LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –
Dott. D’OVIDIO Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11630-2013 proposto da:
G.M.G., G.R.V., G.R.J., elettivamente domiciliati in ROMA VIA GERMANICO 146, presso lo studio dell’avvocato MOCCI ERNESTO, rappresentati e difesi dagli avvocati BRIGUGLIO EUGENIO, BOCCALATTE GIANLUCA;
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI BERGAMO in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 40/2012 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di BRESCIA, depositata il 15/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/11/2018 dal Consigliere Dott. CASTORINA ROSARIA MARIA.
RITENUTO IN FATTO
G.R.V., G.D., G.R.J. e G.M.G., eredi di C.C. deceduta il 27.7.2007 propongono due motivi di ricorso, illustrati con memoria, per la cassazione della sentenza n. 40/45/12 depositata il 15.3.2012 con la quale la commissione tributaria regionale della Lombardia ha ritenuto legittimi – rigettando gli appelli, riuniti, proposti dalle contribuenti – gli avvisi di liquidazione notificati per il pagamento dell’imposta principale di successione derivante dalla dichiarazione da loro presentate. In particolare, la commissione tributaria regionale ha ritenuto che la maggior imposta richiesta dall’amministrazione finanziaria fosse effettivamente dovuta, in ragione della permanente applicabilità alla successione in oggetto dell’istituto del coacervo tra relictum e donatum; così come già previsto dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 8, comma 4, e ritenuto applicabile pur dopo l’introduzione della “nuova” imposta di successione di cui alla L. n. 286 del 2006. Ciò con riguardo al valore delle donazioni effettuate dalla C. tra la data del 24.10.2001 e la data del 29.11.2006 (periodo in cui l’imposta sulle successioni e sulle donazioni era stata abrogata), a favore degli eredi.
Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
RITENUTO IN DIRITTO
1.Con il primo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, commi da 47 a 51, nonchè del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 8, comma 4 e della L. n. 212 del 2000, art. 3, per avere la CTR ritenuto legittima la maggiorazione del valore complessivo dei beni devoluti ad alcuni eredi in ragione di un istituto (il cumulo, o coacervo, delle donazioni con i beni ereditari) non più applicabile, perchè incompatibile con il nuovo regime dell’imposta di successione di cui alla L. n. 286 del 2006, disciplinante la successione in oggetto violando il principio di irretroattività delle norme tributarie. La mentano in particolare che quand’anche si fosse ritenuto applicabile tale istituto, esso non avrebbe potuto riguardare, in forza appunto del principio di irretroattività, donazioni effettuate, come nel caso di specie, prima dell’entrata in vigore della L. n. 286 del 2006 e, segnatamente, nel periodo (2001/2006) nel quale l’imposta sulle donazioni era stata soppressa.
2.Con il secondo motivo si deduce omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
I motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto strettamente connessi. Le censure sono fondate.
L’istituto del “coacervo” era previsto dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 8, comma 4, secondo cui: “Il valore globale netto dell’asse ereditario è maggiorato, ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art. 7, di un importo pari al valore attuale complessivo di tutte le donazioni fatte dal defunto agli eredi e ai legatari (…); il valore delle singole quote ereditarie o dei singoli legati è maggiorato, agli stessi fini, di un importo pari al valore attuale delle donazioni fatte a ciascun erede o legatario. (…)”. Questa previsione doveva però – già prima della “reintroduzione” dell’imposta di registro con il D.L. n. 262 del 2006, conv. in L. n. 286 del 2006, applicabile alla successione in esame – ritenersi superata e svuotata di ogni contenuto e residua sfera di possibile applicabilità; ciò in ragione del fatto che il cumulo delle donazioni era espressamente limitato “ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art. 7”; vale a dire, delle aliquote progressive di cui alla tariffa allegata al D.Lgs. n. 346 del 1990. Il sistema impositivo mediante aliquote progressive era tuttavia già venuto meno prima dell’apertura della successione in oggetto, in forza della L. n. 342 del 2000, art. 69, comma 1, lett. c) (recante aliquote fisse in ragione del grado di parentela).
Questa Corte ha affermato, con orientamento consolidato dal quale non vi è ragione per discostarsi (Cass. nn. 29739/08; 5972/07; 8489/97) che la previsione di cui al citato D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 8, comma 4, – prescrivente il coacervo del donatum con il relictum – non era finalizzato a ricomprendere nella base imponibile anche il donatum (oggetto di autonoma imposizione), ma unicamente a stabilire una forma di “riunione fittizia” nella massa ereditaria dei beni donati, ai soli fini della determinazione dell’aliquota da applicare per calcolare l’imposta sui beni relitti. Il sistema della “riunione fittizia”, in altri termini, operava in funzione chiaramente antielusiva, così da evitare che il compendio ereditario venisse sottratto all’imposizione progressiva mediante preordinate donazioni in vita da parte del de cujus. Ora, fermo restando che – come poc’anzi evidenziato – il “cumulo” non sortiva effetto impositivo del donatum, ma soltanto effetto determinativo dell’aliquota progressiva, si ritiene logica e coerente conseguenza che, eliminata quest’ultima in favore di un sistema ad aliquota fissa sul valore non dell’asse globale ma della quota di eredità o del legato, non vi fosse più spazio per dar luogo al coacervo. Nè, una volta differenziate le aliquote di legge sulla base del criterio primario non dell’ammontare crescente del compendio ereditario ma del rapporto di parentela, poteva residuare alcuna ratio antielusiva. In tale situazione normativa sono poi sopravvenute la soppressione dell’imposta sulle successioni e donazioni (L. n. 383 del 2001) e la sua reistituzione (D.L. n. 262 del 2006, conv. in L. n. 286 del 2006). Disciplina, quest’ultima, che ha anche formalmente eliminato, abrogandola espressamente nell’art. 2, comma 52, la norma (D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 7, commi da 1 a 2-quater) che costituiva, come detto, il riferimento e presupposto imprescindibile del citato art. 8, comma 4. E’ vero che la disciplina qui applicabile (L. n. 286 del 2006, art. 2, comma 50) richiama, “per quanto non disposto dai commi da 47 a 49 e da 51 a 54” le disposizioni del D.Lgs. n. 346 del 1990, “in quanto compatibili”, ma le ragioni di incompatibilità del cumulo ex art. 8, cit., permangono e trovano conferma anche alla luce della disciplina della reintrodotta imposta di successione; applicata anch’essa secondo aliquote fisse sul valore complessivo dei beni devoluti a ciascun erede o legatario in ragione del rapporto di parentela. Nè può ritenersi che il cumulo ex art. 8 cit. sia tuttora vigente al residuale fine di individuare la base imponibile al netto della franchigia esente da imposta.
Da un lato, la lettera e la ratio dell’art. 8, comma 4, erano inequivoche nel limitare la rilevanza del cumulo “ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili”, e non altrimenti (così come ritenuto anche dalla citata giurisprudenza di legittimità); dall’altro, la L. n. 286 del 2006 ha rimodulato il regime di franchigia sull’imposta di successione e sulle donazioni (art. 2, comma 49), anche mediante abrogazione (comma 50 cit.) della disposizione (D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 7, comma 2-quater, come introdotto dalla L. n. 342 del 2000, art. 69) che precludeva la fruizione della franchigia sulla prima imposta qualora già fatta valere, e fino alla concorrenza del valore di fruizione, sulla seconda. Dal che si evince ulteriore e definitivo elemento di incompatibilità del “cumulo” posto a base della maggiore imposta di cui agli avvisi di liquidazione in oggetto (in tal senso Cass. 26050/2016; Cass. 24940/2016).
La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione ai motivi accolti. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c. mediante accoglimento dei ricorsi introduttivi delle contribuenti.
Le spese di legittimità e merito vengono compensate, in ragione della relativa novità della specifica questione interpretativa adottata, consolidata in data successiva alla proposizione del ricorso.
P.Q.M.
La Corte – accoglie il ricorso; – cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie i ricorsi introduttivi dei contribuenti;
compensa le spese di legittimità e merito.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2018