LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9850-2017 proposto da:
L.S., in proprio e quale erede di L.M. e LA.MA., C.C. in proprio e quale erede di LA.MA., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DEL FANTE, 2, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE TREMOLANTI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO SELMI giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante Dr.ssa C.A.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ROMEO ROMEI 27 presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO ROMAGNOLI che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI DINI giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
L.G.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1490/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 19/10/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/09/2018 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI.
RILEVATO IN FATTO
1. La Corte di appello di Firenze con sentenza n. 1490/2016 in parziale accoglimento dell’appello proposto da C.C., in proprio e quale erede di La.Ma., e da L.S., in proprio e quale erede di Ma. e L.M., rispettivamente moglie e figlia di La.Ma. – ha parzialmente riformato la sentenza n. 921/2013 del Tribunale di Pistoia, e, per l’effetto, ha condannato Lo.Gr. e la Unipol Assicurazioni s.p.a. (già UGF Assicurazioni s.p.a.) al pagamento, in solido tra loro, dell’ulteriore somma di Euro 1.166 a favore di ciascuna delle due appellanti a titolo di danno patrimoniale al veicolo oltre accessori, nonchè al pagamento, sempre in solido tra loro ma a favore della sola appellante L.S. quale erede di L.M., dell’ulteriore somma di Euro 120 mila oltre accessori a titolo di danno parentale.
2. Era accaduto che, con ricorso depositato nel febbraio 2007, il sig. Lo.Gr. aveva convenuto in giudizio la sig.ra C.C., in proprio e quale genitore esercente la potestà genitoriale sulla figlia S., unitamente alla Compagnia assicurativa Milano Assicurazioni S.p.a., per sentire condannare i convenuti, in solido tra loro, al pagamento della somma di Euro 483.000,00 a titolo di risarcimento per i danni conseguenti al sinistro verificatosi in ***** tra l’autovettura Seat Cordoba Vario tg. *****, da lui condotta, e l’autovettura Skoda Octavia tg. ***** condotta dal Sig. La.Ma., che, in conseguenza delle lesioni subite nell’incidente, era deceduto.
La sig.ra C., in proprio e quale genitore esercente la potestà genitoriale sulla figlia, all’epoca minore, quale erede del sig. L.M., genitore del de cuius La.Ma., si era costituita in giudizio, contestando la domanda attorea, spiegando domanda riconvenzionale (diretta ad ottenere l’integrale risarcimento dei danni, patrimoniali e non, oltre accessori) e chiedendo, in via preliminare, l’autorizzazione alla chiamata in causa della Aurora Assicurazioni S.p.a., compagnia di assicurazioni del veicolo di proprietà del sig. Lo., nonchè la sospensione del giudizio ex art. 75 c.p.p., in quanto pendente giudizio penale relativo al suddetto sinistro.
La terza chiamata in causa Aurora Assicurazioni si era costituita ed il giudice, stante la pendenza del giudizio penale, aveva sospeso il giudizio civile.
Successivamente il giudizio penale era stato definito con sentenza n. 551/2009 della Corte di appello di Firenze, che aveva determinato nella misura dei 2/3 la responsabilità a carico di Gregorio L.G. e nella misura di 1/3 la responsabilità del sig. La.Ma..
Passata in giudicato la suddetta sentenza penale, la causa civile era stata riassunta e la sig.ra L.S., nelle more divenuta maggiorenne, era intervenuta in giudizio ratificando l’operato della madre e facendo proprie tutte le domande già proposte dalla stessa nel suo interesse (per i diritti iure proprio, quale figlia del deceduto padre La.Ma., ed erede del nonno L.M.).
Il Tribunale di Pistoia, ex Sezione Distaccata di Monsummano Terme, istruita la causa, con sentenza n. 921/2013:
a) aveva dichiarato cessata la materia del contendere limitatamente alla domanda risarcitoria formulata da Lo.Gr. (la cui posizione veniva definita dalla compagnia assicuratrice del veicolo antagonista);
b) ritenuta la concorrente responsabilità di Lo.Gr., nella misura di due terzi, e di La.Ma., nella misura di un terzo, nella causazione del sinistro stradale per cui è processo, occorso in ***** e nel quale aveva perso la vita La.Ma. – aveva parzialmente accolto la domanda risarcitoria dei danni non patrimoniali proposta in via riconvenzionale da C.C.;
c) aveva respinto la domanda risarcitoria degli stessi danni proposta in via congiunta da entrambe le attrici e la domanda risarcitoria dei danni patrimoniali proposta dalla sola L.S..
In definitiva, il giudice di primo grado aveva condannato Lo.Gr. e la di lui compagnia assicuratrice a corrispondere a C.C. e a L.S. rispettivamente le somme di 130.893,31 e di 125.064,69 delle vecchie Lire (al netto della provvisionale ricevuta), oltre accessori. Il tutto con compensazione delle spese processuali.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado avevano proposto appello le signore C.C. e L.S., deducendo: l’errata liquidazione del danno non patrimoniale parentale e biologico psichico, con violazione dell’art. 2056 c.c.; il difetto e/o l’insufficienza della motivazione in relazione al capo impugnato, nonchè l’immotivato discostamento dalla CTU; la violazione degli artt. 2056 e 1226 c.c. in punto mancata liquidazione del danno patrimoniale per spese funebri; l’erroneo calcolo del danno da ritardato pagamento nella misura pari agli interessi al tasso annuo legale; la violazione dell’art 112 c.p.c. per omessa pronuncia sul risarcimento del danno al veicolo; l’erroneità dei capi della sentenza che avevano negato la legittimazione ad agire di L.S., quale erede di L.M., nonchè disposto l’integrale compensazione delle spese processuali.
Si era costituita la compagnia assicuratrice che aveva chiesto il rigetto dell’appello.
Successivamente parte appellante, rinunciando a parte del secondo motivo di appello, aveva dichiarato di accettare le percentuali di invalidità individuate nella sentenza impugnata.
E la Corte territoriale, con la sentenza impugnata, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado nei termini sopra ricordati, provvedendo a nuova regolamentazione delle spese processuali. In particolare, la Corte – dopo aver premesso che nella specie alle appellanti erano derivate dall’illecito la perdita del vincolo familiare e la perdita della salute e che detti due pregiudizi erano stati correttamente determinati separatamente dal giudice di primo grado (p. 7) – ha indicato le ragioni per cui ha ritenuto corretta la valutazione del giudice di primo grado in punto di: concreta liquidazione del danno parentale (p.8), esclusione del danno per inabilità temporanea e mancata personalizzazione del risarcimento (p. 9), nonchè in punto di mancato riconoscimento del danno patrimoniale futuro (pp. 10-12) e delle spese funerarie (p. 13).
3.Avverso la sentenza della Corte territoriale ricorrono C.C., in proprio e quale erede del marito La.Ma., e L.S., in proprio e quale erede del padre Ma. e del nonno L.M..
Resiste con controricorso la Unipolsai Assicurazioni s.p.a.
In vista dell’odierna adunanza il Procuratore Generale conclude chiedendo il rigetto del ricorso, per il cui accoglimento insistono invece i ricorrenti.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Il ricorso è affidato a 3 motivi.
Precisamente, C.C., in proprio e quale erede di La.Ma., e L.S., in proprio e quale erede di Ma. e L.M., denunciano:
– in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con il primo motivo: violazione degli artt. 2056 e 1226 c.c., in punto di danno non patrimoniale e di interruzione del legame parentale; lamentano che la Corte territoriale, incorrendo nel vizio denunciato, abbia liquidato il danno non patrimoniale facendo un rapido riferimento alle tabelle del Tribunale di Milano del 2011, senza indicare il parametro utilizzato per la quantificazione e senza operare alcuna personalizzazione del danno; sottolineano in particolare che, a seguito del tragico incidente, S., che all’epoca aveva soltanto 16 anni, era rimasta priva della figura del padre, con il quale conviveva, ed aveva abbandonato il liceo linguistico, che fino ad allora aveva frequentato, subendo un radicale cambiamento di vita (elementi questi che, se correttamente valutati, avrebbero imposto la liquidazione del danno parentale nella misura del massimo tabellare);
– in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con il secondo motivo: omesso esame di un fatto decisivo e controverso, con violazione degli artt. 2056 e 1226 c.c., sempre in punto di danno non patrimoniale e di interruzione del legame parentale; si lamentano che la Corte territoriale abbia omesso di valutare circostanze decisive per il giudizio; sottolineano in particolare che dall’espletata istruttoria (mediante ctu e mediante testi) era risultato provato che Serena, a seguito della tragica ed improvvisa morte del padre convivente, aveva subito un radicale cambiamento e turbamento (elementi questi che, se correttamente valutati, avrebbero imposto la liquidazione del danno parentale nella misura del massimo tabellare);
– in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, con il terzo motivo: omesso esame circa un fatto decisivo e controverso, con violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043,2056,1223,1226 e 2729 c.c., in punto di liquidazione del danno patrimoniale; deducono che la Corte territoriale, da un lato, avrebbe fatto errata applicazione delle norme in punto di liquidazione di detta forma di danno in via equitativa e, dall’altro, abbia omesso di esaminare il fatto, decisivo e controverso, del reddito percepito da La.Ma. all’epoca del sinistro; sottolineano, in proposito, che dalla espletata ctu e dalle prove testimoniali assunte era emerso che:
a) La.Ma. all’epoca del sinistro aveva 41 anni e gestiva il Bar da *****, unitamente alla moglie;
b) quest’ultima, dopo il decesso del marito, aveva cessato l’attività di gestione del bar perchè non era in grado di farlo da sola e d’altra parte la figlia minore aveva bisogno di essere seguita;
c) avevano entrambe subito un danno patrimoniale, derivante dal venir meno degli apporti economici del congiunto defunto; deducono, conseguentemente, che, a fronte delle circostanze che precedono, erroneamente la Corte territoriale aveva negato la risarcibilità del danno patrimoniale sulla base della sola mancanza della dichiarazione dei redditi (alla quale il gestore di un ***** non sarebbe tenuto, non essendo un’attività commerciale quella svolta dal circolo a favore dei soli soci); si lamentano, infine, del fatto che la Corte ha negato la risarcibilità delle spese funerarie, in quanto non documentate, mentre le stesse avrebbero dovuto essere liquidate in via equitativa.
2. Il ricorso è inammissibile.
2.1. Inammissibile è il primo motivo in quanto i giudici di merito hanno dato compiutamente ed esaustivamente conto degli elementi di fatto e dei parametri utilizzati per la liquidazione del danno, sicchè la doglianza relativa all’omessa liquidazione del danno parentale nella misura del massimo tabellare si sostanzia nella richiesta di rivalutazione della liquidazione operata in sede di merito, preclusa in questa sede.
2.2. Per le ragioni che precedono inammissibile è anche il secondo motivo: in via di principio, la liquidazione del danno non patrimoniale su base tabellare deve considerarsi legittima tutte le volte che (come nel caso di specie) il giudice di merito abbia tenuto conto, nella relativa valutazione, tanto della componente soggettiva della lesione (cd. danno morale), quanto dell’incidenza dinamico-relazionale che la lesione stessa ha cagionato nel quotidiano dipanarsi della vita di relazione del soggetto leso, adeguando poi tale valutazione, e la conseguente liquidazione, alle particolarità del caso concreto.
La Corte territoriale si è, nella specie, conformata a tali parametri ed ha motivato le sue conclusioni proprio argomentando, in particolare, sull’impatto che l’evento luttuoso aveva avuto sull’esistenza di L.S., figlia del de cuius.
Ne consegue che la motivazione della Corte non può, sotto alcun profilo, ritenersi inferiore al c.d. minimo costituzionale, mentre le ricorrenti inammissibilmente hanno omesso di riferire in ricorso quando e dove nel giudizio di merito era stata allegata e dimostrata la pur invocata personalizzazione del danno.
2.3. Inammissibile è anche il terzo motivo.
La Corte territoriale, in difetto di documentazione, ha ritenuto non provata la natura redditizia della gestione del ***** e nulla ha liquidato – sia a titolo di danno patrimoniale futuro che a titolo di rimborso spese funerarie – ritenendo di non poter far riferimento, quanto al primo, ad una base reddituale astratta (quale quella del triplo della pensione sociale) e, quanto alle seconde, a criteri presuntivi.
Le ricorrenti impugnano la statuizione, ma, incorrendo nella qui statuita inammissibilità, non indicano dove e quando nel giudizio di merito hanno dedotto e provato, tra l’altro:
– da un lato, il fatto che nella specie il Circolo somministrava bevande e cibi soltanto ai soci ed il fatto che C.C., dopo la morte del marito, aveva cessato di lavorare al circolo (che, secondo quanto dedotto in ricorso, gestiva con il marito e costituiva l’unica fonte di sostentamento familiare);
– dall’altro, le utilità economiche di cui beneficiavano in vita e che erano state interrotte (o che comunque erano diminuite) per effetto della morte del loro congiunto.
Quanto infine alle spese funerarie, sostenute dagli eredi della persona deceduta per atto illecito, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, Sentenza n. 11684 del 26/05/2014, Rv. 630951 – 01), dette spese costituiscono una voce di danno ineliminabile e possono essere indubbiamente liquidate anche in mancanza di specifica dimostrazione della precisa entità della somma corrisposta a tale scopo, sempre che siano forniti al giudice di merito dati dai quali desumere, almeno approssimativamente, i parametri cui commisurare la valutazione, sia pure con riferimento al costo medio delle onoranze funebri della zona in questione.
Orbene, nel ricorso inammissibilmente non è indicato dove e quando tali dati siano stati forniti dalle odierne ricorrenti nel corso del giudizio di merito.
3. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna delle ricorrenti al pagamento in solido delle spese processuali della compagnia Unipol, che si liquidano come da dispositivo, nonchè al pagamento sempre in solido dell’ulteriore importo, pure dovuto per legge ed indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; e condanna le ricorrenti, nelle indicate qualità, al pagamento, in solido tra loro e in favore della compagnia Unipol, delle spese processuali relative al giudizio di legittimità, spese che liquida in Euro 5.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 25 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018