Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.19601 del 19/07/2019

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 22505/2018 r.g. proposto da:

E.E., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Andrea Volpini, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, Via Otranto n. 23;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma Via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, depositata in data 10.1.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/6/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

RILEVATO

CHE:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Bologna – decidendo sull’appello proposto da E.E., cittadino della NIGERIA, avverso la ordinanza emessa dal Tribunale di Bologna (con la quale erano state respinte le domande avanzate dal richiedente volte ad ottenere la protezione internazionale e quella umanitaria) – ha confermato il provvedimento impugnato, rigettando, pertanto l’impugnazione così proposta.

La corte del merito ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente in ordine alle ragioni che lo avevano indotto ad espatriare: quest’ultimo aveva, infatti, narrato di essere stato costretto a fuggire dalla Nigeria a causa del timore nutrito nei confronti delle minacce di morte provenienti da un setta animistica, di cui era stato capo il padre deceduto e del quale il ricorrente avrebbe dovuto prendere il posto. La corte territoriale ha, dunque, rintracciato nel racconto del cittadino nigeriano diversi profili di contraddittorietà e di non verosimiglianza, così negando la possibilità di riconoscere al richiedente la reclamata protezione internazionale; ha, infine, evidenziato che nessuna forma di particolare vulnerabilità era da riconoscersi al ricorrente, escludendo anche il riconoscimento della protezione umanitaria.

2. La sentenza, pubblicata il 10.1.2018, è stata impugnata da E.E. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3 e 8 e del D.Lgs. n. 28 gennaio 2008, n. 25, e vizio di motivazione apparente. Osserva il ricorrente che il giudice di appello non aveva motivato adeguatamente in ordine alle ragioni del giudizio di non credibilità del suo racconto, posto che invece risulta appartenere al notorio la circostanza secondo la quale i cristiani sono oggetto di persecuzioni da parte degli appartenenti alle altre confessioni religiose.

2. Con un secondo motivo si articola vizio di violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Osserva il ricorrente che la corte di merito avrebbe dovuto approfondire la tematica del pericolo di tortura e di altri trattamenti inumani nella regione di provenienza del richiedente, e cioè dell'*****, in relazione alla richiesta di protezione sussidiaria, approfondimento invece illegittimamente omesso nella motivazione impugnata. Osserva ancora il ricorrente che non era stata neanche positivamente apprezzata dal giudice di appello la situazione di estrema pericolosità della Nigeria sia in relazione all'***** sia in riferimento al *****, da cui era dovuto fuggire per la violenza indiscriminata che imperversa nella regione. Si duole dunque il ricorrente della mancata attivazione dei poteri officiosi da parte dei giudici del merito per riscontrare pienamente le allegazioni avanzate sul punto nell’atto introduttivo.

3. Con il terzo motivo si articola sempre vizio di violazione di legge in relazione al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5,comma 6, e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, in relazione al diniego della richiesta di protezione umanitaria.

4. Il ricorso è inammissibile.

4.1 Già il primo motivo di ricorso è inammissibile perchè volto a richiedere al giudice di legittimità una rivalutazione del profilo della credibilità soggettiva del richiedente, profilo quest’ultimo sul quale il giudice di appello ha invece offerto una motivazione adeguata scevra da criticità argomentative ovvero da contraddizioni interne.

Sul punto è utile ricordare che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (così, da ultimo, anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). E’ stato anche precisato, per quanto qui interessa, che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (così, sempre Cass., n. 3340/2019, cit. supra).

4.2 Il secondo motivo è anch’esso inammissibile.

Occorre subito evidenziare come la motivazione impugnata si fondi – in relazione al contestato profilo del mancato riconoscimento dell’invocata protezione sussidiaria – sulla valutazione solo ed esclusivamente delle condizioni di applicabilità della tutela prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), e non già di quelle di cui alla successiva lett. c).

Ne consegue che, per un verso, la censura risulta del tutto decentrata rispetto al thema decidendum devoluto al giudice di appello (e, dunque, anche inammissibile perchè non ne aggredisce la ratio decidendi) e, per altro verso, le ulteriori doglianze – qui sollevate in relazione alla protezione sussidiaria di cui al predetto D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), – risultano essere irrimediabilmente nuove e del pari inammissibili in questo contesto decisorio, in mancanza di precise allegazioni del ricorrente che indichino in quale atto difensivo fossero state sollevate le relative censure nei precedenti gradi di giudizio.

4.3 Il terzo motivo di doglianza – che si incentra sul mancato riconoscimento della protezione umanitaria – è inammissibile in ragione della sua evidente genericità, in quanto la censura si compone solo della elencazione di fonti normative e di principi giurisprudenziali che regolano la materia, senza una concreta censura alle argomentazioni contenute nella decisione impugnata.

Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2019

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472