Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.19474 del 18/07/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2117-2018 proposto da:

C.G., CU.GR., elettivamente domiciliati in ROMA, LUNGOTEVERE DEI MELLINI 44, presso lo studio dell’avvocato ZAMPONE ALESSANDRO, rappresentati e difesi dagli avvocati STICCO ELIO, STICCO ANNAMARIA giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

F.A., domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato CERRACCHIO ALBERTO giusta procura in calce al controricorso;

C.A.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO, 212, presso lo studio dell’avvocato BRASCA LEONARDO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PANNONE RAFFAELE giusta procura in calce al controricorso;

V.A.M., F.V., F.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTAIONE, 48, presso lo studio dell’avvocato RIVELLINI FRANCESCO, rappresentati e difesi dall’avvocato CAVUOTO MARIALUISA giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

F.D., C.P., C.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 775/2017 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 13/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/04/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

Lette le memorie depositata dalla ricorrente.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE F.L. e C.A.G. – nella qualità di eredi di F.V., la prima quale figlia, la seconda quale figlia della figlia premorta F.E. – convennero dinanzi al Tribunale di Benevento gli altri eredi del de cuius nelle persone della moglie Fe.Ma.An. e dei figli F.A., F.D., F.M. e F.S..

Esposero che il de cuius aveva donato in vita o lasciato per mezzo di due testamenti ai figli F.A., F.D. e F.S. gran parte dei suoi beni; che i beni relitti risultavano insufficienti ad assicurare le quote di legittima ad esse spettanti. Chiesero, pertanto, che il Tribunale dichiarasse l’apertura della successione di F.V.; acquisisse alla massa ereditaria gli immobili oggetto degli atti di disposizione del de cuius in favore dei convenuti; disponesse le necessarie riduzioni al fine di reintegrare le loro quote di legittima; procedesse alla divisione ereditaria, con ogni provvedimento consequenziale anche in ordine ai frutti e alle rendite.

Si costituirono i convenuti, che resistettero alle domande attoree.

A seguito del decesso di Fe.Ma.An., intervenuto in corso di causa, il processo prima fu interrotto, poi fu riassunto con atto di citazione della sola F.L., la quale – avendo la F. con testamento olografo nominato suo unico erede universale il figlio F.S. – propose, con riferimento alla successione della madre, le medesime domande già proposte con riferimento alla successione paterna, chiedendo ritenersi l’inefficacia del testamento lesivo della quota di riserva ad essa spettante.

Il giudizio di primo grado fu definito con due sentenze.

Con sentenza non definitiva n. 1673/2002, il Tribunale di Benevento dispose l’integrazione delle quote di riserva spettanti a F.L. ed a C.A.G. con riferimento alla successione di F.V., nonchè della quota di riserva spettante a F.L. con riferimento alla successione di Fe.Ma.An..

Con sentenza definitiva n. 2529/2003, il detto Tribunale dispose poi lo scioglimento delle comunioni ereditarie e la divisione dei beni, determinò i conguagli dovuti tra le parti e compensò tra le parti le spese del giudizio, ponendo quelle di C.T.U. a carico della massa.

Avverso tali pronunce proposero gravame in via principale F.L. e in via incidentale F.A. nonchè nella qualità di eredi di F.S., nel frattempo deceduto – V.M., F.V. e F.E..

La Corte di Appello di Napoli, prima con sentenza non definitiva n. 3051/2008, rideterminò il valore dei beni di cui alle disposizioni oggetto di riduzione, dichiarando altresì il diritto della attrici ai frutti civili sui beni relitti in rapporto alle quote di eredità ad esse spettanti; poi, con sentenza definitiva n. 2779/2011, rideterminò le quote ereditarie, l’assegnazione dei beni e i rispettivi conguagli, liquidando le somme dovute alle attrici a titolo di frutti civili, la somma da corrispondere agli eredi di F.S. per i miglioramenti apportati ai beni ereditari, compensando tra le parti le spese del giudizio di appello.

Avverso tale sentenza proponevano ricorso principale F.L. sulla base di sette motivi nonchè F.A. ricorso incidentale affidato a cinque motivi avverso la sola sentenza definitiva.

Resistevano, con separati controricorsi, da un lato C.A.G. nei confronti del ricorso incidentale, dall’altro gli eredi di F.S. nei confronti del ricorso principale. Le altre parti, ritualmente intimate, non svolgevano attività difensiva.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 775 del 13 gennaio 2017 ha rigettato sia il ricorso principale che il ricorso incidentale.

Quanto al ricorso principale rilevava che i primi due motivi erano inammissibili, sottoponendo alla Corte doglianze di merito, relative alla stima del valore dei beni, che non potevano trovare ingresso in sede di legittimità.

Il terzo motivo era ritenuto infondato, in quanto la Corte territoriale aveva evidenziato che il bene oggetto della compravendita del 1956 non era mai appartenuto a F.V., e che non v’era prova che questi avesse versato alcun corrispettivo al fratello Lorenzo, essendo le prove dedotte sul punto non conducenti.

Anche il quarto motivo era dichiarato inammissibile in quanto formulato in maniera criptica, oscura, non adeguatamente svolta e non intellegibile.

Quanto agli altri motivi di ricorso principale volti avverso la sentenza definitiva, il quinto ed il sesto erano considerati inammissibili, in quanto consistevano in censure in fatto relative alla stima del valore dei beni e delle migliorie ad essi apportate, mentre il settimo motivo era infondato, avendo la Corte territoriale disposto la compensazione delle spese con congrua motivazione, insindacabile in sede di legittimità.

In ordine al ricorso incidentale proposto avverso la sentenza definitiva della Corte di Appello di Napoli, il primo motivo era valutato inammissibile, sia perchè non autosufficiente sia perchè comunque formulava doglianze di merito sulla stima del valore dei beni, inammissibili in sede di legittimità.

Il secondo, il quarto e il quinto motivo erano del pari inammissibili, perchè riguardavano questioni che erano state risolte con la sentenza non definitiva non impugnata, vertendo in ogni caso su accertamenti di fatto, insindacabili in sede di legittimità.

Anche il terzo motivo era inammissibile per un duplice ordine di ragioni sia perchè denunciava la violazione di legge senza indicare la disposizione violata sia perchè, in ogni caso, non era specifico, non riportando i passaggi della C.T.U. ove si enunciavano i criteri della stima.

Avverso tale sentenza propongono ricorso per revocazione C.G. e Cu.Gr. quali eredi di F.L., deceduta nel corso del giudizio.

Resistono con controicorso C.A.G., V.M., F.E., F.V. e F.A..

Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.

Con un unico motivo di ricorso si impugna la sentenza di questa Corte n. 775/2017 assumendosi che, in ordine al rigetto del terzo motivo del ricorso principale, concernente la pretesa donazione della quota ereditaria spettante a F.L. sulla successione del padre F.S., sottostante l’apparente atto di compravendita del 1956, sarebbe stato commesso un errore di fatto suscettibile di rientrare nella previsione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, stante la ” svista” del mandato a suo tempo conferito da F.L. (con atto per notaio P. del 28 gennaio 1956) al fratello F.V..

Il ricorso deve però essere dichiarato inammissibile in quanto, come espressamente eccepito dalla difesa dei controricorrenti, tardivamente proposto (11 gennaio 2018), oltre il termine semestrale previsto dall’art. 391-bis c.p.c., comma 1, u.p., così come modificato dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, applicabile al caso di specie in virtù della disposizione transitoria di cui all’art. 2 D.L. citato.

Infatti, l’art. 391-bis c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 1, lett. l), n. 1, introdotto in sede di conversione del citato decreto, ad opera della L. n. 197 del 2016, così recita: “Se la sentenza o l’ordinanza pronunciata dalla Corte di cassazione è affetta da errore materiale o di calcolo ai sensi dell’art. 287 c.p.c., ovvero da errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4), la parte interessata può chiederne la correzione o la revocazione con ricorso ai sensi degli artt. 365 c.p.c. e ss.. La correzione può essere chiesta, e può essere rilevata d’ufficio dalla Corte, in qualsiasi tempo. La revocazione può essere chiesta entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione ovvero di sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento”.

Il citato art. 1-bis, comma 2, nel dettare la disciplina transitoria, ha stabilito che “Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano ai ricorsi depositati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nonchè a quelli già depositati alla medesima data per i quali non è stata fissata udienza o adunanza in Camera di consiglio”.

La L. n. 197 del 2016, art. 1, comma 2, di conversione del D.L. n. 168 del 2016, ha previsto l’entrata in vigore della legge “il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale”, n. 254 del 29/10/2016, con la conseguenza che la data di entrata in vigore è quella del 30/10/2016.

Tornando alla vicenda specie, il ricorso avverso la sentenza di questa Corte di cui i germani C. chiedono la revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, a sua volta pubblicata in data successiva all’entrata in vigore della novella dell’art. 391-bis c.p.c., è stato notificato in data 11/01/2018, e depositato nella cancelleria di questa Corte il 22/01/2018, quindi in data successiva a quella di entrata in vigore della legge di modifica dell’art. 391-bis c.p.c. (30/10/2016).

Ne consegue che, applicandosi il termine previsto dalla nuova disposizione processuale per le ipotesi, come quella in esame, in cui la sentenza della Cassazione non risulta essere stata notificata, il ricorso per revocazione doveva essere proposto entro il termine perentorio di sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento revocando, che andava a scadere il 13/07/2017, data di molto antecedente rispetto a quella di notifica del ricorso effettuata solo in data 11/01/2018 (per l’applicazione della novella di cui all’art. 391-bis c.p.c. ai ricorsi presentati in data successiva alla sua entrata in vigore si veda anche Cass. n. 13358/2018).

Nè tale conclusione è destinata a mutare ove si ritenga di aderire al diverso orientamento secondo cui (cfr. Cass. n. 21280/2018) la riduzione del termine per la proposizione del ricorso per la correzione degli errori materiali o per la revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, disposta – in sede di conversione del D.L. n. 168 del 2016 – dalla L. n. 197 del 2016 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 29 ottobre 2016), si applica solamente ai provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore della legge di riforma (30 ottobre 2016), in applicazione del principio generale posto dall’art. 12 preleggi, non potendosi ravvisare una specifica disciplina transitoria nel D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 2, del citato il quale, disponendo che le novità legislative si applichino ai ricorsi “per i quali non è stata fissata udienza o adunanza in camera di consiglio”, intende riferirsi alle sole norme dettate per la trattazione dei ricorsi e non anche al termine per il deposito degli stessi (conf. Cass. n. 2302/2019), atteso che la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 13/01/2017, risultando quindi del pari applicabile la riduzione del termine di impugnazione come disposta dalla novella.

Ne deriva che non appare idonea ad incidere sulla presente vicenda la questione di massima importanza di rimessa alle Sezioni Unite con l’ordinanza interlocutoria n. 8717 del 28 marzo 2019.

Nelle memorie la ricorrente ha poi dedotto che alla medesima non troverebbe applicazione il termine decadenziale di cui all’art. 327 c.p.c., stante il collegamento con l’art. 328 c.p.c., deducendosi che la morte della propria dante causa era avvenuta nel corso del precedente giudizio di legittimità, sicchè non era stato dichiarato, attesa anche l’impossibilità di ammettere l’interruzione del giudizio di cassazione.

Da tale osservazione fa quindi discendere che sarebbe venuta a conoscenza della sentenza solo allorquando aveva fatto rientro in Italia dagli Stati Uniti.

In alternativa a tale argomentazione, deduce poi che, attesa l’inapplicabilità dell’istituto dell’interruzione in cassazione, alla ricorrente dovrebbe applicarsi la disciplina prevista per il contumace involontario.

Trattasi di deduzioni del tutto prive di fondamento.

In primo luogo risulta erroneo il riferimento alla previsione di cui all’art. 328 c.p.c. che concerne il verificarsi di eventi interruttivi durante la pendenza dei termini per impugnare e che non si attaglia al caso in esame in cui la morte della parte originaria si è verificata nella pendenza del processo (ancorchè la stessa non potesse determinare l’effetto interruttivo del processo).

Risulta poi del tutto improprio il richiamo alla previsione di cui all’art. 327 c.p.c., comma 2, non trattandosi nella fattispecie di un’ipotesi di ignoranza incolpevole del processo correlata alle specifiche cause individuate dalla norma de qua. La ricorrente è subentrata nel processo nella asserita qualità di erede universale dell’originaria parte ricorrente, di guisa che alla medesima si applicano gli stessi termini che sono applicabili alla partire, ove non si fosse verificato l’evento interruttivo, essendo onere dell’erede sincerarsi anche dell’esistenza di eventuali liti pendenti che vedano come parte il de cuius, onde verificare se sia necessario, previa interlocuzione con il difensore eventualmente nominato, compiere atti che impediscano, come nel caso in esame, la formazione del giudicato.

La tesi sostenuta dalla ricorrente nelle memorie perviene all’implausibile conclusione secondo cui ogni qual volta viene a verificarsi la morte di una delle parti del processo, gli eredi dovrebbero essere considerati alla stregua di contumaci involontari, per i quali il termine di impugnazione non potrebbe che decorrere dalla conoscenza effettiva del provvedimento da impugnare, trascurando però il principio di diligenza che impone all’erede di verificare l’esistenza di tutti i rapporti, attivi e passivi, facenti capo al de cuius, ivi inclusi anche quelli di natura processuale.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla a provvedere quanto alle spese nei confronti degli intimati che non hanno svolto difese in questa fase.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti che liquida per F.A. in complessivi Euro 4700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge, per C.A.G. in complessivi Euro 4700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge, e per V.A.M., F.V. e F.E. in complessivi Euro 4700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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