Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.19988 del 24/07/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12858/2013 R.G. proposto da:

R.I., R.M., Ro.Ma., R.D., R.G., eredi di R.L., rapp.ti e difesi dall’avv. Pietro Tacchi Venturi, con cui elett.te domiciliano in Roma, al V.le Parioli n. 43 presso lo studio dell’avv. Francesco D’Ayala Valva, come da procura speciale in calce alla memoria di costituzione;

– ricorrenti –

contro

Comune di Marcaria, in persona del Sindaco p.t., rapp.to e difeso dagli avv.ti Marcello Collevecchio e Paolo Garò, elett.te domiciliato presso lo studio del primo in Roma, alla via di Porta Pinciana n. 6, come da procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 133/66/12 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia – sez. distaccata di Brescia – depositata il 12/11/2012, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7 maggio 2019 dalla Dott.ssa d’Oriano Milena;

udito per i ricorrenti l’avv. Pietro Tacchi Venturi che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’avv. Paolo Migliaccio, per delega, che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Pedicini Ettore che ha concluso per l’infondatezza.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 133/66/12, depositata il 12 novembre 2012, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia – sez. distaccata di Brescia – rigettava l’appello proposto da R.L., de cuius dei ricorrenti, avverso la sentenza n. 184/02/10 della Commissione Tributaria Provinciale di Mantova, con compensazione delle spese di lite.

Il giudice di appello rilevava che il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di avvisi di accertamento riguardanti l’ICI per gli anni dal 2004 al 2007, relativa ad immobili inseriti dal 1985 nel Piano Regolatore Generale nella zona D, produttiva, polo estrattivo di *****, e che la Commissione di primo grado aveva rigettato il ricorso.

Tanto premesso, la CTR confermava la decisione di primo grado, assorbiti gli altri motivi, ritenendo che l’area interessata dovesse ritenersi edificabile sulla base dello strumento urbanistico generale adottato, indipendentemente dall’adozione di strumenti attuativi, sia nel periodo di escavazione sia successivamente nell’ambito delle operazioni di riconversione dell’area dismessa a tutti gli usi consentiti e non soltanto a ripristini naturalistici; che quanto alla fruizione dei benefici connessi all’effettiva destinazione ad uso agricolo, gli stessi non potevano essere concessi dal momento che il contribuente non aveva più la qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo.

2. Avverso la sentenza di appello, R.L. ha proposto ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 10 maggio 2013, e ricevuto il 14 maggio 2013, affidato a quattro motivi.

3. Il Comune impositore ha depositato controricorso, nonchè memoria ex art. 378 c.p.c.

4. Con memoria depositata a seguito del decesso del ricorrente, si costituivano gli eredi in epigrafe indicati che depositavano altresì memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va ritenuta la tempestività del controricorso, sebbene consegnato per notifica in data 18 luglio 2013, rispetto ad un ricorso pervenuto il 14 maggio 2013, in quanto il Comune di Marcaria è stato dichiarato comune terremotato ai sensi del D.L. n. 74 del 2012, conv. in L. n. 122 del 2012, per cui trova ad esso applicazione la sospensione sino al 30 giugno 2013 di tutti i termini sostanziali e processuali relativi ad attività difensiva e giurisdizionale di cui allo stesso decreto, art. 6, comma 4.

2. Con il primo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata, denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, lett. b) e art. 5, comma 5, nonchè degli artt. 3,44 e 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, rilevando che i terreni oggetto degli avvisi di accertamento sarebbero stati ritenuti erroneamente edificabili, in quanto soggetti a vincoli di destinazione floro-paesaggistica ed utilizzabili esclusivamente per uso agricolo, che su di essi non era attiva alcuna attività di escavazione e che per eventuali strutture funzionali sarebbero state necessarie convenzioni con il Comune e provvedimenti autorizzativi allo stato non presenti;

3. con il secondo motivo lamentano violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, lett. b), e art. 9 nonchè degli artt. 3,44 e 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ritenendo che, ai fini della valutazione del terreno come agricolo, sarebbe irrilevante la qualifica soggettiva di coltivatore diretto del proprietario, requisito richiesto solo per la eventuale riduzione di imposta di cui all’art. 9;

4. con il terzo motivo denunciano una omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo la sentenza ritenuto assorbito il motivo relativo all’illegittimità delle sanzioni ed interessi, perchè irrogate in violazione della L. n. 689 del 1981, art. 3 e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5 in assenza di coscienza e volontà in ordine alla infedele dichiarazione, e riguardo alla L. n. 212 del 2010, art. 10, comma 2, in riferimento ad un situazione di indubbia incertezza normativa;

5. con il quarto motivo deducono una omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo la sentenza impugnata omesso di pronunciarsi in ordine al denunciato difetto di motivazione degli avvisi, da cui non sarebbe stato possibile evincere il percorso logico giuridico seguito dal Comune per addivenire alla valutazione del valore degli immobili.

6. Preliminarmente va escluso che la sentenza n. 3753/25/17 della CTR della Lombardia – sez. distaccata di Brescia – passata in giudicato, depositata dai ricorrenti unitamente alla memoria ex art. 378 c.p.c., avente ad oggetto l’imposta IMU per l’annualità 2012 in riferimento agli stessi terreni, possa avere un effetto preclusivo in merito alla decisione del presente giudizio, relativo alla diversa imposta ICI ed in relazione ad annualità differenti.

6.1 In generale, la preclusione del giudicato opera nel caso di giudizi identici, nei quali cioè l’identità delle due controversie riguardi i soggetti, la causa petendi e il petitum per come questi fattori sono inquadrati nell’effettiva portata della domanda giudiziale e della decisione (cfr. per tutte Cass. n. 1514 del 2007; n. 1773 del 2000; nonchè già Sez. U n. 2874 del 1998); il giudicato copre poi il dedotto e il deducibile in relazione al medesimo oggetto, e, pertanto, non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio ma anche tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia. (vedi Cass. n. 3488 del 2016 e n. 25745 del 2017).

Va tuttavia precisato che il processo tributario, rispetto a quello civile, conserva la specificità correlata al rapporto sostanziale che ne costituisce oggetto, ed attiene (v. Corte Cost. n. 53 del 1998 e n. 18 del 2000) “alla fondamentale e imprescindibile esigenza dello Stato di reperire i mezzi per l’esercizio delle sue funzioni attraverso l’attività dell’amministrazione finanziaria, la quale ha il potere-dovere di provvedere, con atti autoritativi, all’accertamento e alla pronta riscossione dei tributi”.

Una similare ratio rileva anche in presenza di tributi non destinati allo Stato, ovvero di contributi obbligatori secondo la definizione propria delle scienze delle finanze, in rapporto alle esigenze di reperimento dei proventi necessari a finanziare i servizi assicurati dagli enti preposti.

In base all’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (vedi Sez. U, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006), il processo tributario, ancorchè generalmente instaurato mediante impugnazione di un atto lato sensu impositivo (ex D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 2, lett. d) e art. 19, comma 1), ha per oggetto lo specifico rapporto tributario dedotto in giudizio quale risulta, da un lato, dalla pretesa fatta valere dall’amministrazione con l’atto medesimo e, dall’altro, dai motivi della sua impugnazione.

In ragione di siffatta complessità oggettiva, associata all’autonomia dei singoli periodi d’imposta (che, T.U.I.R. ex art. 7, è espressione di un principio generale in materia, valevole per tutti i tributi, anche non destinati allo Stato), deve negarsi la possibile esistenza di un’unica obbligazione tributaria corrispondente a più periodi, per cui, l’eventualità che il giudicato, formatosi in ordine a un periodo, possa avere efficacia preclusiva nel giudizio relativo al medesimo tributo per un altro periodo va limitata al caso in cui si discorra degli elementi rilevanti necessariamente comuni ai distinti periodi d’imposta, onde potersene desumere che l’accertamento di fatto su tali elementi (e solo l’accertamento di fatto) debba fare stato nel giudizio relativo alle obbligazioni sorte in un periodo d’imposta diverso.

E’ stato così affermato che “In tema di contenzioso tributario, l’efficacia del giudicato, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, nell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. (Sez. 5, Sentenza n. 24433 del 30/10/2013; Sez. 5, Sentenza n. 13498 del 01/07/2015; Sez. 5, Ordinanza n. 37 del 03/01/2019).

L’esempio tipico è quello delle cd. qualificazioni giuridiche (del tipo di “ente commerciale” o di “soggetto residente”) in quanto assunte dal legislatore alla stregua di elementi preliminari per l’applicazione di una specifica disciplina; ovvero quello delle condizioni di una esenzione o di una agevolazione pluriennale (v. appunto in Sez. U n. 13916 del 2006), ma nei soli limiti dell’accertamento della questione di fatto e non anche in relazione alle conseguenze giuridiche. (Vedi Sez. 5, Sentenza n. 12763 del 06/06/2014) Si è quindi ribadito che “In tema di ICI, la sentenza che abbia deciso con efficacia di giudicato relativamente ad alcune annualità fa stato con riferimento anche ad annualità diverse, in relazione a quei fatti che appaiano elementi costitutivi della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente ma non con riferimento ad elementi variabili (come, ad esempio, il valore immobiliare D.Lgs. n. 504 del 1992 ex art. 5, comma 5, che, per sua natura, con riferimento ai diversi periodi di imposta, è destinato a modificarsi nel tempo). (In Sez. 5, Sentenza n. 1300 del 19/01/2018, conforme Sez. 5, Sentenza n. 18923 del 16/09/2011).

6.2 Tanto premesso, va rilevato che la sentenza esibita, di cui si invoca il giudicato, contiene come unici accertamenti in ‘fatto una circostanza pacifica, quale l’inserimento dei terreni nel Piano cave provinciale con destinazione ad attività estrattiva e non nelle aree edificabili del Piano regolatore comunale, ed un elemento per definizione variabile, quale la mancata attivazione dell’attività estrattiva; alla stessa va pertanto negata alcuna efficacia espansiva di tipo preclusivo.

7. Venendo al ricorso quanto al primo motivo si osserva che i ricorrenti, pur denunciando ipotetiche violazioni di legge poste in essere dal giudice di appello, lamentano in fatto una errata valutazione dei terreni come edificabili conseguente ad una, a loro dire, incompleta verifica della documentazione catastale e dei piani di gestione del territorio applicabili, da cui emergerebbe, al contrario, la presenza di vincoli di inedificabilità e di destinazione a verde.

In tal modo, tuttavia, prescindono totalmente dal considerare che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di Cassazione), mentre la allegazione – come prospettata nella specie – di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, in ordine alla edificabilità delle aree, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge ed attiene alla tipica valutazione del giudice del merito – la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto il diverso aspetto del vizio di motivazione – laddove le suddette critiche si risolvono invece nella inammissibile richiesta di un riesame nel merito della qualificazione dei terreni come fabbricabili.

Sul punto si ricorda infatti che “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa. (vedi tra le tante Cass. n. 24054 del 2017; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 13066 del 2007).

7.1 II motivo è comunque infondato.

Come più volte statuito da questa Corte (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 19375 del 2003, n. 17035 del 2004, n. 19161 del 2004, n. 6501 del 2005, e da ultimo n. 26077 del 2015, n. 18470 del 2016, n. 13606 del 2018 e Sez. 6-5 n. 1390 del 2016 e n. 15668 del 2017), il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 2, pone quale presupposto applicativo dell’ICI il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e terreni agricoli siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati…”.

Nel successivo art. 2 il legislatore tributario ha fornito le rispettive nozioni, prevedendo al comma 1, lett. a), che “per fabbricato s’intende l’unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto urbano, considerandosi parte integrante del fabbricato la parte occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza…”; alla lett. b) del medesimo comma, che “per area fabbricabile si intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione…”, estendendone la nozione a tutte quelle che hanno, in fatto ed in diritto, detta vocazione edificatoria; infine nella lett. c), ha definito cosa debba intendersi per terreni agricoli.

Ebbene la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei criteri normativi innanzi indicati laddove ha desunto la natura edificabile dei terreni, sia nel periodo di escavazione sia successivamente nell’ambito delle operazioni di eventuale riconversione dell’area dismessa, dalla collocazione degli stessi in un’area del PRG suscettibile di attività estrattiva.

Sulla questione specifica dell’assoggettabilità ad ICI di terreni adibiti a cave, va data continuità al principio di recente affermato da questa Corte secondo cui “In tema di ICI, ove l’area sia adibita ad attività estrattiva secondo il regolamento urbanistico e suscettibile, in conformità allo stesso, di edificazione, ancorchè limitata alla realizzazione di fabbricati strumentali, la base imponibile deve essere determinata avendo riguardo al valore venale”(vedi Cass. n. 14409 e n. 14410 del 2017, seguita da Cass. n. 3267 e 8559 del 2019).

Seppure in tema di imposta di registro, questa Corte ha del resto già affermato che “per determinare la natura del bene compravenduto, onde individuare l’aliquota applicabile, occorre avere riguardo alle previsioni urbanistiche correnti al momento dell’atto, che incidono sulle sue qualità ai fini fiscali, essendone irrilevante la concreta utilizzazione o utilizzabilità” e nello specifico che la circostanza che “per l’area sia prevista dallo strumento urbanistico la possibilità di utilizzazione come cava esclude la natura agricola del terreno non assumendo rilevanza alcuna la necessità che, per l’effettivo sfruttamento, il proprietario od un terzo interessato debbano ottenere l’autorizzazione previa verifica della sussistenza delle condizioni previste per il rilascio della stessa, così come non esclude la natura edificatoria del terreno il fatto che il proprietario debba munirsi della concessione per poter edificare” (si legge in Cass. n. 23045 del 2016, richiamata da Cass. n. 31604 del 2018).

7.2 In relazione poi alla dedotta violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, secondo cui “Per le aree fabbricabili, il valore è costituito da quello venale in comune commercio al 1 gennaio dell’anno di imposizione, avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche”, la determinazione del valore venale effettuata dall’ente impositore, tenendo conto dell’astratta vocazione edificatoria dei terreni, a prescindere dalla presenza effettiva di un’attività di escavazione attiva, risulta corretta in quanto rispondente ai criteri fissati dallo stesso decreto, art. 2, comma 2,.

Costituisce infatti un principio consolidato affermato da questa Corte che “In tema di ICI, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 203 del 2005, art. 11-quaterdecies, comma 16, conv., con modif., dalla L. n. 248 del 2005, e del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 248 del 2006, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b), l’edificabilità di un’area, per l’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi, tenuto altresì conto che il detto D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, prevedendo che un terreno sia considerato edificatorio anche ove esistano possibilità effettive di costruzione, delinea, ai fini fiscali, una nozione di area edificabile ampia ed ispirata alla mera potenzialità edificatoria” (vedi da ultimo Cass. n. 4952 del 2018, nonchè Cass. n. 12308 del 2017, n. 16485 del 2016 e n. 15558 del 2009).

Sul punto va anche precisato che data la natura di norma di interpretazione autentica della disposizione di cui al D.L. n. 203 del 2005, art. 11-quaterdecies, comma 16, conv. con modif. nella L. n. 248 del 2005, e del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, conv. con modif. nella L. n. 248 del 2006, rispetto alla previsione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2,comma 1, lett. b), tale nozione, così ulteriormente specificata, è destinata ad operare anche per il passato, ed è quindi certamente utilizzabile per determinare la base imponibile relativa ad annualità antecedenti alla sua adozione.

8. In ordine al secondo motivo, si rileva che ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, lett. b), “Sono considerati, tuttavia, non fabbricabili i terreni posseduti e condotti dai soggetti indicati nell’art. 9, comma 1, sui quali persiste l’utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l’esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all’allevamento di animali.”.

Dalla lettura del testo normativo si evince con chiarezza che l’esclusione della fabbricabilità è subordinata sia alla presenza di un requisito oggettivo, dato dall’utilizzazione effettiva per le attività agricole ivi descritte, sia di un requisito soggettivo che coincide con quello di cui al successivo art. 9, comma 1, espressamente richiamato, richiedendosi quindi che il terreno sia posseduto e condotto da un coltivatore diretto o da un imprenditore agricolo che esplichino tali attività a titolo principale.

E’ stato infatti già statuito che “In materia di imposta comunale sugli immobili (ICI), perchè un fondo possa beneficiare, ai fini della determinazione della base imponibile, dei criteri di calcolo previsti per i terreni edificabili destinati a fini agricoli, è necessaria – ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, lett. b), secondo periodo – oltre alla sua effettiva destinazione agricola, anche la conduzione diretta di esso da parte del contribuente, sicchè tale agevolazione non compete al proprietario, pur iscritto negli elenchi dei coltivatori diretti, che non conduca direttamente i terreni per averli concessi in affitto al figlio. (vedi Sez. 6-5 n. 12422 del 2017) -.

Sussiste dunque una coincidenza del requisito soggettivo rilevante sia per la qualificazione agricola del terreno, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, lett. b), finalizzata all’esclusione della edificabilità, e quindi dell’assoggettabilità al tributo, sia per la fruizione della riduzione di cui allo stesso decreto, art. 9.

8.1 In merito alla seconda previsione questa Corte ha poi chiarito che “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), il trattamento agevolato previsto dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 9, per i terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli a titolo principale, spetta solo a quanti traggono dal lavoro agricolo la loro esclusiva fonte di reddito e non va, quindi, riconosciuto, a chi sia titolare di pensione, avendo ottenuto la cancellazione dall’elenco dei coltivatori diretti”(vedi Cass. n. 12565 del 2010, n. 9601 del 2012; n. 13745 del 2017).

8.2 Risultando pacifica la qualità di pensionato del contribuente e la sussistenza della qualifica di coltivatore diretto in capo al figlio, addetto alla effettiva coltivazione del fondo, anche tale motivo risulta evidentemente infondato.

9. Il quarto motivo, che in ordine logico si esamina prioritariamente al terzo, risulta inammissibile per difetto di specificità.

9.1 Nel giudizio tributario, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso ne riporti testualmente i passi che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentirne la verifica esclusivamente in base al ricorso medesimo, essendo il predetto avviso non un atto processuale, bensì amministrativo, la cui legittimità è necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo fondamento.(vedi Cass. n. 9536 del 2013 e n. 16147 del 2017).

9.2 Ebbene nel ricorso per cassazione il motivo, con cui si contesta l’assorbimento della valutazione di inadeguatezza della motivazione compiuto dalla CTR, carenza imputabile al fatto che dagli stessi non sarebbe stato possibile evincere il percorso logico giuridico seguito dal Comune per addivenire alla valutazione del valore degli immobili, è stato proposto senza riportare il contenuto degli atti, rendendo così impossibile la verifica dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione.

10. Merita invece accoglimento il terzo motivo, seppure per ragioni diverse da quelle dedotte; le sanzioni non sono infatti dovute perchè intrasmissibili agli eredi.

10.1 Il D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 5 bis, convertito nella L. 28 febbraio 1997, n. 30, in attesa dei decreti legislativi che avrebbero dovuto disciplinare in maniera organica la materia, ha sospeso l’applicazione delle pene pecuniarie tributarie a carico degli eredi ed esteso gli effetti “anche alle pene pecuniarie già iscritte a ruolo”; il sopravvenuto D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 8, ha poi espressamente previsto che “l’obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi”, norma applicabile ai procedimenti in corso alla data dell’1 aprile 1998, giusta specifica previsione del D.Lgs. medesimo, art. 25, comma 1. (Vedi Cass. n. 11226 del 2002, n. 21326 del 2006 e da ultimo Cass. n. 25644 del 2018).

Costituiva del resto già principio consolidato che “Le sanzioni pecuniarie amministrative previste per la violazione delle norme tributarie hanno carattere afflittivo, onde devono inquadrarsi nella categoria dell’illecito amministrativo di natura punitiva, disciplinato dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, essendo commisurate alla gravità della violazione ed alla personalità del trasgressore, con la conseguenza che ad esse si applica il principio generale sancito dalla L. n. 689 cit., art. 7 secondo cui l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi” (Vedi Cass. n. 13894 del 2008).

10.2 L’intrasmissibilità agli eredi della sanzione amministrativa pecuniaria, a norma della L. n. 689 del 1981, art. 7, non costituisce poi oggetto di eccezione in senso proprio, e, poichè la relativa questione attiene alla fattispecie costitutiva del diritto al pagamento della sanzione, risulta rilevabile anche d’ufficio. (Vedi Cass. n. 9554 del 1999).

11. Per tutto quanto sopra esposto, rigettati i primi due motivi di ricorso, inammissibile il quarto, va accolto il terzo motivo nei termini innanzi indicati; la sentenza va pertanto cassata e decidendo nel merito, non essendo necessari sul punto ulteriori accertamenti di fatto, il ricorso dei contribuenti va accolto limitatamente alle sanzioni che si dichiarano non dovute.

12. L’accoglimento parziale giustifica la compensazione delle spese di lite sia dei giudizi di merito che di quello di legittimità.

PQM

La Corte:

rigetta il primo e secondo motivo, dichiara inammissibile il quarto, accoglie il terzo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso dei contribuenti limitatamente alle sanzioni che dichiara non dovute;

compensa le spese di lite di tutti i gradi di giudizio.

Così deciso in Roma, il 7 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2019

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