Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.19530 del 19/07/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7031/2018 R.G. proposto da:

M.A., D.S.F., D.S.D., D.S.A. e D.S.P., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Alessandra Giurgola e Paolo Giurgola, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Oberdan, n. 37;

– ricorrenti –

contro

Ministero della Salute, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, n. 66/2017, pubblicata il 23 gennaio 2017;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 5 giugno 2019 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

RILEVATO IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato il 3-4/3/2005 D.S.L. convenne in giudizio davanti al Tribunale di Lecce il Ministero della Salute e la Usl n. ***** di Lecce chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti per aver contratto l’infezione da HCV a seguito di emotrasfusione cui era stato sottoposto nel periodo ***** presso l’Ospedale *****.

Sopravvenuto il decesso dell’attore, si costituirono in giudizio (con comparsa depositata all’udienza del 31/1/2007), per la sua prosecuzione, la moglie e i figli, indicati in epigrafe, reiterando le domande proposte dal proprio dante causa e chiedendo altresì la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni, anche non patrimoniali, loro derivanti, iure proprio, dalla morte dello stesso.

Con sentenza del 31/10/2011 il Tribunale, respinta la preliminare eccezione di prescrizione opposta dai convenuti, accolse la domanda e condannò gli enti convenuti in solido al risarcimento dei danni liquidati in Euro 388.187,44 “per danno biologico” e in Euro 80.000 “per danni morali ed esistenziali”.

2. Avverso tale decisione propose appello il Ministero della Salute deducendo, tra l’altro, l’erroneo rigetto della preliminare eccezione di prescrizione.

Moglie e figli di D.S.L. proposero a loro volta separato appello, lamentando la riduttiva quantificazione del risarcimento, anche in ragione della mancata considerazione di talune voci di danno, nonchè l’erronea liquidazione delle spese.

Riuniti i procedimenti la Corte d’appello di Lecce, con sentenza n. 825/2015, pubblicata il 27/10/2015, per quanto in questa sede interessa:

a) in parziale accoglimento dell’appello proposto dai M. – D.S. condannò il Ministero della Salute al pagamento, in favore di ciascuno di essi, della somma di Euro 146.787, oltre interessi e rivalutazione secondo il calcolo illustrato in motivazione, a titolo di danno subito iure proprio in conseguenza della morte del congiunto, al netto di quanto ricevuto a titolo di indennizzo ex lege 25 febbraio 1992, n. 210 (avendo al riguardo ritenuto operare la compensatio lucri cum damno);

b) dispose, con separata ordinanza, la prosecuzione del giudizio tra le stesse parti in ordine alla pretesa risarcitoria vantata dai predetti appellanti iure hereditario nei confronti del Ministero.

3. Con successiva sentenza n. 66/2017, pubblicata il 23/01/2017, la Corte d’appello, definendo il giudizio anche nei confronti del Ministero della Salute, in accoglimento dell’eccezione di prescrizione dallo stesso reiterata, ha rigettato la domanda di risarcimento del danno dedotto iure hereditatis, confermando la sentenza impugnata per quanto attiene al regolamento delle spese processuali e condannando il Ministero della salute al pagamento di metà di quelle relative al giudizio d’appello, compensata l’altra metà.

In buona sostanza la Corte d’appello, con le due sentenze, per quel che in questa sede interessa, ha riconosciuto in capo a moglie e figli di D.S.L. (solo) il diritto al risarcimento dei danni subiti iure proprio in conseguenza della morte del congiunto, ponendone il relativo obbligo, a titolo di responsabilità extracontrattuale, a carico del solo Ministero della salute.

Ha invece ritenuto prescritto il diritto al risarcimento iure hereditario per i danni sofferti dal proprio congiunto, facendone decorrere il relativo termine dalla data di presentazione della domanda di indennizzo ex lege n. 210 del 1992 (22 settembre 1997).

4. Avverso la sentenza definitiva i familiari nonchè eredi di D.S.L. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui resiste, con controricorso, il Ministero intimato, preliminarmente eccependo l’inammissibilità del ricorso, poichè tardivamente proposto.

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2909,2935 e 2947 c.c., nonchè dell’art. 342 c.p.c., in relazione alla affermata prescrizione del credito risarcitorio da essi vantato, iure hereditatis, nei confronti del Ministero.

Sostengono che tale pronuncia viola il giudicato interno formatosi sulla responsabilità del Ministero anche a tal titolo affermata in primo grado, poichè non fatta oggetto di specifico motivo di appello da parte della predetta amministrazione.

Deducono che comunque erroneamente tale prescrizione è stata affermata con riguardo ai danni verificatisi successivamente alla domanda di indennizzo, e segnatamente a quello rappresentato dalla perdita del bene vita.

11. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano infine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., nonchè del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, art. 5, comma 4 e D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 4,in relazione alla disposta compensazione delle spese per metà.

Rilevano che, in conseguenza del richiesto riconoscimento del diritto al risarcimento del danno iure hereditatis, la compensazione parziale risulterebbe non più giustificata e i compensi andrebbero ricondotti al più elevato scaglione.

Deducono che comunque la quantificazione delle spese è erronea anche con riferimento al più basso scaglione compreso tra Euro 103.000 ed Euro 258.000, non avendo la Corte d’appello considerato anche per le spese di primo grado la maggiorazione dovuta in considerazione del numero delle parti.

3. E’ fondata la preliminare eccezione di tardività del ricorso.

E’ documentato in atti – avendo il controricorrente depositato copia conforme della sentenza impugnata, con la relata di notifica – che la sentenza è stata notificata, in copia munita di formula esecutiva, dall’Ufficiale Giudiziario ad istanza dei procuratori degli odierni ricorrenti (“ed ove occorre di M.A., D.S.F., D., A. e P., iure proprio”: così testualmente si legge nella relata) al Ministero della Salute presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce, per consegna a mani di dipendente addetto e incaricato a ricevere le notificazioni, in data 2 febbraio 2017.

Tale notifica deve considerarsi idonea a far decorrere il termine breve per impugnare ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 170,285 e 325 c.p.c..

Questa Corte ha invero da gran tempo chiarito che, a tali fini, la notifica della sentenza alla parte presso il procuratore costituito deve considerarsi equivalente alla notifica al procuratore stesso ai sensi degli artt. 170 e 285 c.p.c., in quanto l’una e l’altra forma di notificazione sono in grado di soddisfare l’esigenza di assicurare che la sentenza sia portata a conoscenza della parte per il tramite del sud rappresentante processuale, professionalmente qualificato ad esprimere un parere tecnico sulla opportunità e la convenienza della proposizione del gravame (Cass. 13/07/1972, n. 2370; 23/03/1977, n. 1128; 08/03/1979, n. 1435; 18/05/1981, n. 3267; 23/05/1992, n. 6186; 18/08/1998, n. 8143 e, tra le più recenti, Cass. 15/06/2004, n. 11257; 08/05/2008, n. 11216; 11/06/2009, n. 13546; 18/09/2009, n. 20193; 01/09/2014, n. 18493).

Nè l’apposizione della formula esecutiva impedisce l’inizio del decorso del termine breve per l’impugnazione, non avendo rilevanza alcuna, ai fini della decorrenza del detto termine, la volontà della parte che abbia richiesto la notifica (cfr., tra le altre, Cass. 01/09/2014, n. 18493; 11/05/2007, n. 10878; 21/11/2001, n. 14642; 28/04/2000, n. 5449; 25/02/1998, n. 8143 ed, ivi, i precedenti richiamati).

Palesemente priva di pregio è poi la tesi esposta in memoria secondo cui la notifica, essendo avvenuta ad istanza degli eredi (di D.S.L.) iure proprio, non potrebbe considerarsi idonea a far decorrere il termine breve per impugnare nei confronti di loro stessi in quanto titolari di pretesa risarcitoria iure hereditatis.

Non pertinente è al riguardo il richiamo al precedente di Cass. n. 11453 del 1998.

Questo invero fa riferimento ad un caso in cui la notifica della sentenza era stata effettuata dall’avvocato in forza di procura che gli era stata conferita in primo grado esclusivamente dalla parte in proprio (posto che a quel momento l’altra parte di cui essa sarebbe divenuto erede, era ancora in vita).

Il principio richiamato fa dunque leva non già su una artificiosa e certamente da escludere distinguibilità, in capo alla stessa parte processuale che provvede alla notifica della sentenza ex art. 285 c.p.c., di diversi effetti a seconda dell’interesse in relazione al quale è effettuata la notifica (di modo che per interessi diversi pure incisi dalla sentenza non possa invece cominciare a decorrere il termine per impugnare), ma ben diversamente sui limiti del potere rappresentativo che, anche a detti fini, può riconoscersi al procuratore ad istanza del quale è effettuata la notifica.

Chiaro ed esplicito in tal senso il rilievo, contenuto nella motivazione del richiamato precedente, secondo cui “la notificazione della sentenza ad istanza del difensore della parte, munito di regolare procura, è, bensì, idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione, atteso che l’espressione “su istanza di parte”, contenuta nell’art. 285 c.p.c., va riferita ai soggetti del rapporto processuale ed ai loro difensori, i quali, in virtù della procura alle liti, hanno il potere di compiere, nell’interesse dei primi, tutti gli atti del processo a questi non espressamente riservati (Cass. 25.1.1996 n. 548), ma, appunto, nella specie la notifica venne eseguita ad istanza di difensori nominati per il giudizio di primo grado dalla C. in proprio e pertanto muniti di procura solo in tale veste, tanto che la procura, anche quale erede, fu dalla medesima rilasciata solo successivamente, a margine della comparsa di risposta con appello incidentale”.

Nel caso considerato in quel precedente, dunque, erano i limiti della procura conferita al procuratore notificante che non consentivano di estenderne gli effetti (ai fini della decorrenza del termine per impugnare) anche ad una parte diversa, legata da mero litisconsorzio facoltativo in cause scindibili, senza che potesse a tal fine assumere rilievo che la prima si fosse successivamente costituita in giudizio in prosecuzione ai sensi dell’art. 110 c.p.c., anche quale successore universale della seconda.

Tale situazione non si verifica nel caso in esame, dal momento che gli odierni ricorrenti si sono costituiti in giudizio, per ministero degli stessi procuratori, nella duplice veste di eredi e titolari di diritti risarcitori sia ereditati dal proprio dante causa sia originariamente propri, di modo che il procuratore che per essi ha notificato la sentenza tale era, sin dall’inizio, in forza di procura che gli attribuiva poteri di rappresentanza processuale con riferimento ad entrambe le vesti.

Il potere processuale speso dal procuratore con la notifica della sentenza proviene pertanto, per il tramite della unica procura, da una stessa e unica parte, mentre le qualità dedotte a fondamento delle pretese azionate valgono solo a distinguere le diverse causae petendi non anche a distinguere altrettante diverse parti processuali.

Ne discende che proprio in applicazione del principio richiamato (il quale in ultima analisi non fa che riaffermare che, agli effetti dell’art. 285 c.p.c., per parte ad “istanza” del quale viene effettuata la notifica deve intendersi anche il difensore munito di procura, salvi però i limiti rappresentativi desumibili per l’appunto da questa) deve escludersi la pretesa scindibilità degli effetti della notifica della sentenza, essendo questa predicabile, giova ripetere, solo in rapporto a diverse parti processuali (in ipotesi di cause scindibili), non certo agli eventuali diversi petita o causae petendi azionate nel processo dalla medesima parte.

Deve dunque concludersi che, essendo stata la notifica della sentenza impugnata validamente avvenuta il 2/2/2017, agli effetti di cui agli artt. 285 e 326 c.p.c., il ricorso per cassazione doveva essere proposto nel termine (c.d. breve) di sessanta giorni da tale data, nel mentre esso, come si deduce ex actis, è stato consegnato per la notifica il 22/2/2018, ampiamente oltre il predetto termine.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 5 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2019

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