LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. CONDELLO Pasqualina Lina – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27851/2012 R.G. proposto da:
L.S., in proprio e quale socio liquidatore pro tempore della S.n.c. di L. G.& S. in liquidazione, e L.G., in proprio e quale socio della S.n.c. L. G. & S. in liquidazione, elettivamente domiciliati in Roma, presso lo studio dell’Avv. Fabrizio Resta, Viale Leonardo da Vinci n. 200, unitamente all’avv. Stefano Colalelli che li rappresenta e difende in virtù di procura a margine del ricorso introduttivo;
– ricorrente –
Contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 100/37/12, depositata il 26 aprile 2012.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 29 ottobre 2018 dal Consigliere Piccone Valeria.
RILEVATO
che:
– L.S., in proprio e in qualità di socio liquidatore della S.N.C. L. in liquidazione e L.G. in proprio e nella qualità di socio della medesima società, propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza di reiezione dell’appello avanzato nei confronti della decisione di primo grado che aveva respinto i ricorsi, riuniti, con cui erano stati impugnati tre avvisi di accertamento nei confronti della società L. per maggior reddito d’impresa IRAP e IVA nonchè dei soci S. e L.G. per recupero a tassazione maggiori redditi di partecipazione, maggior Irpef, maggiore addizionale comunale e regionale Irpef;
– il ricorso è affidato a tre motivi;
– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
CONSIDERATO
Che:
– con il primo motivo, società e soci deducono violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21;
– con il secondo motivo si denunzia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, nonchè omessa motivazione in ordine alla prova fornita dai ricorrenti di aver dichiarato negli anni 2005 e 2006 interamente i redditi e/o ricavi percepiti dal contratto di appalto concorrenti alla formazione dell’imponibile;
– con il terzo motivo si censura la decisione impugnata per violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 3 e 6;
– i tre motivi, da scrutinarsi congiuntamente per l’intima connessione, sono inammissibili;
– in virtù del principio di autosufficienza, infatti, il ricorso per cassazione deve, come noto, contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo preciso in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato, mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (ex plurimis, Cass. n. 14784 del 2015);
– nel caso di specie, da nessun elemento è consentito al giudice di legittimità evincere che le censure prospettate in sede di ricorso non rappresentino un novum inammissibile;
– parte ricorrente, infatti, sembra dedurre per la prima volta in sede di ricorso per cassazione di aver provveduto solo in un momento successivo (il riferimento è alla fattura n. ***** del ***** che non risulta depositata negli altri gradi) a procedere ad una azione forzosa nei confronti della GMR che non aveva operato il saldo delle cambiali emesse, essendosi limitata nel ricorso introduttivo ad affermare che l’omissione, commessa nel 2005, risultava sanata con la successiva emissione della fattura nel *****);
– nessun elemento è stato addotto nel ricorso introduttivo da cui possa evincersi che fosse stata prodotta documentazione – ed in quale luogo essa sia rinvenibile – che consenta di arguire il mancato incasso;
– del pari nuove, in assenza di elementi in senso contrario contenuti nel ricorso, sembrano essere la deduzione concernente la circostanza che le cambiali costituissero esclusivamente una forma di garanzia di un futuro pagamento e quella concernente a connessa correlazione tra le cambiali in oggetto e il contratto d’opera con la GMR s.r.l.;
– con particolare riguardo, poi, ad elementi documentali rilevanti quali le scritture richiamate nel ricorso introduttivo a sostegno dell’asserito diligente adempimento ai propri obblighi legali in conformità al principio della competenza economica, va rilevato che, qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonchè alla specifica indicazione del luogo, appunto, in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso (sul punto, fra le più recenti, Cass. n. 5478 del 2018);
– alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile;
– le spese seguono a soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente a pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.300,00 oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 29 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2018