Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Sentenza n.33657 del 28/12/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. CURZIO Pietro – Presidente di sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di sez. –

Dott. ARMANO Uliana – Presidente di sez. –

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente di sez. –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24796-2016 proposto da:

I. INDUSTRIA LEGNAMI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA DE CURTIS, rappresentata e difesa dagli avvocati GIOVANNI ALLODI e DOMENICO ROMANO;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO PER L’AREA DI SVILUPPO INDUSTRIALE DELLA PROVINCIA DI AVELLINO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOSUE’ BORSI 4, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA SCAFARELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANIA CASTELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1178/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 30/06/2016;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/06/2018 dal Consigliere MILENA FALASCHI;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale LUIGI SALVATO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli Avvocati Domenico Romano e Stefania Castelli.

RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, con sentenza non definitiva del 15.01.2013, pronunciando sulle domande proposte dal Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della provincia di Avellino – ASI nei confronti della I. Industria Legnami s.p.a. volte ad ottenere il rilascio delle aree assegnate alla convenuta a titolo provvisorio nell’ambito dell’area industriale di *****, oltre al risarcimento dei danni, condannava la società convenuta al rilascio del lotto n. *****, riservando al prosieguo del giudizio la liquidazione dei danni.

In virtù di appello interposto dalla I., la Corte di appello di Napoli, nella resistenza del Consorzio, respingeva il gravame, confermando la decisione del giudice di prime cure, riconoscendo, in primo luogo la giurisdizione del giudice ordinario trattandosi di azione esercitata dall’A.S.I. ai sensi degli artt. 823 e 830 c.c. per il recupero, in regime di diritto privatistico, di beni assegnati in godimento all’appellante. Nel merito, rilevava che la I. non contestava il mancato verificarsi delle condizioni per l’assegnazione definitiva del lotto, ma chiedeva solo la sospensione del giudizio per pregiudizialità rispetto al procedimento pendente avanti al TAR Campania sul silenzio serbato dalla Regione quanto alla sua richiesta di finanziamento, non ottenuto il beneficio pubblico necessario all’assegnazione definitiva dall’appellante neanche in corso di causa. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la I. con quattro motivi, cui ha replicato il Consorzio con controricorso.

In prossimità delta pubblica udienza parte ricorrente ha anche depositato memoria illustrativa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112,324 e 329 c.p.c. per avere omesso il giudice del gravame ogni accertamento circa l’appartenenza del fondo in questione al Consorzio, nonostante la verifica fosse stata chiesta espressamente dallo stesso attore. Aggiunge la ricorrente che la qualificazione della domanda operata dai giudici di merito sarebbe assolutamente errata e in palese contratto con le conclusioni rassegnate dall’ASI, trattandosi di tutela di natura reale e non personale.

La censura è priva di pregio.

E’ in primo luogo erronea la deduzione della violazione dell’art. 112 c.p.c., che attiene all’omesso esame della domanda e consente alla Corte l’esame degli atti processuali, mentre nell’ipotesi de qua si censura l’interpretazione che della domanda ha dato il giudice del merito.

Ciò precisato, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, con la conseguenza che spetta alla Corte di legittimità effettuare il solo controllo sulla correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass. 21 dicembre 2017 n. 30684; Cass. 24 luglio 2008 n. 20373; Cass. 7 luglio 2006 n. 15603).

Nella specie il giudice d’appello non ha omesso l’esame delle deduzioni della I. quanto alla natura dell’occupazione dell’area in questione, ma, nell’ambito del potere di interpretazione, ha ritenuto che il Consorzio A.S.I. avesse agito per il rilascio dei terreni, svolgendo un’azione di natura personale. Ha, quindi, escluso, sulla base della domanda, che il Consorzio avesse mai chiesto l’accertamento di un proprio diritto dominicale, poichè aveva chiesto che fosse dichiarata l’illegittima detenzione dell’area industriale da parte della I., con conseguente condanna al rilascio, specificando che si trattava di bene detenuto senza valido titolo, una volta risoltasi l’assegnazione provvisoria per fatto imputabile alla stessa convenuta, dovuto al mancato avveramento della condizione cui era stata subordinata la definitività dell’assegnazione, costituita dall’esito positivo dell’istruttoria dell’Istituto bancario San Paolo Banco di Napoli s.p.a. e della conseguente ammissione ai benefici contributivi da parte della Regione Campania.

Come ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 7305 del 2014), l’azione personale di restituzione è destinata ad ottenere l’adempimento dell’obbligazione di ritrasferire una cosa che è stata in precedenza volontariamente trasmessa dall’attore al convenuto, in forza di negozi quali la locazione, il comodato, il deposito e così via, che non presuppongono necessariamente nel tradens la qualità di proprietario. Essa si distingue dall’azione di rivendicazione, con la quale il proprietario chiede la condanna al rilascio o alla consegna nei confronti di chi dispone di fatto del bene nell’assenza anche originaria di ogni titolo. In questo caso la domanda è tipicamente di rivendicazione, poichè il suo fondamento risiede non in un rapporto obbligatorio personale inter partes, ma nel diritto di proprietà tutelato erga omnes, del quale occorre quindi che venga data la piena dimostrazione, mediante la probatio diabolica.

Il Consorzio ha precisato ed allegato l’esistenza di provvedimento di assegnazione provvisoria risalente al 2005 (chiarendo, altresì, che la I. aveva “esondato” dall’area attribuitole, occupando anche spazi ulteriori), per cui non sussiste alcuna delle violazioni di legge lamentate.

Con il secondo mezzo la I. lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 823 e 830 c.c. giacchè le norme invocate sarebbero poste esclusivamente a salvaguardia dei beni demaniali o appartenenti al patrimonio indisponibile, mentre nella specie il suolo in questione non rientrerebbe in alcuna delle due categorie, trattandosi di bene appartenente al patrimonio disponibile, con la conseguenza che il giudice ordinario avrebbe dovuto declinare la giurisdizione.

Il motivo è inammissibile prima che infondato.

L’ordinamento attribuisce alla P.A., con la previsione di cui all’art. 823 c.c., comma 2, la possibilità di ricorrere tanto all’autotutela amministrativa quanto ai mezzi ordinari a difesa della proprietà o del possesso, e tale norma, ancorchè dettata per i beni demaniali, configura espressione di un principio generale, valido per ogni situazione giuridica in cui siano esperibili rimedi giurisdizionali, riconoscendo alla Pubblica Amministrazione la facoltà, in alternativa all’esercizio dei propri poteri di autotutela, di adire il giudice ordinario a difesa della proprietà, demaniale o patrimoniale, e del possesso, secondo l’espressa previsione della citata norma, la cui portata va estesa alla possibilità di proporre anche contestuale domanda d’accertamento della natura e dell’appartenenza all’Amministrazione stessa di un determinato bene o diritto su di un bene, indipendentemente dall’eventuale possibilità di conseguire analogo risultato con l’esercizio di poteri autoritativi (Cass. Sez. Un. n. 25456 del 2017; Cass. Sez. Un. 10285 del 2012; Cass. Sez. Un. n. 15290 del 2008; Cass. Sez. Un. n. 6852 del 2003; Cass. Sez. Un. n. 6129 del 1986; Cass. Sez. Un. n. 5808 del 1985).

Ciò posto, va osservato che la questione proposta con il ricorso in esame è stata risolta con l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario, atteso che, nella specie, il Consorzio ha ritenuto di agire esercitando azione personale onde conseguire l’immediata restituzione dell’area industriale de qua, assumendo la stessa veste in cui avrebbe potuto agire un soggetto privato per ottenere la tutela di un asserito proprio diritto da altri indebitamente leso, precisamente il diritto nascente dall’avere assegnato in via provvisoria il lotto ***** dell’area industriale di ***** alla I., che continuava a detenerlo nonostante il mancato avveramento della condizione cui era subordinata l’assegnazione definitiva. E siffatta ratio decidendi non risulta criticata dal motivo.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133 nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. In particolare assume la I. che la giurisdizione del giudice ordinario verrebbe meno anche sotto altro profilo: la esistenza delle Delib. Consorzio ASI di assegnazione del lotto in questione dovrebbe comportare la devoluzione al giudice amministrativo della controversia, non vertendosi in ipotesi di occupazione illegittima.

Anche siffatta censura non può trovare ingresso.

La sentenza ha accertato che la situazione verificatasi dopo l’assegnazione provvisoria dell’area industriale e prima di quella definitiva, in relazione al mancato avveramento delle condizioni previste perchè si potesse procedere alla definitività dell’assegnazione, restava soggetta alla giurisdizione del giudice ordinario per non essere la vicenda riconducibile ad un potere dell’Amministrazione.

In mancanza della previsione di un tale potere, la situazione insorta dall’assegnazione provvisoria, accertata l’impossibilità di ottenere il finanziamento e di accedere ai benefici della Regione, è stata configurata come relazione di fatto con il bene, priva di titolo, per tale ragione soggetta alle regole del diritto comune, con la conseguenza sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario.

Ne consegue che il riferimento al D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133 risulta del tutto non pertinente.

Con il quarto ed ultimo motivo la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè dell’art. 112 c.p.c., oltre ad omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ad avviso della I. la corte partenopea rispetto ai molteplici profili di doglianza formulati in appello si sarebbe espressa esclusivamente con riferimento alla questione del contributo (non ottenuto) e alle vicende processuali ad essa relativa, mentre mancava ogni motivazione sul resto, come la mancanza di prova circa la titolarità del bene in capo al Consorzio, l’occupazione delle aree da parte della ricorrente, l’entità della superficie, il periodo temporale di detta eventuale occupazione, che lo stesso aveva inammissibilmente prospettato di dimostrare attraverso l’articolazione di prova testimoniale.

Anche l’ultima censura non può trovare accoglimento, giacchè con essa vengono reiterati i motivi di appello senza confrontarsi in alcun modo con la statuizione della corte territoriale che ha ritenuto l’irrilevanza dell’accertamento circa la titolarità del diritto dominicale sull’area industriale in capo al Consorzio trattandosi di esercizio di azione personale.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

A siffatta pronuncia consegue la condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna la I. alla rifusione delle spese processuali, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite, il 19 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2018

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