LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. D’OVIDIO Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1499-2011 proposto da:
FRATELLI C. DI C.P. & C. SAS, C.A., M.A., S.R., C.P., elettivamente domiciliati in ROMA VIA GAVINANA 4, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO ANGELINI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELE TUMMINELLI;
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI COMO in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 114/2009 della COMM. TRIB. REG. di MILANO, depositata il 25/11/2009;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. ZOSO LIANA MARIA TERESA.
RILEVATO
CHE:
1. Fratelli C. s.a.s. di C.P. & C. ed i soci C.P., M.A., S.R. e C.A. proponevano distinti ricorsi avverso gli avvisi di accertamento con cui l’agenzia delle entrate aveva rettificato il reddito d’impresa della società e il reddito di partecipazione dei singoli soci in conseguenza della plusvalenza derivante dalla cessione di un ramo d’azienda.
La commissione tributaria provinciale di Como rigettava il ricorso con sentenza che era confermata dalla commissione tributaria regionale della Lombardia, la quale rilevava: che l’accertamento si fondava su quello precedentemente effettuato dall’ufficio, in applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, ai fini della determinazione dell’imposta di registro, con il quale il valore d’avviamento dell’azienda ceduta era stato rettificato in aumento mediante l’utilizzo del criterio reddituale della media dei ricavi del triennio precedente, ottenuto sulla base dei ricavi in esso conseguiti, e della moltiplicazione del risultato per il coefficiente 3, ritenuto legittimo anche dalla corte di cassazione; che, per contro, la doglianza dei contribuenti, secondo i quali l’Ufficio non aveva considerato che l’immobile aziendale era stato concesso in locazione e non trasferito in proprietà al cessionario, non consentiva di pervenire ad una diversa determinazione del valore dell’avviamento; che anche il secondo motivo d’appello, con il quale era stato dedotto che l’Ufficio non sarebbe potuto pervenire alla determinazione del maggior reddito d’impresa sulla base dell’accertamento effettuato nell’ambito dell’imposta di registro, era infondato.
2. I soccombenti hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato ad un unico motivo, cui l’agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con l’unico motivo i ricorrenti deducono violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86, al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, all’art. 116 c.p.c. e agli artt. 2697,2727 e 2729 c.c.. Sostengono, sotto un primo profilo, che la CTR ha errato nel ritenere che, ai fini dell’accertamento del reddito d’impresa, il corrispettivo della cessione fosse corrispondente al valore venale dell’azienda in comune commercio, poichè il criterio del valore venale è valevole per l’imposta di registro ma non per la determinazione della plusvalenza tassabile, che va calcolata sulla base del prezzo effettivamente conseguito; deducono, sotto altro profilo, che la CTR ha errato anche nel ritenere irrilevante, ai fini della stima del valore dell’azienda, la circostanza che l’immobile non fosse stato ceduto, ma concesso in locazione; osservano, infine, che la loro adesione all’accertamento concernente l’imposta di registro non poteva valere ai fini della determinazione del reddito da plusvalenza.
2. Con memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., i soci hanno depositato documentazione attestante la definizione della lite a norma del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, convertito dalla L. n. 111 del 2011. Questa corte ha rinviato la causa a nuovo ruolo disponendo che i ricorrenti notificassero alle altre parti, mediante elenco il deposito dei documenti relativi al condono, così come previsto dall’art. 372 c.p.c., comma 2. L’adempimento è stato effettuato e va pertanto dichiarata l’estinzione dei giudizi proposti nei confronti dell’agenzia delle entrate da C.P., M.A., S.R. e C.A., con compensazione delle spese.
3. Il ricorso proposto dalla società è fondato e va accolto nei termini che di seguito si precisano.
Va in primo luogo rilevato che il principio – in passato ripetutamente enunciato da questa Corte – secondo cui l’amministrazione finanziaria è legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro (con conseguente onere della prova incombente sul contribuente, al fine di superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato a quello coincidente con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, di dimostrare di avere in concreto venduto ad un prezzo inferiore: cfr. tra le molte Cass. n. 16254 del 2015; n. 14485 del 2009) risulta ormai superato per effetto dello ius superveniens di cui al D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, art. 5, comma 3.
A tenore della norma indicata, infatti: “Il T.U. delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 58, 68, 85 e 86, e il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5,5 bis, 6 e 7, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonchè per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347”.
La nuova disposizione normativa, ponendosi espressamente quale norma d’interpretazione autentica, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 1 comma 2, è applicabile retroattivamente.
Ne consegue che ai fini della determinazione della plusvalenza derivante dalla cessione di un’azienda, il valore dell’azienda definito ai fini della liquidazione dell’imposta di registro non costituisce più criterio presuntivo idoneo a comportare l’inversione dell’onere della prova. (cfr. Cass. n. 12265 del 2017; 6135 del 2016; 11543 del 2016).
La sentenza impugnata, che si fonda unicamente su tale presunzione, va pertanto cassata, con rinvio della causa alla CTR di Milano in diversa composizione perchè accerti se ricorrono ulteriori elementi di prova presuntiva che, unitariamente considerati, possano rivelare l’occultamento parziale del corrispettivo pattuito per la cessione.
Il giudice del rinvio liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte: dichiara estinti i giudizi relativi ai ricorsi proposti da C.P., M.A., S.R. e C.A. nei confronti dell’agenzia delle entrate e compensa le spese. Accoglie il ricorso proposto da Fratelli C. s.a.s. di C.P. & e C., cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2018