LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5827-2013 proposto da:
S.E., C.F. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE 49, presso lo studio dell’avvocato BENIAMINO MARIANO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ENZA MARIA ACCARINO GAETANO DI GIACOMO, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.
*****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO e EMANUELE DE ROSE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 415/2012 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 13/08/2012, R.G.N. 1172/2011.
RILEVATO
CHE:
la Corte d’Appello di Salerno, accogliendo con sentenza n. 415/2012 il gravame avverso la sentenza del locale Tribunale, ha respinto l’opposizione a cartella esattoriale per crediti I.N.P.S. proposta da S.E.;
la Corte territoriale riteneva che la prescrizione del credito fosse decennale, per esservi stata denuncia da parte del lavoratore, e non quinquennale come sostenuto dal primo giudice e sosteneva che la mancanza di opposizione avverso il verbale notificato rendesse definitivo l’accertamento;
in ogni caso, si affermava nella sentenza, erano mancate compiute censure di merito, anche per l’inidoneità della transazione, su cui faceva leva il ricorrente, ad assumere un qualche valore in suo favore, riguardando essa il giudizio tra i protagonisti della vicenda lavorativa (il lavoratore rispetto al quale vi sarebbe stato l’omesso versamento contributivo e la ditta datrice) e rispondendo la medesima a sole esigenze di eliminazione del contenzioso;
il S. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, resistiti dall’I.N.P.S..
CONSIDERATO
CHE:
il primo motivo ed il secondo motivo di ricorso sono destinati alla denuncia di vari asseriti errori processuali comportanti (primo motivo) la violazione degli artt. 101,102 e 331 c.p.c., per non esservi stata pronuncia sul difetto di contraddittorio in appello rispetto al concessionario della riscossione ed alla società di cartolarizzazione dei crediti I.N.P.S., nonchè incentrati (secondo motivo) sull’asserita inidoneità della procura generale alle liti rilasciata per il grado di appello al difensore dell’ente ad esprimere un’autorizzazione rispetto alla proposizione dell’appello;
entrambi i motivi sono infondati;
l’assunto in ordine alla necessità di estendere il contraddittorio in appello verso il concessionario della riscossione è infondato, in quanto “nel giudizio di opposizione a cartella esattoriale, notificata dall’istituto di credito concessionario per la riscossione di contributi previdenziali pretesi dall’INPS, la legittimazione passiva spetta unicamente a quest’ultimo ente, quale titolare della relativa potestà sanzionatoria, mentre l’eventuale domanda in opposizione, attinente a tale oggetto, formulata contestualmente anche nei confronti del concessionario della gestione del servizio di riscossione tributi, deve intendersi come mera “denuntiatio litis” che non vale ad attribuirgli la qualità di parte” (Cass. 11 novembre 2014, n. 23984);
l’assunto in merito alla qualità di litisconsorte necessario in capo alla società di cartolarizzazione dei crediti I.N.P.S., sulla base del disposto della L. n. 448 del 1998, art. 13, comma 8 comunque, per avere corso, necessiterebbe della prova dell’intervenuta cessione alla predetta società di tali crediti (Cass. 11 novembre 2009, n. 26038), profilo rispetto al quale la stessa parte ricorrente nulla adduce; d’altra parte il coinvolgimento di tali enti nel processo di primo grado non comporta alcuna conseguenza rispetto al secondo grado di giudizio, atteso che nè la preposizione alla riscossione, nè, in assenza di prova di cessione dei crediti, la sola qualifica di soggetto preposto ai crediti I.N.P.S. cartolarizzati, determinano palesemente alcuna situazione di inscindibilità di causa;
è infondato altresì l’assunto secondo cui la proposizione dell’appello avrebbe necessitato dell’autorizzazione, in quanto gli organi rappresentativi dell’I.N.P.S. hanno il potere di agire in giudizio a nome dell’ente “senza necessità di una delibera in tal senso del consiglio di amministrazione, in mancanza di una specifica previsione normativa o statutaria, in quanto un’autorizzazione dell’organo collegiale è prescritta in via generale soltanto per gli enti pubblici territoriali” (Cass. 27 luglio 1995, n. 8211);
inoltre neppure vi sono ragioni, a fronte dell’indicazione nell’atto di appello degli estremi della procura notarile ed in mancanza di più specifiche contestazioni, per sostenere che il difensore dell’ente previdenziale fosse privo di regolare mandato alle liti;
con il terzo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e di “ogni norma e principio di valutazione del materiale probatorio”, nonchè difetto di motivazione su punti decisivi della controversia, rimarcandosi come la Corte d’Appello avesse dato prevalenza ai dati ispettivi, trascurando quanto emerso nel (diverso) processo tra lavoratore (cui ineriva la pretesa contribuzione) e datore di lavoro ed errando altresì nell’avere ritenuto che la prescrizione del credito fosse stata efficacemente interrotta;
rispetto alla prescrizione, il motivo è del tutto carente di specificità e quindi inammissibile per contrasto con l’art. 366 c.p.c., n. 4, non adducendosi neppure con quali atti ed in quali momenti si sarebbe verificato l’effetto interruttivo affermato;
rispetto al merito, quella proposta è una diversa lettura delle risultanze istruttorie, nonchè una revisione delle valutazioni e del convincimento raggiunti, sulla base di apprezzamenti non implausibili, dal giudice di secondo grado (v. il rilievo puramente conciliativo da attribuire agli accordi definitori del contenzioso tra lavoratore e impresa), il tutto al fine di ottenere una nuova e diversa pronuncia sull’oggetto sostanziale del contendere, il che è certamente estraneo alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148);
il ricorso va quindi integralmente rigettato ed a ciò segue la condanna del S. a rifondere alla controparte le spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018
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