LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 10210-2016 proposto da:
M.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SESTO RUFO, 23, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ERCOLE MOSCARINI, rappresentato e difeso dagli avvocati ANNA ORLANDO, RAFFAELE PIGNATARO;
– ricorrente –
contro
BRACCO SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SALARIA 259, presso lo studio dell’avvocato PAPPALARDO BONELLI EREDE, rappresentato e difeso dagli avvocati ARIANNA MARIA BEATRICE COLOMBO, ANTONELLA NEGRI, MARCO PASSALACQUA;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1028/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 09/02/2016 R.G.N. 2789/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/09/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine rigetto;
udito l’Avvocato ARIANNA MARIA BEATRICE COLOMBO.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 1028/2016 la Corte di appello di Napoli, pronunziando in sede di reclamo, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda di M.E., informatrice scientifica del farmaco, intesa all’accertamento della illegittimità del licenziamento intimatole da Bracco s.p.a. all’esito di procedura di riduzione del personale attivata ai sensi della L. 23 luglio 1991, n. 223.
1.1. Per quel che ancora rileva, il giudice di appello: ha escluso che la comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 3, cit. di avvio della procedura di mobilità fosse carente sotto il profilo della indicazione delle ragioni che non consentivano il ricorso a misure alternative al licenziamento; ha ritenuto che, a differenza di quanto sostenuto dalla lavoratrice, la scelta dei dipendenti da licenziare era stata effettuata con riferimento alla rete degli informatori scientifici operanti sull’intero territorio nazionale e che il riferimento alle singole aree territoriali di appartenenza degli informatori aveva costituito un criterio utilizzato unicamente per la fase applicativa dei piani di esubero ovvero come mero perimetro entro il quale far operare i criteri dell’anzianità di servizio e dei carichi di famiglia; ha ritenuto, in conseguenza, insussistente l’obbligo di comunicazione al Ministero del lavoro ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 15 cit. ulteriormente osservando che, come chiarito dal giudice di legittimità, il luogo in cui ciascun informatore svolge l’attività di informazione scientifica non può essere considerata unità produttiva; ha, inoltre, evidenziato la carenza di allegazione da parte della lavoratrice circa un diverso esito finale in base alla determinazione degli esuberi ripartiti per area territoriale; ha respinto la deduzione relativa all’assenza di ragioni giustificatrici dell’esubero con riferimento alla successiva stipulazione da parte della società di contratti di agenzia con ex informatori licenziati, osservando che una volta verificata la regolarità della procedura e la sussistenza del nesso causale tra ristrutturazione e licenziamento non poteva trovare spazio l’indagine su temi ulteriori rappresentata dalla scelta datoriale di procedere, successivamente ai licenziamenti, alla stipula di contratti di agenzia; in relazione alla residua doglianza relativa alla variazione della graduatoria degli esuberi in un momento successivo alla conclusione della procedura ha osservato che la società si era limitata a correggere un dato oggettivamente errato, non per sua colpa, attinente ai carichi di famiglia della dipendente F. e osservato che una volta determinati i singoli ambiti territoriali ai quali fare riferimento nella redazione delle graduatorie i criteri individuati risultavano essere esattamente quelli di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1 cit..
2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso M.E. sulla base di cinque motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.
2.1. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4,comma 3, cit. e “contestuale contraddittorietà della motivazione”. Censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che il contenuto della comunicazione di apertura della procedura di mobilità fosse idoneo a giustificare anche la mancata adozione di misure alternative al licenziamento. Assume che tale comunicazione non distingueva tra i profili, concettualmente distinti, attinenti ai motivi che avevano determinato la situazione di eccedenza e ai motivi tecnici, organizzativi e produttivi che non consentivano di adottare misure alternative, in tutto ed in parte, al licenziamento collettivo, non potendo i secondi coincidere con la irreversibilità della situazione economica che aveva determinato l’esubero di lavoratori. In questa prospettiva ribadisce che le censure articolate nei gradi di merito investivano non la mancata adozione di misure alternative ma la carenza contenutistica della richiamata comunicazione.
2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5 cit. con specifico richiamo al criterio di scelta delle esigenze tecniche organizzative. Censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che la successiva stipula di contratti di agenzia con ex dipendenti, per l’espletamento delle medesime funzioni in precedenza svolte e nell’ambito delle medesime aree territoriali in relazione alle quali erano stati dichiarati gli esuberi, non integrava gli estremi della violazione delle norme richiamate in quanto non incideva negativamente sulla effettività del nesso causale tra ristrutturazione e licenziamenti ed, anzi, si poneva in linea con essa.
3. Con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5cit. con particolare riferimento alla violazione dei criteri di scelta dei dipendenti da licenziare. Assume di avere, in entrambi i gradi di merito, criticato il fatto che il confronto tra i lavoratori da licenziare fosse stato effettuato sulla base della suddivisione della rete degli informatori scientifici in aree geografiche in ciascuna delle quali erano destinati a trovare applicazione i criteri di scelta. Sostiene che il riferimento alle aree territoriali riduceva in maniera arbitraria ed illegittima la portata oggettiva dei criteri di scelta. In relazione a tale profilo evidenzia che nella comunicazione di apertura la società aveva configurati i 265 dipendenti come tutti facenti capo ad un’unica unità produttiva ed evidenzia che, ove avesse inteso limitare il progetto di ristrutturazione aziendale a precisi reparti dell’azienda, avrebbe dovuto specificare nella comunicazione di apertura le oggettive esigenze aziendali a fondamento di tale scelta.
4. Con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 15 cit., autonomamente ed in correlazione con l’art. 115 c.p.c., censurando la sentenza impugnata, in sintesi, per avere escluso la necessità dell’invio della comunicazione al Ministero del Lavoro prescritta nell’ipotesi di eccedenza concernente unità produttive ubicate in più regioni. Evidenzia che, pur risultando tutti gli informatori scientifici formalmente dipendenti dalla sede milanese e pur risultando instaurata un’unica procedura collettiva, la circostanza – pacifica che la società aveva stilato, con la comunicazione dei singoli recessi, ben 16 graduatorie distinte per aree geografiche, imponeva di configurare tali aree ciascuna come singola unità produttiva, conseguendone la necessità del rispetto dell’obbligo di comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 15 cit..
5. Con il quinto motivo deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5 cit. e dell’art. 1175 c.c. censurando la sentenza impugnata per avere affermato la correttezza della condotta della società con riferimento alla operata correzione del dato – rivelatosi errato – relativo ai carichi di famiglia della dipendente F.. Sostiene che la verifica dei requisiti socio economici (carichi di famiglia) necessaria per la redazione della griglia applicativa dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare doveva essere effettuata in base ai dati comunicati ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 23,in possesso dell’azienda al momento della dichiarazione di esubero. La sentenza di appello aveva omesso di considerare che la colpevole omissione dell’altra dipendente circa il dato attinente ai carichi di famiglia non poteva pregiudicare la posizione di essa M..
6. Il primo motivo di ricorso presenta plurimi profili di inammissibilità desumibili, in primo luogo, dalla mescolanza e sovrapposizione dei mezzi di impugnazione eterogenei facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (v., tra le altre, Cass. 23/09/2011 n. 19443). In secondo luogo, anche a prescindere da tale dirimente considerazione, la denunzia di errore di diritto si fonda su un presupposto insussistente, posto che la sentenza impugnata non ha affatto negato la necessità che la comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 3, cit. contenesse anche la esplicitazione delle ragioni per le quali non si riteneva possibile la utilizzazione di misure alternative al licenziamento essendosi limitata a riscontrare, in concreto, che la società aveva assolto a tale onere.
6.1. Tale accertamento, sindacabile in sede di legittimità solo attraverso la deduzione di vizio di motivazione, non è stato adeguatamente censurato sia perchè parte ricorrente, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 ha omesso di riprodurre il contenuto della comunicazione in oggetto e di indicare i dati idonei a consentire il reperimento del documento nell’ambito dei giudizi di merito (v. tra le altre, Cass. 12/12/2014 n. 26174), sia perchè la stessa denunzia del vizio di motivazione non è articolata con modalità conformi alla configurazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo attualmente vigente, applicabile ratione temporis, che esige la deduzione di omesso esame di un fatto storico di rilevanza decisiva, oggetto di discussione fra le parti (v. per tutte Cass. Sez. Un, 07/04/2014 n. 8053), fatto neppure indicato dalla ricorrente.
7. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per plurimi profili desumibili sia dalla mescolanza dei mezzi di impugnazione fra loro incompatibili per cui valgono le considerazioni sopra espresse (v. paragrafo 6) sia perchè esso si sostanzia, in sintesi, in una richiesta di rivalutazione del nesso di causalità tra le ragioni alla base dell’avvio della procedura di mobilità ed i licenziamenti, richiesta non veicolata dalla rituale articolazione del vizio di motivazione ed in particolare dalla deduzione di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, come invece prescritto alla luce della giurisprudenza sopra richiamata (v. paragrafo 6.1.). Le doglianze, infatti, insistono su una pretesa incompatibilità tra le ragioni alla base della scelta datoriale che (peraltro in termini non rispettosi del principio di autosufficienza posto che, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non è riprodotto il contenuto della comunicazione di apertura) si assumono non correttamente ricostruite dal giudice di merito e la successiva stipula di contratti di agenzia con alcuni dei dipendenti licenziati, circostanza quest’ultima espressamente presa in considerazione dalla Corte di merito e rispetto alla quale quindi non è prospettabile alcun omesso esame.
8. Il terzo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile in quanto investe solo una delle due autonome rationes decidendi alla base della statuizione di secondo grado resa in punto di applicazione dei criteri di selezione dei lavoratori da licenziare effettuata in relazione alle aree geografiche sulla base delle quali era stata ripartita la rete degli informatori operanti sul territorio nazionale.
8.1. Il giudice di appello non si è, infatti, limitato ad osservare che le modalità di applicazione dei criteri di scelta avevano riguardato la rete degli informatori distribuita sull’intero territorio nazionale (con implicita esclusione della necessità che la comunicazione di apertura contenesse anche la specificazione delle ragioni per le quali si riteneva di limitare la scelta solo ad alcuni reparti o settori) ma ha ulteriormente osservato che la lavoratrice neppure aveva allegato, come suo onere a fronte della specifica deduzione di controparte, che con una valutazione su scala nazionale la scelta del dipendente da licenziare sarebbe caduta su una persona diversa.
8.2. Tale affermazione, coerente con la giurisprudenza di questa Corte in tema di ripartizione di oneri allegatori e probatori in relazione alla corretta applicazione dei criteri di individuazione del lavoratore da licenziare (v. tra le altre, Cass. 19/05/2006 n. 11886; Cass. 26.9.2000 n. 12711; Cass. 29/05/1998 n. 5358), non è stata in alcun modo investita da censura da parte del ricorrente e tanto è sufficiente a determinare il passaggio in giudicato della statuizione sul punto.
9. Il quarto motivo è inammissibile in quanto l’assunto della necessità dell’invio della comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 15 cit. muove dal presupposto, in contrasto con l’accertamento di fatto operato dal giudice di appello, della riferibilità della procedura collettiva ad una pluralità di unità produttive. Il giudice di appello ha, infatti, accertato che la rete degli informatori scientifici faceva capo ad un’unica unità produttiva ed ha ampiamente argomentato a riguardo; tale accertamento poteva essere inficiato solo con la deduzione del vizio motivazionale per l’omessa considerazione di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, vizio neppure astrattamente prospettato dalla odierna ricorrente.
10. Il quinto motivo è infondato. L’assunto che la verifica dei requisiti socio economici (carichi di famiglia) necessarii per la redazione della griglia applicativa dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare dovesse essere effettuata in base ai dati comunicati ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 23 è priva di fondamento normativo posto che nè nella norma richiamata nè in altre disposizioni di legge viene affermata la vincolatività dei dati, anche in ipotesi errati, comunicati al datore di lavoro ai sensi dell’art. 23 Legge cit.. Quanto alla dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5 e dell’art. 1175 c.c. la stessa risulta inconfigurabile alla stregua della medesima prospettazione della odierna ricorrente posto che non viene in alcun modo contestata la rispondenza al dato reale della modifica dei carichi di famiglia operata dalla società in relazione alla posizione della dipendente F..
11. Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 11 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2018