Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33198 del 21/12/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaella – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel.Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27691-2017 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BRUNO BUOZZI, 68, presso lo studio dell’avvocato CIANI MASSIMO, (Studio legale Associato Cossa e Ticconi), che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA VESCOVIO 21, presso lo studio dell’avvocato MANFEROCE TOMMASO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5817/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’i 1/10/2018 dal Consigliere Relatore Dott. DELL’UTRI MARCO.

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 14/9/2017, la Corte d’Appello di Roma ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condannato C.F. al pagamento, in favore di C.F., di importi riferiti alla definitiva sistemazione dei rapporti professionali intercorsi tra le parti, già posti a oggetto di una ricognizione di debito del C., il cui pagamento era stato formalmente condizionato alla sussistenza delle “possibilità” del debitore, “senza limiti di tempo”;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale, dopo aver confermato il rilievo del primo giudice, circa la nullità della condizione sospensiva apposta al negozio ricognitivo (in ragione della relativa natura meramente potestativa, ai sensi dell’art. 1355 c.c.), ha evidenziato come il C. avesse in ogni caso riconosciuto, nel corso del giudizio, il debito contratto nei confronti della controparte, il cui pagamento sarebbe dovuto avvenire nel termine individuato dal primo giudice, nella specie non contestato dal C.;

che, avverso la sentenza d’appello, C.F. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;

che C.F. resiste con controricorso;

che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis le parti hanno presentato memoria;

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 1355 c.c.(in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente qualificato la condizione apposta dalle parti al negozio ricognitivo alla stregua di una condizione meramente potestativa, avendo le stesse piuttosto subordinato l’efficacia di tale atto al ricorso di circostanze serie e oggettivamente rilevanti e apprezzabili;

che, con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale trascurato la considerazione del complesso delle circostanze relative ai rapporti intercorsi tra le parti, anche al fine di individuare il termine più opportuno per l’adempimento del debito accertato, limitandosi inammissibilmente a richiamare un preteso generico riconoscimento di debito privo di giustificazione;

che il primo motivo è manifestamente infondato, e il secondo inammissibile, senza che le memorie allegate dal ricorrente a relativo sostegno siano valse a infirmare la decisività delle argomentazioni di seguito precisate;

che, al riguardo, osserva il Collegio come secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la condizione deve ritenersi “meramente potestativa” quando consiste in un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza, sì da manifestare l’assenza di una seria volontà della parte di ritenersi vincolata dal contratto, mentre si qualifica “potestativa” quando l’evento dedotto in condizione è collegato a valutazioni di interesse e di convenienza e si presenta come alternativa capace di soddisfare anche l’interesse proprio del contraente, soprattutto se la decisione è affidata al concorso di fattori estrinseci, idonei ad influire sulla determinazione della volontà, pur se la relativa valutazione è rimessa all’esclusivo apprezzamento dell’interessato (cfr., ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 18239 del 26/08/2014, Rv. 632069 – 01);

che, nel caso di specie, del tutto correttamente la corte territoriale ha individuato, nell’impegno del C. ad eseguire il pagamento del debito riconosciuto “compatibilmente con le proprie possibilità” e “senza limiti di tempo”, il ricorso di circostanze condizionanti del tutto prive di oggettiva consistenza, univocità, controllabilità e riconoscibilità, arbitrariamente rimesse alle valutazioni del debitore e tali da non consentire, a fondamento delle stesse, l’individuazione di alcun interesse meritevole di apprezzamento e di tutela, sì da integrare gli estremi di una condizione meramente potestativa nulla (ex art. 1355 c.c.);

che, peraltro, con specifico riguardo al primo motivo d’impugnazione, diversamente da quanto indicato dal giudice a quo (in tal senso dovendo provvedersi alla correzione della motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4), varrà osservare come l’incidenza della condizione sospensiva dedotta in giudizio debba ritenersi limitata (secondo quanto ictu oculi rinvenibile dal significato proprio del testo riprodotto agli atti del giudizio) al solo impegno, assunto dal debitore, di eseguire il pagamento del debito (contestualmente riconosciuto) entro i limiti di tempo consentiti dalle proprie possibilità;

che, pertanto, essendo riferita, l’apposizione della condizione meramente potestativa, al solo impegno concernente il tempo dell’adempimento, la nullità di tale condizione (derivante dal disposto dell’art. 1355 c.c.) non è valsa a incidere sulla validità del separato e autonomo atto di ricognizione di debito, da ritenersi, pertanto, persistentemente valido e idoneo, di per sè, a giustificare la condanna del C. al pagamento di quanto dovuto, in assenza di prova contraria (cfr. art. 1988 c.c.);

che, ciò posto – ferma la rilevata manifesta infondatezza della doglianza riferita alla pretesa violazione dell’art. 1355 c.c. – la successiva censura sollevata dal ricorrente con riguardo al vizio di cui all’art. 360 c.p.c. n. 5 deve ritenersi integralmente inammissibile;

che, infatti, è appena il caso di sottolineare detto vizio possa ritenersi denunciabile per cassazione, unicamente là dove attenga all’o-messo esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

che, sul punto, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extra-testuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831);

che, pertanto, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, la doglianza del ricorrente deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini del cit. art. 360, n. 5, bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio;

che, sulla base di tali premesse, dev’essere disposto il rigetto del ricorso, cui segue la condanna del ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta Sezione Civile-3 della Corte Suprema di Cassazione, il 11 ottobre 2018.

Depositato in cancelleria il 21 dicembre 2018

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