Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.18587 del 10/07/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32318-2018 proposto da:

E.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA ZUPPELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO *****;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1538/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 04/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 07/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TRICOMI LAURA.

RITENUTO

CHE:

E.P., nato in Nigeria, con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008 ex art. 35, impugnava dinanzi il Tribunale di Brescia, con esito sfavorevole, il provvedimento di diniego della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

Il richiedente, che aveva narrato di essere stato sorpreso a consumare un rapporto sessuale con un compagno del medesimo sesso, il quale era stato per tale motivo arrestato, e di essere fuggito temendo la medesima sorte, proponeva gravame dinanzi alla Corte di appello di Brescia che ha confermato integralmente la prima decisione, ritenendo non credibile il racconto non solo in relazione alla vicenda narrata, ma anche quanto alla dedotta inclinazione sessuale, osservando anche che nella zona della Nigeria di provenienza del richiedente – Edo State – non vi era una situazione assimilabile ad un conflitto armato interno o internazionale tale da indurre una minaccia grave ed individuale alla persona del richiedente e che non erano emerse situazioni di particolare vulnerabilità, nè erano stati forniti elementi atti a valorizzare l’integrazione sociale.

Avverso detta sentenza il richiedente propone ricorso per cassazione, articolato in due motivi.

Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, e del T.U.I., art. 5, comma 6, lamentando che la Corte di appello non avrebbe preso in esame la documentazione prodotta e non avrebbe attivato i poteri istruttori officiosi.

2. Con il secondo motivo si denuncia la motivazione omessa, contraddittoria, insufficiente su questioni controverse e decisive, lamentando in merito alla ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente circa le ragioni del suo allontanamento dal Paese natale e sostenedo che la motivazione non risponda al minimo costituzionale richiesto 3. Il primo motivo è inammissibile perchè il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo, giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella decisione impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n. 24298 del 29/11/2016). Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata.

Invero nel caso di specie la doglianza, oltre ad essere formulate in maniera apodittica, non risulta nemmeno connotata dalla necessaria specificità poichè non illustra a quali documenti intenda riferirsi e quale ne potesse essere la decisiva rilevanza.

4. Il secondo motivo è inammissibile.

Invero la motivazione pur stringata risponde al minimo costituzionale richiesto e la doglianza, proposta quale vizio motivazionale, non corrisponde al modello codicistico, posto che “La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito.” (Cass. n. 3340 del 05/02/2019 Schirò).

Nel caso di specie non solo la statuizione è motivata, ma il ricorrente non indica nemmeno quale sarebbe il fatto di cui è stato omesso l’esame, limitandosi a ripercorrere il disposto normativo in maniera astratta ed assertiva, lamentando ancora una volta la mancata attivazione di poteri istruttorio officiosi. Su tale ultimo profilo il motivo non coglie nel segno, atteso che, nello specifico, la Corte di appello vi ha assolto acquisendo informazioni da fonti ufficiali sulla situazione del Paese (Amnesty International 2017) ed ha valutato con un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito e censurabile nei ristretti limiti del nuovo art. 360 c.p.c., n. 5.

5. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese di giudizio per assenza di attività difensive della controparte.

Non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, risultando l’ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2019

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