LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20136/2018 proposto da:
A.K., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Fraternale Antonio, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso la sentenza n. 528/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, del 26/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/04/2019 dal cons. Dott. GHINOY PAOLA.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’Appello di Ancona confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato la domanda proposta da A.K. volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale.
2. La Corte premetteva che il richiedente aveva riferito davanti alla Commissione di essere nato in ***** dove viveva con la propria famiglia e di avere lasciato il suo paese a seguito di scontri politici che avevano causato la distruzione del suo negozio, con conseguente difficoltà di far fronte ai debiti contratti, anche con la banca, per aprirlo. Il racconto non risultava tuttavia circostanziato e nel complesso non appariva tale da meritare il riconoscimento dello status di rifugiato, in quanto indicava che il richiedente era fuggito dal suo paese per motivi personali di natura puramente economica, considerato che ivi nessun pericolo reale egli aveva corso, se non di aver avuto il negozio distrutto durante gli scontri politici, e di avere debiti e di essere minacciato dai creditori; aveva inoltre riferito di essere andato in ***** per fuggire dalle minacce dei creditori quando già in quel periodo la ***** era in situazione critica per poi approdare in Italia. Proprio la genericità e le incongruenze delle dichiarazioni rese non consentivano di valutare la loro coerenza e plausibilità rispetto alle condizioni generali del paese di origine. Il mero riferimento al contesto storico fattuale in cui si sarebbe inserita la vicenda personale non era sufficiente ad avviso del giudice di merito a fondare l’accoglimento della domanda, non potendo l’esistenza delle condizioni per il riconoscimento della protezione internazionale desumersi, nonostante l’attenuato onere probatorio, da riferimenti generici a situazioni presenti nel paese di provenienza, non accompagnati da elementi di maggior dettaglio o da riscontri individualizzanti che consentano un ragionevole collegamento alle vicende personali.
3. Tali argomentazioni valevano anche a supportare il rigetto del riconoscimento della protezione sussidiaria, in quanto la situazione del ***** non risultava essere connotata da conflitto armato o situazione di anarchia e caos indiscriminato.
4. Non erano infine specificamente allegate nè potevano ritenersi dimostrate specifiche situazioni soggettive tali da giustificare il permesso di soggiorno per motivi umanitari, senza che sussistesse lesione di diritti umani di particolare entità.
5. Per la cassazione della sentenza A.K. ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, cui il Ministero dell’Interno non ha opposto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6. Il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 1, lett. e) laddove non viene considerata e sussunta nell’ambito di applicazione della detta norma la motivazione sociopolitica sottesa all’istanza di protezione internazionale proposta dal ricorrente, con conseguente omesso esame della situazione di instabilità politico democratica e rischio di un serio pericolo di essere perseguitato per la diversa opinione politica indipendentemente dal fatto che l’odierno ricorrente abbia tradotto tali opinioni in atti concreti.
7. Contesta il carattere solo apparente della motivazione adottata dalla Corte territoriale al fine di negare l’attendibilità di quanto rappresentato in sede di audizione dal ricorrente. Sostiene che la Corte non avrebbe considerato che un danno grave può essere apportato anche da un agente non statuale, sì che era suo preciso dovere verificare la credibilità del racconto acquisendo informazioni sul paese di origine in ordine ai gravi fatti raccontati per verificare se effettivamente in caso di mancato pagamento di un debito il debitore rischi violente rappresaglie e/o vendette private da parte del creditore insoddisfatto, senza che le autorità del ***** siano effettivamente in grado di offrire adeguata protezione, oppure se sussista concreta possibilità per il debitore inadempiente di subire una pesante pena detentiva. Aggiunge che non è richiesto il compimento di atti concreti o azioni politiche per configurare i motivi di persecuzione.
8. Il ricorso è infondato con riguardo alle doglianze relative al denegato riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).
9. Occorre qui ribadire che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018). Il ricorso al Tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. n. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore. I fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono dunque necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale. In difetto di allegazioni circa la sussistenza di ragioni tali da comportare – alla stregua della normativa sulla protezione internazionale – per il richiedente un pericolo di un grave pregiudizio alla persona, in caso di rientro in Patria, la vicenda narrata deve considerarsi di natura strettamente privata, come tale al di fuori dai presupposti per l’applicazione, sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 (cfr. Cass., 15/02/2018, n. 3758).
10. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce poi un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – il cui esito è censurabile nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5 – il quale deve valutare se le dichiarazioni rese siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c) (Cass. 3340/2019). Ed infatti, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria – con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) – nel Paese di origine, salvo che ipotesi neppure allegata nella specie – la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 27/06/2018, n. 16925; Cass. 12/11/2018, n. 28862).
11. Nel caso, la valutazione di non credibilità soggettiva è stata adeguatamente compiuta dal giudice di merito, con valutazione che non è stata qui fatta oggetto di specifica censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, mediante la valorizzazione di fatti obliterati dal giudice di merito la cui valutazione avrebbe determinato un diverso esito del giudizio, considerato che neppure il richiedente ha riferito di essersi rivolto alla polizia locale per essere tutelato.
12. Con riguardo invece alla sussistenza della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c).
Il motivo è fondato.
13. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi, in particolare, della richiamata D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. t) è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio (Cass. n. 17075 del 28/06/2018 e precedenti ivi richiamati) e tale accertamento deve essere aggiornato al momento della decisione (cfr. Cass. 14998/2015, 24064/2015, 13172/2013, Cass. 10202/2011).
14. La Corte d’appello ha dunque errato nell’affermare in maniera del tutto immotivata che il paese non sarebbe interessato da violenze indiscriminate rilevanti agli effetti indicati, senza dare conto dell’effettuazione delle necessarie verifiche, pur a fronte dello specifico motivo di appello su tale aspetto.
15. La sentenza impugnata va in conclusione cassata, in relazione alla censura accolta, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale effettuerà l’esame omesso e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019