LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 23348-2013 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, *****, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui uffici domicilia in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI N. 12;
– ricorrente –
contro
F.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 23, presso lo studio dell’Avvocato CINZIA DE MICHELI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO CARAPELLE, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 263/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 12/04/2013 R.G.N. 373/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/06/2018 dal Consigliere Dott. ALFONSINA DE FELICE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO GIANFRANCO, che ha concluso per l’accoglimento.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Roma, confermando la sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda del Ministero della Giustizia, rivolta a sentir accertare l’assenza di una responsabilità solidale dello stesso per i crediti retributivi e previdenziali rivendicati da F.D., dipendente della società appaltatrice Meeting Service s.p.a., aggiudicataria di un appalto da parte dello stesso Ministero.
La Corte territoriale, richiamando proprie precedenti decisioni, ha risolto la vicenda in senso sfavorevole all’appellante, accedendo a un’interpretazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 1, comma 2, svolta alla luce della Legge Delega n. 30 del 2003, art. 5 e basata sul riconoscimento della responsabilità solidale tra i soggetti del contratto di appalto, nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’esecuzione dello stesso, senza ritenere che a ciò potesse essere da ostacolo la natura pubblica del committente.
Sebbene il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 1, comma 2 sembrerebbe escludere l’applicazione dell’intero decreto legislativo alle pubbliche amministrazioni – ha affermato la Corte d’Appello – l’interpretazione della norma richiamata alla luce della legge delega imporrebbe di considerare come una endiadi la seguente formulazione “il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e… per il loro personale”, che starebbe in luogo dell’espressione “per il personale delle pubbliche amministrazioni”, determinando l’esclusione della pubblica amministrazione dall’applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003 quando la stessa opera nella veste di datore di lavoro pubblico, ma non anche nella veste di committente.
Per la cassazione della sentenza ricorre il Ministero della Giustizia con due motivi, F.D. resiste con tempestivo controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 1 e art. 29, comma 2, della L. delega n. 30 del 2003, art. 6 anche in combinato disposto con l’art. 1676 c.c… Il ricorrente sostiene che la lettera del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 1, comma 2 non ponga dubbi interpretativi riguardo all’esclusione delle pubbliche amministrazioni dal campo di applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003; censura, inoltre, la pronuncia gravata là dove questa ha ritenuto compatibile il regime di solidarietà di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2 alle pubbliche amministrazioni, tenute all’affidamento di appalti in base alla disciplina speciale contenuta nel D.Lgs. n. 163 del 2006 (codice degli appalti) e, in particolare, nell’art. 86 stesso, che prevede la possibilità per la p.a. del taglio delle offerte anomale, in cui vanno ricomprese anche eventuali previsioni di abbassamento del costo del lavoro, in violazione delle tariffe correnti.
Con il secondo motivo, formulato ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia violazione della L. n. 724 del 1994, art. 22, comma 36. Contesta il riconoscimento da parte della sentenza impugnata del diritto, in capo all’odierno controricorrente, al pagamento degli accessori, sostenendo che la statuizione conseguirebbe all’erronea inclusione degli accessori, ex art. 429 c.p.c., nei trattamenti dovuti a titolo di responsabilità solidale da parte della p.a.
I motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, meritano accoglimento.
Questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi in merito alla questione proposta dal ricorso in esame, affermando il principio di diritto secondo cui “In materia di appalti pubblici, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 1, comma 2, non è applicabile alle pubbliche amministrazioni la responsabilità solidale prevista dall’art. 29, comma 2 richiamato decreto, dovendosi ritenere che il D.L. n. 76 del 2013, art. 9 conv. con modif. nella L. n. 99 del 2013, nella parte in cui prevede la inapplicabilità del suddetto art. 29 ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1 non abbia carattere di norma d’interpretazione autentica, dotata di efficacia retroattiva, avendo solo esplicitato, senza innovare il quadro normativo previgente, un precetto già desumibile dal testo originario del richiamato art. 29 e dalle successive integrazioni.” (Cass. n.20327 del 2016; cfr. anche Cass. n. 10844 del 2018; Cass. n. 10644 del 2016; Cass. n.10731 del 2016; Cass. n. 15432 del 2014).
Gli scritti difensivi delle parti non prospettano argomenti che possano indurre a disattendere l’orientamento sopra richiamato, al quale va data continuità, poichè le ragioni indicate a fondamento dei principi affermati, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., sono integralmente condivise dal Collegio.
In definitiva, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata. Non essendo necessari altri accertamenti di fatto la causa va decisa nel merito con il rigetto della domanda proposta nei confronti del Ministero della Giustizia. L’assenza di orientamenti univoci della giurisprudenza di merito e l’orientamento di questa Corte successivo alla proposizione del ricorso giustificano l’integrale compensazione delle spese.
Si dà atto che non sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda. Compensa integralmente le spese del processo.
Così deciso in Roma, all’Udienza Pubblica, il 26 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018