Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.33612 del 28/12/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI Maria Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 66/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

GOMAX s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa giusta delega in atti dagli avv. ti Carlo Gaera e Giulio Gaeta con domicilio eletto in Roma, alla via G.

Palumbo n. 26;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 2/1/11 depositata il 11/1/2011, non notificata;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del sostituto procuratore generale che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 14/11/2018 dal consigliere Roberto Succio.

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha respinto l’appello dell’Amministrazione Finanziaria e dichiarata l’illegittimità dell’avviso di accertamento per IVA, IRPEG ed IRAP 2003;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate con atto articolato su due motivi; resiste con controricorso unito a ricorso incidentale il contribuente; l’Amministrazione Finanziaria resiste con controricorso al ricorso incidentale della società contribuente.

CONSIDERATO

che:

– va esaminato dapprima il motivo di ricorso incidentale della contribuente, con il quale si eccepisce l’omessa rilevazione da parte della CTR della formazione del giudicato interno in relazione al motivo n. 3 del ricorso introduttivo;

– il motivo è infondato; dalla lettura della sentenza di primo grado la stessa non appare, diversamente da quanto prospetta il controricorrente, fondata su due rationes decidendi, ma unicamente su quella unica ratio oggetto di aggressione con l’impugnazione dell’Amministrazione Finanziaria; peraltro dal suo contenuto essa appare diretto a colpirne ogni statuizione, con effetto interamente devolutivo; di qui l’infondatezza;

– con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la CTR formulato un giudizio sostanzialmente di mera presunzione in adesione alle difese del contribuente, che ha ritenuto fondate non a seguito dell’applicazione dei principi di diritto vigenti in tema di presunzioni bancarie relative ai versamenti e prelevamenti ricostruiti a seguito delle indagini finanziarie, ma in forza di mere illazioni;

– il secondo motivo denuncia vizio motivazionale, in quanto la CTR – a fronte di una serie imponente di fatti dedotti a sostegno della maggior pretesa tributaria (Euro 306.641,00, costituenti parte delle movimentazioni finanziarie contestate, e ritenuti dal contribuente finanziamenti della società, e non ricavi sottratti a imposizione, non erano indicati in alcun verbale societario come tali; non era prodotta alcuna prova relativa al loro versamento bancario a tal titolo; non erano provati i nominativi dei soci finanziatori; quanto a Euro 464.787,72, che si giustificavano quali caparre di clienti, non erano prodotti (salvo uno, per Euro 100.000) documenti attestanti la stipula di contratti di acquisto degli immobili oggetto delle asserite caparre; i versamenti erano eseguiti in alcuni casi in contanti e in date differenti da quelle indicate nei documenti; in ogni caso detti versamenti dovevano, ove costituenti acconti, essere oggetto di fatturazione; tali versamenti poi erano indicati in contabilità come finanziamento soci, e non come caparre, e altro ancora con riferimento all’ulteriore importo di Euro 411.654,00, quello ancora ulteriore di Euro 1.004.742,46; ed altro ancora come riportato nelle pagine da 8 a 13 del ricorso dell’Amministrazione Finanziaria) – ha omesso di farne apposita e specifica disamina, fornendo anche analitica motivazione, come avrebbe dovuto, ed ha soprasseduto quindi a ogni confronto con tali elementi di fatto che dovevano essere – ciascun prelevamento e ciascun versamento – singolarmente esaminati e analiticamente valutati;

– i motivi possono esaminarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione e sono fondati;

– in termini, questa Corte si è ancora di recente chiaramente espressa (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11102 del 05/05/2017), chiarendo come D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, con riferimento ai soggetti che esercitano attività d’impresa, preveda una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi ed a fronte della quale il contribuente, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative;

– conseguentemente, anche ove utilizzi come pur consentito strumenti presuntivi, la prova contraria fornita dal contribuente (in risposta alle contestazioni, di egual qualità, dell’Agenzia delle Entrate) deve essere adeguatamente analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (tra le più recenti, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15857 del 29/07/2016);

– la sentenza gravata, invece, non ha dimostrato di aver esaminato ciascuna operazione, essendosi limitata a accettare la tesi del contribuente che per quanto fondata anche su elementi presuntivi doveva (e questo profilo andava esaminato e manifestato in motivazione da parte della CTR) concentrarsi proprio su ciascuna operazione oggetto di contestazione, come sopra si è detto, in modo adeguatamente analitico; nè evidentemente – stante quanto appena detto – il secondo giudice ha fornito adeguata motivazione in ordine alla valutazione di ciascuna contestazione;

– va quindi riaffermato il principio già enunciato da questa Corte secondo il quale in caso di accertamento bancario fondato sulle risultanze di indagini finanziarie il giudice è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo (Cass. n. 19971 del 2016; Cass. n. 22502 del 2011); la presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili si correla, infatti, ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità che il contribuente si avvalga del conto corrente bancario per effettuare rimesse e prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività d’impresa, onde alla presunzione di legge (relativa) non può contrapporsi una mera affermazione di carattere generale, nè è possibile ricorrere all’equità (Cass. n. 13035 del 2012);

– al riguardo, non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, dovendo il contribuente a fronte delle contestazioni dell’Amministrazione Finanziaria fornire la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività (Cass. 4829 del 2015);

– ne deriva l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale.

P.Q.M.

accoglie ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2018

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