LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 19173/2014 r.g. proposto da:
COFELY ITALIA s.p.a., (cod. fisc. *****), con sede in Roma, alla via Ostiense n. 333, in persona dell’amministratore e legale rappresentante pro tempore Dott. C.E., e COFELY PROGETTI s.p.a. in liquidazione (cod. fisc. *****), con sede in Roma, alla via Ostiense n. 333, in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore Dott. G.G., entrambe rappresentate e difese, giusta procure speciali apposte in calce al ricorso, dagli Avvocati Francesco Picone ed Alfonso Picone, presso il cui studio elettivamente domiciliano in Roma, alla via Gramsci n. 22;
– ricorrenti –
contro
FALLIMENTO ***** s.p.a. in liquidazione (cod. fisc. *****), in persona del curatore Avv. D.P., rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Guglielmo Pericoli, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla via Girolamo da Carpi n. 6;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA depositato in data 02/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/05/2019 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Cofely Italia s.p.a., (già Cofathec Servizi s.p.a.) e Cofely Progetti s.p.a. (già Cofatech Progetti s.p.a.) chiesero l’ammissione al passivo del fallimento di ***** s.p.a., in via chirografaria, dei rispettivi crediti di Euro 2.886.183,62 e di Euro 413.047,05, nascenti da contratti di appalto dalle prime intrattenuti con quest’ultima società in bonis.
1.1. Il giudice delegato rigettò la domanda della prima per carenza di prova dei maggiori oneri di cui alla richiesta di ammissione, ed accolse quella della seconda per l’importo capitale di Euro 385.427,43, oltre interessi legali fino alla data di fallimento.
1.2. Pronunciandosi sulle opposizioni tempestivamente proposte, L. Fall., ex art. 98, dalle predette società creditrici, il Tribunale di Roma, con decreto del 2 luglio 2014, dichiarò inammissibile, per carenza di interesse, quella della Cofely Progetti s.p.a., priva di qualsivoglia censura in ordine all’avvenuta ammissione del suo credito, nessun pregiudizio, peraltro, essendole derivato – non risultando effettuati, medio tempore, riparti parziali – per effetto della dedotta non imputabilità del ritardo nella presentazione della relativa domanda (esaminata nell’ambito delle tardive). Respinse, invece, quella della Cofely Italia s.p.a., giudicando infondate le pretese su cui quest’ultima aveva ivi insistito, afferenti (a) gli asseriti danni subiti in conseguenza dell’anomala protrazione dei lavori imputabile alla committente e (b) gli interessi maturati per il sistematico ritardo nel pagamento dei SAL.
1.2.1. Ritenne, in particolare, quel tribunale, che, alla stregua della espletata c.t.u., doveva escludersi che la protrazione dei lavori predetti fosse ascrivibile alla Ericcson Telecomunicazioni (poi divenuta *****). Affermò, inoltre, che non erano presenti in atti, nè tanto meno erano stati prodotti nel corso delle operazioni peritali, documenti giustificativi quanto al ritardo dei pagamenti dei SAL in discussione ed all’entità di detti ritardi.
1.3. Avverso questo decreto, Cofely Italia s.p.a. ricorre per cassazione, affidandosi a cinque motivi, cui resiste, con controricorso, la curatela fallimentare della ***** s.p.a.. Nel ricorso, peraltro, si legge che ad esso “partecipa Cofely Progetti s.p.a. per assicurare la corretta instaurazione del contraddittorio”.
2. Le formulate doglianze denunciano, rispettivamente:
I) “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1223 c.c., ed omessa considerazione del fatto della durata anomala del rapporto”. Si assume che il tribunale capitolino, sull’illegittimo presupposto che gravasse sul creditore dimostrare l’altrui inadempimento, aveva addossato alla Cofely Italia s.p.a. le conseguenze negative della corrispondente mancata prova, e tale violazione era aggravata dal fatto che la curatela fallimentare, in sede di verifica, aveva contestato solo il quantum del credito della prima, confutandone l’an solo nella successiva opposizione spiegata da quest’ultima L. Fall., ex art. 98. Quel giudice, inoltre, nemmeno aveva esaminato la documentazione dalla stessa prodotta circa l’asserita durata anomala del rapporto, fermandosi alla considerazione della sua non imputabilità alla Ericcson Telecomunicazioni (poi divenuta *****);
II) “Errore nell’applicazione ed interpretazione degli artt. 1218 e 1223 c.c. sul primo capo di domanda (danni da anomalo andamento dei lavori); omessa considerazione del fatto della durata del rapporto”. Si sostiene che il tribunale, dopo aver acriticamente recepito la conclusione del c.t.u. secondo la quale la concreta durata dell’appalto non era imputabile ad Ericcson, bensì a terzi, aveva omesso di valutare qualsiasi impatto o rilevanza del fatto oggettivo ed incontestabile della durata del rapporto, pur ampiamente documentata dalla odierna ricorrente con la produzione della corrispondenza contrattuale ed i riepiloghi delle lavorazioni;
III) “Violazione nell’applicazione ed interpretazione degli artt. 1218 e 1224 c.c., in relazione alle norme contrattuali sui tempi dei pagamenti (secondo capo di domanda: interessi per ritardato pagamento)”. La doglianza reca critiche all’elaborato del c.t.u., le cui conclusioni erano state, poi, recepite dal tribunale che, a sua volta, correttamente applicando la legge e le norme contrattuali, avrebbe dovuto prendere atto della mancata dimostrazione, a cura del fallimento, delle ragioni giustificative dei ritardati pagamenti e liquidare gli interessi conformemente ai danni acquisiti al processo;
IV) “Violazione delle norme di legge sulle regole dell’istruzione probatoria: omessa pronuncia sulle richieste di prova testimoniale e richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica di ufficio”. Si lamenta l’omessa pronuncia, ad opera del tribunale, sulla rilevanza ed ammissibilità della prova testimoniale ivi articolata da Cofely Italia s.p.a., altresì prospettandosi vizi della espletata c.t.u. e chiedendosene la rinnovazione;
V) “Violazione delle norme di legge in tema di liquidazione degli onorari”. Si critica l’avvenuta applicazione del D.M. n. 55 del 2014, in luogo del D.M. n. 140 del 2012, e si ascrive al tribunale di non aver tenuto conto, nella liquidazione delle spese di lite, delle caratteristiche specifiche delle difese in atti, della estrema concentrazione del processo e della attività processuali decisamente inferiori rispetto ad un ordinario giudizio di merito.
3. I primi due motivi, esaminabili congiuntamente perchè connessi, sono complessivamente insuscettibili di accoglimento.
3.1. Giova premettere che, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, nel giudizio di opposizione allo stato passivo non opera, malgrado la sua natura impugnatoria, la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c. in materia di ius novorum, con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore, in quanto il riesame, a cognizione piena, del risultato della cognizione sommaria proprio della verifica, demandato al giudice dell’opposizione, se esclude l’immutazione del thema disputandum e non ammette l’introduzione di domande riconvenzionali della curatela, non ne comprime, tuttavia, il diritto di difesa, consentendo, quindi, la formulazione di eccezioni non sottoposte all’esame del giudice delegato (cfr., ex multis, Cass. n. 19003 del 2017; Cass. n. 8929 del 2012).
3.1.1. Pertanto, quand’anche volesse ritenersi, in via di mera ipotesi, che il parere negativo reso dal curatore, in sede di verifica, con riferimento al credito di Cofely Italia s.p.a. – “esclusione in quanto non vi è prova dei maggiori oneri di cui alla richiesta di ammissione” – si riferisse al quantum, e non all’an dello stesso, nulla avrebbe comunque impedito alla curatela fallimentare, costituendosi in sede di opposizione L. Fall., ex art. 98, di formulare eccezioni nuove ed ulteriori rispetto a quanto dedotto, in precedenza, innanzi al giudice delegato, confutando anche integralmente il merito dell’avversa pretesa.
3.1.2. Muovendo, dunque, da questa conclusione, affatto legittimamente il tribunale capitolino, onde stabilire la imputabilità, o meno, alla committente della durata dell’appalto de quo, circostanza logicamente alla base della insinuazione al passivo invocata dalla Cofely Italia s.p.a. per asseriti danni da anomalo andamento dei lavori, ha inteso avvalersi di una c.t.u. all’esito della quale è emersa, come agevolmente si desume dal decreto impugnato, l’insussistenza di elementi per individuare l’asserito inadempimento della ***** s.p.a. nei confronti della Cofely Italia s.p.a.. Il rallentamento dei lavori dipese, in realtà: 1) dallo stato di crisi – sfociato, poi, nel fallimento – della mandataria dell’A.T.I. GEPCO; 2) dal ritardo con cui l’amministrazione appaltante procedette alla sottoscrizione del secondo contratto con la nuova A.T.I. per le opere di completamento; 3) dalle difficoltà finanziarie della mandataria della nuova A.T.I. (cfr. pag. 2-3 del decreto impugnato).
3.1.3. E’ evidente, poi, che, una volta esclusa la responsabilità della committente (Ericcson, poi divenuta ***** s.p.a.) in ordine al protrarsi dei lavori dell’appalto in questione, era venuto meno il presupposto stesso dell’istanza risarcitoria della Cofely Italia s.p.a., con conseguente irrilevanza degli ulteriori profili segnalati da quest’ultima circa la durata anomala del rapporto ai fini della decisione della corrispondente domanda. Nemmeno sarebbe, quindi, effettivamente ipotizzabile il prospettato vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non avendo comunque investito il preteso omesso esame fatti decisivi.
4. Il terzo motivo è inammissibile, atteso che pretende di ricavare asserite violazioni – da parte del tribunale che aveva recepito le argomentazioni del c.t.u. – nell’applicazione ed interpretazione degli artt. 1218 e 1224 c.c. dalle critiche che muove alla relazione peritale, di cui nemmeno riporta in ricorso (come sarebbe stato suo specifico onere, in ossequio al principio desumibile dal combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) i corrispondenti passi motivazionali.
4.1. E’, quindi, sufficiente ribadire che, in ogni caso, la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non potendo il giudizio di legittimità essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).
5. Parimenti inammissibile è il quarto motivo.
5.1. Esso, da un lato, insiste nel criticare la relazione di c.t.u., non riportandone, però, i corrispondenti passaggi motivazionali; dall’altro, nemmeno indica i capitoli di prova testimoniale di cui era stata domandata l’assunzione, così totalmente obliterandosi il principio, reiteratamente sancito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la censura contenuta nel ricorso per cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è inammissibile se il ricorrente, oltre a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare – elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto – non alleghi ed indichi la prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione e la fase di merito a cui si riferisce, al fine di consentire ex actis alla Corte di cassazione di verificare la veridicità dell’asserzione (cfr. Cass. n. 9748 del 2010; Cass. n. 8204 del 2018).
5.1.1. Solo per completezza si evidenzia, peraltro, che i capi di prova che si rinvengono alle pag. 16-17 del ricorso, dopo la conclusione della trattazione dei singoli motivi, si rivelano affatto generici, e, comunque, riguardano il protrarsi dei lavori dell’appalto, la cui imputabilità alla committente è stata esclusa dal tribunale alla stregua delle risultanze della espletata c.t.u.. Si tratterebbe, quindi, di mezzo istruttorio tutt’altro che decisivo.
6. Il quinto motivo, infine, è in parte infondato ed in parte inammissibile.
6.1. In particolare, esso è infondato laddove ascrive al tribunale romano di aver applicato, nella liquidazione delle spese giudiziali, “il D.M. n. 55 del 2014, senza tenere conto che, in ragione della successione delle norme nel tempo, avrebbe dovuto fare riferimento, quanto meno in maniera del tutto prevalente, al D.M. n. 140 del 2012”. Invero, come già chiarito da questa Corte, in tema di spese processuali, i parametri introdotti dal D.M. n. 55 del 2014, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti, trovano applicazione ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga – come accaduto nella specie – in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto, ancorchè la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, purchè a tale data la prestazione professionale non sia stata ancora completata (cfr. Cass. n. 31884 del 2018).
6.1.1. Lo stesso è, invece, inammissibile, per la sua evidente genericità, nella parte in cui si limita ad assumere che il tribunale a quo, liquidando le spese di lite, non avrebbe tenuto conto “delle caratteristiche specifiche delle difese in atti, della estrema concentrazione del processo e della attività processuali decisamente inferiori rispetto ad un ordinario giudizio di merito”.
7. Il ricorso, dunque, va respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità a carico della sola Cofely Italia s.p.a. (non avendo la Cofely Progetti s.p.a. in liquidazione svolto alcuna impugnazione), e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) della sussistenza dei presupposti per l’applicazione, a carico della sola predetta ricorrente, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la sola Cofely Italia s.p.a. al pagamento, nei confronti del fallimento ***** s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 13.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte esclusivamente della predetta ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 22 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019