Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.19558 del 19/07/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9184-2018 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA ORESTE TOMMASINI 20, presso lo studio dell’avvocato MICHELE SALAZAR, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ASP – AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI REGGIO CALABRIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 760/2017 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 20/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 02/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO RIVERSO.

RILEVATO

CHE:

la Corte d’Appello di Reggio Calabria, con sentenza n. 760/2017, ha rigettato l’appello proposto da P.M. avverso la sentenza del tribunale di Reggio Calabria che aveva dichiarato la nullità della domanda giudiziaria da lei proposta nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria (ASP) e diretta ad ottenere sul presupposto del presunto esercizio di mansioni superiori- la condanna di detto Ente al pagamento delle differenze retributive.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione P.M. con due motivi, mentre l’ASP è rimasta intimata.

E’ stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale parte ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO

CHE:

1.- col primo motivo il ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c. nn. 3 e 4, e dell’art. 420 c.p.c., in relazione all’art. 164 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., n. 3) per avere la Corte dichiarato che non si fosse verificata nessuna sanatoria essendo “onere espresso di parte ricorrente invocare espressamente in primo grado la fissazione del termine per sanare la nullità” e che ” non avendolo fatto, la sanatoria non opera”;

2.- col secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 414 nn. 2 e 3, e dell’art. 420 c.p.c., in relazione all’art. 164 c.p.c. in quanto nel caso de quo la domanda, per come formulata in ricorso, con gli allegati documenti e le richieste istruttorie, avrebbe certamente consentito l’individuazione sia del petitum, sia della causa petendi in quanto risultavano specificate le ragioni di fatto e di diritto della pretesa azionata e non vi era incertezza in ordine all’oggetto della domanda;

3.- col terzo motivo viene dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 414, nn. 2 e 3, e dell’art. 420 c.p.c., in relazione all’art. 164 c.p.c. nella parte in cui la sentenza aveva ritenuto che fosse stata proposta una domanda diretta a rivendicare l’esercizio di presunte mansioni superiori senza avere individuato l’effettivo profilo di qualifica diversa da quella già formalmente posseduta dalla P. (la D); tuttavia poichè non pareva revocabile in dubbio che la ricorrente avesse svolto mansioni diverse da quelle per le quali era stata assunta ed afferenti la qualifica superiore in forza di un ordine di servizio, il giudice anzichè dichiarare la nullità avrebbe dovuto esaminare gli atti allegati ed ammettere le prove istruttorie atteso che le mansioni svolte dalla P. risultavano comprovate dai mezzi istruttori richiesti;

4.- che il primo motivo di ricorso, avente rilievo assorbente – anche in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida” – (Cass. Sez. Un. 9936/2014) – risulta fondato.

Ed invero, a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite con sentenza n. 11353 del 2004, costituisce ius receptum l’orientamento secondo cui “nel rito del lavoro il ricorrente deve – analogamente a quanto stabilito per il giudizio ordinario dal disposto dell’art. 163 c.p.c., n. 4 – indicare ex art. 414 c.p.c., n. 4, nel ricorso introduttivo della lite gli elementi di fatto e di diritto posti a base della domanda. In caso di mancata specificazione ne consegue la nullità del ricorso, da ritenersi però sanabile ex art. 164 c.p.c., comma 5 (norma estensibile anche al processo del lavoro). Corollario di tali principi è che la mancata fissazione di un termine perentorio da parte del giudice, per la rinnovazione del ricorso o per l’integrazione della domanda, e la non tempestiva eccezione di nullità da parte del convenuto ex art. 157 c.p.c., del vizio dell’atto, comprovano l’avvenuta sanatoria della nullità del ricorso dovendosi ritenere raggiunto lo scopo ex art. 156 c.p.c., comma 2. La sanatoria del ricorso non vale, tuttavia, a rimettere in termini il ricorrente rispetto ai mezzi di prova non indicati nè specificati in ricorso, sicchè il convenuto può eccepire, in ogni tempo e in ogni grado del giudizio, il mancato rispetto da parte dell’attore della norma codicistica sull’onere della prova, in quanto la decadenza dalle prove riguarda non solo il convenuto (art. 416 c.p.c., comma 3), ma anche l’attore (art. 414 c.p.c., n. 3), dovendo ambedue le parti, in una situazione di istituzionale parità, esternare sin dall’inizio tutto diò che attiene alla loro difesa e specificare il materiale posto a base delle reciproche istanze, alla stregua dell’interpretazione accolta da Corte Cost. 14 gennaio 1977, n. 13.”.

5.- Negli stessi termini v. successivamente, tra le altre, Sez. L, Sentenza n. 4557 del 25/02/2009 “Nel rito del lavoro la nullità del ricorso introduttivo, per mancata determinazione dell’oggetto della domanda ed insufficiente esposizione dei fatti e degli elementi di diritto addotti a sostegno della stessa (art. 414 c.p.c., nn. 3 e 4), è sanabile ex art. 164 c.p.c., comma 5, norma estensibile anche all’anzidetto rito. Ne consegue che, ove il giudice abbia omesso di fissare un termine perentorio per la rinnovazione del ricorso o per l’integrazione della domanda e il convenuto non abbia tempestivamente eccepito il vizio dell’atto ex art. 157 c.p.c., deve ritenersi intervenuta la sanatoria della nullità del ricorso per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156 c.p.c.”.

6.- La sentenza impugnata non ha fatto buon governo dei riportati principi; ed ha pure richiamato un precedente di questa Corte (sentenza n. 896 del 17/01/2014) – che però non si attaglia alla fattispecie di causa – secondo cui “se il giudice di primo grado omette di fissare un termine per l’integrazione della domanda, stante la costituzione del convenuto, ai sensi dell’art. 164 c.p.c., comma 5 in ragione della nullità dell’atto introduttivo del giudizio per mancata o insufficiente determinazione dell’oggetto della domanda o l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda (art. 414 c.p.c., nn. 3 e 4), nonostante l’eccezione in tal senso sollevata dal convenuto, diventa onere del ricorrente stesso invocare dal giudice la fissazione del termine per sanare la nullità. Ove ciò non faccia, e la nullità venga dedotta come motivo d’appello, il giudice del gravame non dovrà fissare alcun termine per la rinnovazione dell’atto nullo, ma dovrà definire il processo con una pronuncia in rito che accerti il vizio del ricorso introduttivo.”

6.1. Il principio individuato da tale pronuncia, il quale porta non alla sanatoria dell’atto introduttivo, ma alla declaratoria di nullità della sentenza e dello stesso atto introduttivo, passai anzitutto, attraverso il mancato rilievo officioso della nullità da parte del giudice di primo grado con fissazione del termine per la rinnovazione del ricorso o per l’integrazione della domanda; segue la presenza di tempestiva eccezione da parte del convenuto e la mancata fissazione del termine da parte del giudice; ed infine il mancato assolvimento dell’onere da parte del ricorrente di riproporre la medesima richiesta al giudice.

6.2. Nel caso di specie, invece, opera il meccanismo della sanatoria come sopra individuato atteso che, non solo nessuna eccezione di nullità era stata sollevata dalla convenuta ASP, ma questa si era pure difesa nel merito dimostrando di aver compreso il thema decidendum ed il tenore delle pretese della ricorrente.

7.- Il ricorso va quindi accolto in relazione al primo motivo, assorbiti gli altri; la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa al giudice indicato in dispositivo, il quale provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di appello di Reggio Calabria in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 2 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2019

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