LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22122-2017 proposto da:
S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 63, presso lo studio dell’avvocato MILITERNI GIUSEPPE MARIO, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCHESE GIOVANNI;
– ricorrente –
contro
SOCIETA’ CATTOLICA DI ASSICURAZIONI COOP. A R.L., in persona del Procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 55, presso lo studio dell’avvocato CORBO’FILIPPO MARIA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CORBO’
FEDERICO MARIA;
– controricorrente –
contro
M.G.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 430/2016 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 14/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata 1 21/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSETTI MARCO.
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2004 S.F. (all’epoca dei fatti minorenne, e rappresentato ex art. 320 c.c. dal padre S.A.) convenne dinanzi al Tribunale di Messina M.G. e la Società Cattolica di Assicurazioni coop. a r.l. (d’ora innanzi, “la Cattolica”), esponendo di avere patito danni alla persona in conseguenza di un sinistro stradale ascrivibile a responsabilità di M.G. e, per esso, del suo assicuratore della r.c.a., la Cattolica. Chiese, di conseguenza, la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei suddetti danni.
Tra gli altri pregiudizi, dedusse di avere patito un trauma dentario, la cui cura avrebbe richiesto un esborso monetario per l’impianto di protesi e per la loro sostituzione negli anni a venire.
2. Il Tribunale di Messina dispose una consulenza tecnica per stimare il danno alla salute patito dall’attore, nonchè il danno patrimoniale rappresentato dalle spese mediche anche future.
Il consulente tecnico depositò una relazione nella quale affermò che la vittima avrebbe dovuto sostenere in futuro le seguenti spese:
-) quattro devitalizzazioni ad un costo complessivo di Euro 400;
-) quattro ricostruzioni in materiale composito per un totale complessivo di 1.000 Euro;
“quattro protesizzazioni in ceramica del costo di Euro 1.200 cadauna da rinnovare altre 5 volte”.
Con sentenza n. 1019 del 2014 il Tribunale di Messina, dopo avere dichiarato di condividere la c.t.u., liquidò il danno patrimoniale per cure odontoiatriche in Euro 7.400.
3. La sentenza venne appellata da S.F., il quale dedusse che le spese mediche future, per come stimate dal consulente tecnico d’ufficio, si sarebbero dovute liquidare in Euro 30.200, e non in Euro 7.400.
Dedusse che quattro protesizzazioni del costo di Euro 1.200 l’una, da rinnovare per cinque volte, più gli altri Euro 1.400 complessivi di cui s’è detto poc’anzi, davano per risultato la somma di Euro 30.200.
4. La Corte d’appello di Messina con sentenza 14 luglio 2016 n. 430 rigettò il gravame.
Ritenne la Corte d’appello che il Tribunale non aveva affatto sottostimato il danno per spese mediche future.
Il giudice di secondo grado, dopo avere premesso che le indicazioni del c.t.u. non sono vincolanti per il giudice, ha ritenuto che correttamente il Tribunale avesse liquidato a titolo di danno patrimoniale per spese mediche un importo inferiore a quello indicato dall’ausiliario, in quanto in tal modo ha tenuto conto del montante di anticipazione e “della svalutazione che l’importo liquidato subirebbe medio tempore tra la data della liquidazione ed il momento di effettivo esborso delle somme”.
5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da S.F. con ricorso fondato su quattro motivi ed illustrato da memoria. Ha resistito con controricorso la società Cattolica di assicurazione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, che il provvedimento impugnato sarebbe sia “carente di motivazione”, sia sorretto da una “motivazione illogica e contraddittoria” (così nell’epigrafe del motivo).
Nella illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per aver adottato una motivazione “carente ed incongruente con l’oggetto del gravame con i Atti di causa, e comunque non rispondeva afitto a quanto era stato espresso, a sua volta, nella sua motivazione, dal giudice del primo grado”.
Il ricorrente deduce che il giudice di primo grado era incorso in un mero errore di calcolo, consistito nel non moltiplicare per cinque (pari al numero dei necessari rinnovi vita natural durante) il costo delle protesi dentarie di cui l’attore avrebbe avuto bisogno, ma non aveva affatto inteso discostarsi dalle indicazioni del consulente: semplicemente aveva sbagliato nel dar loro concreta applicazione.
La Corte d’appello, invece, aveva negato che il Tribunale fosse incorso in errori di sorta, ma aveva spiegato tale conclusione con una motivazione disancorata dall’effettivo contenuto dell’atto di gravame.
1.2. Il motivo è fondato.
La motivazione delle sentenze di merito può essere sindacata in sede di legittimità, nei più ristretti limiti oggi consentiti, rispetto al passato, dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ancora in quattro casi:
a) nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”;
b) nel caso di “motivazione apparente” (perchè, ad esempio, tautologica) c) nel caso, infine, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”;
d) nel caso di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” (così Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
L’ultima ipotesi è quella che, ad avviso di questa Corte, si è verificata nel caso di specie.
1.3. Come accennato nella parte dedicata all’esposizione dei fatti di causa, nel corso del giudizio di primo grado il Tribunale nominò un consulente tecnico, al quale chiese se il fatto illecito avesse provocato la necessità per la vittima di sostenere spese mediche future.
Il consulente diede risposta affermativa, ritenendo che il danneggiato avrebbe dovuto sostenere le seguenti spese:
-) quattro devitalizzazioni ad un costo complessivo di Euro 400;
-) quattro ricostruzioni in materiale composito per un totale complessivo di 1.000 Euro;
-) “quattro protesizazzioni in ceramica del costo di Euro 1.200 cadauna da rinnovare altre 5 volte”.
Il consulente, quindi, aveva indicato come congrue spese future per complessivi Euro 400+1.000+ (1.200-4-6), e dunque Euro 30.200. Il Tribunale, pur dichiarando di condividere le conclusioni del consulente d’ufficio, aveva tuttavia stimato il danno di cui si discorre nella minor somma di Euro 7.400.
1.4. La Corte d’appello, chiamata a stabilire se tale liquidazione fosse stata corretta o meno, ha optato per la soluzione positiva. Ha motivato tale decisione scandendo i seguenti passaggi:
(a) ha interpretato la sentenza di primo grado nel senso che il Tribunale non fosse affatto incorso in una svista, ma avesse scientemente disatteso l’opinione del c.t.u.;
(b) ha ricordato il principio – indiscutibile – secondo cui l’opinione dell’ausiliario non è mai vincolante per il giudice;
(c) ha concluso che correttamente il Tribunale si era discostato dall’opinione del c.t.u., perchè nella liquidazione del danno occorreva tenere conto del montante di anticipazione e “della svalutazione che l’importo liquidato subirebbe medio tempore tra la data della liquidazione ed il momento effettivo esborso delle somme”.
1.5. Questa motivazione è, ad avviso di questa Corte, effettivamente viziata da un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”.
La Corte d’appello, infatti, doveva giudicare della correttezza d’una sentenza che, dopo avere dichiarato di volere condividere la relazione del consulente d’ufficio, l’aveva nella sostanza disattesa.
Essendo inequivoco il tenore letterale della relazione di consulenza, la Corte d’appello, teoricamente, non aveva dinanzi a sè che due strade:
-) o ritenere corretta e condivisibile la consulenza tecnica d’ufficio; ed in tal caso avrebbe dovuto accogliere il gravame e riformare la sentenza di primo grado che l’aveva invece disattesa;
-) oppure, all’opposto, ritenere corretta la sentenza di primo grado: ma in tal caso avrebbe dovuto spiegare per quale ragione la stima delle spese future per cure dentarie, come compiuta dal consulente d’ufficio, non potesse ritenersi condivisibile.
La sentenza impugnata, per contro, dopo avere dichiarato di condividere la sentenza di primo grado la quale, a sua volta, aveva “pienamente condiviso le risultane della c.t.u.” (così la sentenza d’appello, p. 4), è pervenuta ad un risultato molto lontano da quello indicato come corretto dall’ausiliario del Tribunale.
E’ in questo passaggio che s’annida il vizio di “contrasto irriducibile tra alle affermazioni inconciliabili”: non è, infatti, possibile da un lato dichiarare di condividere “pienamente” le indicazioni del consulente d’ufficio, e dall’altro disattenderle nella sostanza.
Data, infatti, una relazione di consulenza che affermi il fatto ” A”, ed una sentenza di primo grado che, annunciando di condividerla, proclami invece il fatto “B”, la sentenza d’appello la quale confermi quella di primo grado finisce per affermare e negare, contemporaneamente, il fatto “A”: e dunque incorre in un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.
1.6. Resta solo da aggiungere come le osservazioni svolte dalla sentenza d’appello alla p. 4, quarto e quinto capoverso, lungi dal sanare la suddetta contraddittorietà, sembrano aggravarla.
La Corte d’appello infatti ha affermato che correttamente il Tribunale, pur condividendo la relazione di consulenza, se ne era discostato, e ciò al fine di tenere conto:
(a) del montante d’anticipazione;
(b) della “svalutazione che l’importo liquidato subirebbe medio tempore tra la data della liquidazione ed il momento di effettivo esborso delle somme”.
Il richiamo alla “svalutazione” appare tuttavia incomprensibile, posto che in caso di pagamento immediato di un danno che si verificherà tra n anni, il fenomeno inflattivo nuoce al creditore e non al debitore. E’ infatti il primo, e non il secondo, a vedersi pagare in moneta che, all’epoca in cui dovrà essere spesa, avrà verosimilmente perduto parte del proprio valore reale, o potere d’acquisto che dir si voglia.
Il richiamo al “montante d’anticipazione” appare parimenti incomprensibile.
Colui il quale incassa oggi il risarcimento di un danno che si verificherà tra n anni realizza un vantaggio finanziario, rappresentato dalla possibilità di investire la somma incassata e trarne un lucro finanziario, nel periodo compreso tra la solutio e l’effettivo avverarsi del danno (c.d. interusurium).
Per tenere conto dell’anticipato pagamento si deve ricorrere alla formula dello sconto matematico, che è pari al rapporto tra il prodotto del capitale per il saggio d’interesse atteso o previsto, e il tempo di anticipazione.
Nel caso di specie il Tribunale ha stimato il danno patrimoniale in misura pari a meno di un quarto di quello indicato dall’ausiliario, pur affermando di volere condividere la relazione di questi.
Il Tribunale ha dunque applicato uno sconto matematico di oltre il 75%.
E tuttavia, data la suddetta formula matematica dello sconto; dato un capitale di 30.200 Euro, ed anche ipotizzando un saggio di inflazione soltanto del 2%, per decurtare quel capitale del 75% sarebbe occorsa un’anticipazione di circa 152 anni rispetto alla data di effettiva verificazione del danno.
Anche sotto questo profilo, pertanto, la decisione impugnata si rivela insanabilmente contraddittoria, quando non apertamente irrazionale.
1.7. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Messina, la quale provvederà a sanare le mende motivazionali sopra evidenziate.
2. Gli ulteriori motivi di ricorso restano assorbiti.
3. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
(-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 21 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2019