, comma 5, della Convenzione per l’assicurazione della responsabilità civile di avvocati e praticanti, stipulata dalle Assicurazioni Generali s.p.a. con la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza forense in rappresentanza dei suoi iscritti, facente parte del contratto individuale di assicurazione professionale coinvolto, poichè la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di rilevare che la suddetta clausola prevedeva di demandare alla sede arbitrale le sole controversie concernenti il diritto all’indennizzo ivi regolato, ovvero le controversie collettive coinvolgenti la categoria degli avvocati rappresentati dalla Cassa, e non quella individuale in questione, inoltre non introdotta d’iniziativa del singolo professionista che, nel caso, aveva diversamente chiamato l’ente assicurativo nella causa in cui era stato convenuto;

Rilevato che:

il primo motivo di ricorso è fondato, con assorbimento dei restanti;

la corte di appello è infatti incorsa nella violazione delle norme indicate, e in specie dell’art. 1188 cod. civ., comma 1, poichè come dedotto in ricorso (cfr., in particolare, pag. 21, primo capoverso) il fatto quale pacificamente accertato – ossia il pagamento nelle mani dell’allora amministratore unico della società a responsabilità limitata che, come tale, lo ha quietanzato – risulta essere stato sussunto erroneamente nella disciplina legale la quale, in effetti, diversamente prevede, all’art. 2475 bis cod. civ., che il menzionato soggetto abbia la generale rappresentanza della società, essendo quindi titolato a ricevere i pagamenti;

il collegio di merito imputa in buona sostanza al deducente, secondo quanto descritto in parte narrativa, un concorso colposo, in ottica civilistica, nella successiva condotta distrattiva, per non aver adottato modalità che avrebbero potuto impedirla assicurando meglio ed effettivamente i creditori sociali, ma l’ipotesi s’infrange nella richiamata disciplina dei poteri dell’amministratore della s.r.l., che legittimavano il riversamento allo stesso delle somme in parola;

nè questa conclusione può essere impedita dalla “macroscopica anomalia costituita dal pagamento del tutto inspiegabile in contanti… di un importo tanto elevato, ancor più facilmente distraibile” (pag. 9, ultime righe, della sentenza gravata), atteso che quelle modalità (parte in contanti, parte in assegni circolari) la medesima corte territoriale (stessa pag. 9) inferisce che ben poterono essere richieste dall’amministratore della società cui, secondo il collegio di merito, il ricorrente non avrebbe “mai dovuto cedere” non si indica, però, in base a quali poteri da opporre a quelli assegnati al legale rappresentante della società dalla norma sopra richiamata;

non essendo necessari altri accertamenti la controversia può quindi essere decisa nel merito con il rigetto dell’originaria domanda;

le spese seguono soccombenza, in applicazione del principio di causalità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda, condannando l’intimata alla rifusione delle spese processuali del ricorrente e della Generali Italia s.p.a. liquidate, per ciascuno di tali soggetti, per il primo grado in Euro 8.000,00, per il secondo grado in Euro 7.000,00, e per il giudizio di legittimità in Euro 7.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie oltre accessori legali.

Il Collegio ha deliberato la motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2018

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