Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.20018 del 24/07/2019

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – rel. Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29432/2016 R.G. proposto da:

Agenzia delle dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Rivoira spa, già Rivoira Geogas srl, già Messer Italia spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Basilavecchia Massimo e Fabio Massimo, domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Adelaide Ristori n. 38;

– intimata costituita –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 1692/16/16 del 6 giugno 2016, depositata il 29 settembre 2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 maggio 2019 dal Consigliere Manzon Enrico.

RILEVATO

Che:

Con sentenza n. 1692/16/16 del 6 giugno 2016, depositata il 29 settembre 2016 la Commissione tributaria regionale della Toscana respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, ufficio locale, avverso la sentenza n. 52/1/14 della Commissione tributaria provinciale di Arezzo che aveva accolto il ricorso della Messer Italia spa contro i dinieghi di rimborso dell’addizionale provinciale sul consumo di energia elettrica per gli anni 2010/2011.

La CTR osservava in particolare che:

– sussisteva la legittimazione attiva della ricorrente/appellata a chiedere il rimborso di detta addizionale, in quanto “consumatrice finale” dell’energia elettrica fornitale dalla Eneco e dalla Edison, stante la previsione generale di cui al TUA, art. 14, comma 2;

– erano fondate le pretese creditorie della Messer Italia, posto che la previsione normativa dell’addizionale in questione era contrastante con la normativa armonizzante dell’UE.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle dogane e dei monopoli tre motivi.

La società contribuente si è costituita tardivamente al solo fine di poter partecipare al contraddittorio orale ovvero presentare memoria difensiva in caso di trattazione camerale non partecipata. Successivamente ha dapprima presentato istanza per la trattazione in pubblica udienze e poi una memoria.

Considerato che:

In via preliminare va rilevato che non vi sono ragioni per disporre la pubblica udienza ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e che va sicuramente affermata l’inammissibilità della memoria depositata dalla società contribuente, pacifico che il ricorso è stato depositato dopo il 30 ottobre 2016 (arg. ex Cass. n. 12803 del 14/05/2019, Rv. 653817 – 01) e dovendosi ribadire che ” In tema di giudizio di cassazione, nel procedimento camerale di cui all’art. 380 bis.1 c.p.c. (introdotto dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, conv., con modif., dalla L. n. 196 del 2016), in mancanza di controricorso notificato nei termini di legge, l’intimato non è legittimato al deposito di memorie illustrative ex art. 370 c.p.c., ancorchè sia munito di regolare procura speciale “ad litem”” (Cass. n. 24422 del 05/10/2018, Rv. 650526 – 01).

Ciò posto, con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3- l’agenzia fiscale ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione del (TUA) D.Lgs. n. 504 del 1995, artt. 53,14, poichè la CTR ha affermato la sussistenza della legittimazione attiva della Messer Italia a chiedere il rimborso dell’addizionale provinciale dell’energia elettrica.

Con il secondo ed il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3- la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione degli artt. 1, Direttiva 2008/118/CE, D.L. 511/1988, poichè la CTR ha affermato la natura self executing della disposizione unionale ed il contrasto con la medesima della normativa interna istitutiva dell’addizionale de qua.

Il primo motivo è dirimentemente fondato.

Va premessa una sintetica ricognizione del quadro della normativa del TUA, nel testo applicabile ratione temporis (epoca precedente al 3.12.2016 e successiva al 1.04.2010):

-obbligati al pagamento dell’accisa sull’energia elettrica sono, tra gli altri, “i soggetti che procedono alla fatturazione dell’energia elettrica ai consumatori finali, di seguito indicati come venditori” (art. 53, comma 1, lett. a); “i crediti vantati dai soggetti passivi dell’accisa verso i cessionari dei prodotti per i quali i soggetti stessi hanno assolto tale tributo possono essere addebitati a titolo di rivalsa” (art. 16, comma 3); all’art. 56 si precisa, altresì, che le società fornitrici “hanno diritto di rivalsa sui consumatori finali” (art. 56);

– disposizione generale in materia di rimborso delle accise indebitamente versate è l’art. 14, che al comma 2 prevede che “l’accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata” e il rimborso – previsto in via generale dall’art. 9, par. 2, Direttiva n. 2008/118/CE del 16 dicembre 2008, che fa riferimento alle modalità stabilite dai singoli Stati membri – “deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento”. La medesima disposizione di diritto interno prevede, inoltre, che “qualora al termine di un procedimento giurisdizionale il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme”.

Vi è poi da richiamare:

– il D.L. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, comma 1, conv. con L. 27 novembre 1982, n. 873, secondo cui “chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all’importazione, imposte di fabbricazione, imposte di consumo o diritti erariali (…) ha diritto al rimborso delle somme pagate quando prova (…) che l’onere non è stato in qualsiasi modo trasferito su altri soggetti, salvo il caso di errore materiale”, norma applicabile “quando i tributi riscossi non rilevano per l’ordinamento comunitario” (L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 29, comma 3);

– per il rimborso dei tributi rilevanti per l’ordinamento comunitario, la L. n. 428 del 1990, art. 29, comma 2, il quale stabilisce che “i diritti doganali all’importazione, le imposte di fabbricazione, le imposte di consumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie sono rimborsati a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti, circostanza che non può essere assunta dagli uffici tributari a mezzo di presunzioni”.

Dall’insieme delle menzionate disposizioni emerge dunque che il soggetto passivo del rapporto tributario è solo il fornitore di energia, tenuto verso l’Erario al pagamento dell’accisa come anche della relativa addizionale, avendo il legislatore inteso concentrare l’imposizione e il relativo controllo su pochi soggetti, ossia i produttori o gli importatori dei prodotti (Cass., 6 agosto 2014, n. 17627). Per costoro l’accisa è un costo sostenuto prima della cessione del bene, tale da farlo rientrare, ad esempio, nella base imponibile dell’IVA (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24015), che può (e non deve, come per l’IVA) essere traslato sul consumatore finale quale componente del prezzo del bene o del servizio ceduto. Questa traslazione è effettuata a titolo di rivalsa (TUA, art. 16, comma 3) e non anche di sostituzione di imposta, a conferma che la traslazione dell’imposta riguarda il peso economico della stessa senza traslazione dell’obbligazione tributaria. Il rapporto di imposta rimane, pertanto, in capo al fornitore quale unico obbligato al versamento dell’imposta e ad esso si affianca il diverso rapporto civilistico di rivalsa tra fornitore e consumatore, che rimane separato dal rapporto tributario corrente tra fornitore ed Erario (Cass., Sez. V, 19 aprile 2013, n. 9567).

Uno schema giuridico del tutto analogo è seguito dal legislatore per il versamento delle imposte addizionali di cui al D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 3, (nel testo applicabile ratione temporis), secondo cui dette imposte sono dovute, dai soggetti obbligati di cui al TUA, art. 53 (società fornitrici), al momento della fornitura dell’energia elettrica ai consumatori finali e “sono liquidate e riscosse con le stesse modalità dell’accisa sull’energia elettrica”.

Va quindi tratta la conclusione che il rapporto tributario inerente al pagamento di accise e addizionali si svolge solo tra la amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente l’energia elettrica ai consumatori; che rispetto a tale rapporto rimane del tutto estraneo l’utente o consumatore, tenuto a pagare al fornitore il prezzo dell’energia e, con esso (in caso di rivalsa dell’imposta) il costo delle accise e addizionali quale componente del prezzo di vendita dell’energia. Ove la rivalsa si riveli illegittima per insussistenza dell’obbligo di versamento della quota parte di prezzo relativa all’accisa o alla addizionale, il consumatore ha azione nei confronti del fornitore per illegittimo esercizio della rivalsa quale azione di ripetizione di quota parte del prezzo, ma non ha azione nei confronti dell’Erario per l’imposta in tesi versata illegittimamente dal fornitore.

Tali affermazioni trovano conferma nella giurisprudenza di questa Corte.

Sia pure con riferimento alle accise dovute sul consumo di gas metano, è stato, infatti, affermato che “il rapporto tributario inerente al pagamento dell’imposta si svolge solo tra la Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente il gas metano ai consumatori e ad esso è del tutto estraneo l’utente consumatore” (Cass., Sez U., 25 maggio 2009, n. 11987), sicchè “il solo soggetto obbligato verso l’amministrazione finanziaria è l’ente comunale che immette in consumo il gas e riscuote l’accisa inglobata nel prezzo (è una peculiarità che non incide sulla natura del tributo che resta distinto dal prezzo del gas)” (Cass., Sez. U., 19 marzo 2009, n. 6589). Soggetto passivo dell’imposta dovuta per il consumo per il gas metano è quindi il fornitore, che trasla l’onere finanziario sul consumatore in virtù di un fenomeno meramente economico, al punto che l’azione del consumatore verso il fornitore per la ripetizione della quota di prezzo corrispondente al tributo non viene qualificata come azione tributaria di rimborso (Cass., Sez. U., 1 febbraio 2016, n. 1837). Il consumatore finale rimane, anche in questo caso, estraneo all’azione di rimborso nei confronti dell’Erario.

Si deve peraltro escludere che siffatta configurazione del rapporto di imposta e della conseguente azione di rimborso si ponga in contrasto con la giurisprudenza dell’Unione Europea.

La Corte di giustizia ha infatti ripetutamente sottolineato (tra le tante, Corte di Giustizia UE, 27 aprile 2017, C-564/15, Farkas) che, in mancanza di disciplina dell’Unione in materia di domande di rimborso delle imposte, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali domande possono essere presentate, purchè i requisiti in questione rispettino i principi di equivalenza e di effettività; vale a dire, non siano meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi basati su norme di natura interna e non siano congegnati in modo da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (cd. “principio di effettività”: Corte di Giustizia UE, 14 febbraio 2019, C-562/17, Nestrade, punti 40, 41; Corte di Giustizia UE, 7 novembre 2018, C-380/17, K, B, punti 56, 58; Corte di Giustizia UE, 15 marzo 2007, C-35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken, punto 37).

Pertanto, soltanto se il rimborso risulti impossibile o eccessivamente difficile, il principio di effettività può imporre che l’acquirente del bene in questione sia legittimato ad agire eccezionalmente per il rimborso nei confronti delle autorità tributarie (come nel caso di fallimento del venditore: Corte di Giustizia UE, 27 aprile 2017, C-564/15, cit.; Corte di Giustizia UE, 31 maggio 2018, C-660 e 661/16, KoliroB e Wirti, punto 66).

Secondo la giurisprudenza dell’Unione Europea, il fruitore dei beni o dei servizi può, dunque, ottenere il rimborso dell’imposta illegittimamente versata esperendo ordinariamente nei confronti del cedente o del prestatore un’azione di ripetizione d’indebito di rilevanza civilistica (vedi, in tema di IVA, Corte di Giustizia UE, 15 dicembre 2011, C-427/10, Banca popolare antoniana veneta, punto 42; in tema di accise, Corte di Giustizia UE, 20 ottobre 2011, C94/10, Danfoss) ed eccezionalmente una azione diretta nei confronti dell’Erario, ove venga dedotta in relazione all’azione nei confronti del fornitore la violazione del principio di effettività.

In questi termini il Collegio, dando conferma e seguito a quanto recentemente affermato in un contenzioso analogo (Cass. n. 14200/2019 del 24/05/2019), intende discostarsi dall’orientamento espresso da Cass., 12 settembre 2008, n. 23518, ripresa da Cass., Sez. U., 19 marzo 2009, n. 6589 e fatto proprio dalla sentenza impugnata, ove afferma – facendo leva sulla formulazione ellittica del TUA, art. 14, comma 2, (“l’accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata”) – che la norma non contiene alcuna indicazione specifica con riferimento ai soggetti legittimati; con la conseguenza che detta disposizione debba ritenersi applicabile a tutti coloro che dimostrino di avere indebitamente pagato l’imposta.

Infatti tale statuizione, da un lato, si pone in contrasto con la separazione tra il rapporto di imposta (corrente tra erario e fornitore) e il rapporto di rivalsa (corrente tra fornitore e consumatore), dall’altro non considera che la stessa disposizione del TUA, art. 14, comma 2, ratione temporis applicabile, prevede implicitamente la possibilità per il consumatore di far valere l’illegittima traslazione del tributo nei confronti del fornitore. La disposizione, difatti, prevede che “qualora al termine di un procedimento giurisdizionale il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme”. Nella sostanza, una volta esercitata vittoriosamente da parte del consumatore finale l’azione di rimborso nei confronti del fornitore, è quest’ultimo che ha novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza per far valere il diritto al rimborso nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

La norma attribuisce, quindi, espressamente l’azione di rimborso al fornitore che abbia traslato l’imposta sul consumatore all’esito dell’azione da questi vittoriosamente esercitata nei suoi confronti. Nè può considerarsi dirimente il fatto che la traslazione dell’imposta dal fornitore al consumatore sterilizzerebbe le richieste di rimborso da parte del fornitore, in quanto la prova della traslazione rientra nell’onere, gravante sull’amministrazione finanziaria (per effetto di Corte Cost., sent. 9 luglio 2002, n. 332), di evitare un ingiustificato arricchimento in favore del fornitore (Cass., 1 ottobre 2015, n. 19618; Cass., 16 maggio 2007, n. 11224; Cass., 24 maggio 2005, n. 10939); tanto che il TUA, art. 14, comma 2, considera l’azione di rimborso, in questo caso, come un posterius della vittoriosa azione proposta nei confronti del fornitore dal consumatore definitivamente inciso dal peso economico dell’imposta.

Nè, infine, l’orientamento qui seguito pare in contrasto con le pronunce che hanno affermato (con l’eccezione di Cass., Sez. U., n. 1837/2016, cit.) la giurisdizione tributaria sull’azione di rimborso de qua, poichè le stesse non sono entrate nel merito della questione della legittimazione del consumatore finale (Cass., 31 dicembre 2018, n. 33687; Cass., Sez. U., 19 marzo 2009, n. 6589).

Va, dunque, ribadito che “Le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui al D.L. n. 511 del 1988, art. 6,comma 3 (nel testo applicabile ratione temporis) sono dovute, al pari delle accise, dal fornitore al momento della fornitura dell’energia elettrica al consumatore finale e, nel caso di pagamento indebito, unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all’Amministrazione finanziaria ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 14 e della L. n. 428 del 1990, art. 29, comma 2, è il fornitore. Il consumatore finale, a cui sono state addebitate le imposte addizionali da parte del fornitore, può normalmente agire nei confronti di quest’ultimo con l’ordinaria azione di ripetizione di indebito e, solo nel caso in cui alleghi che tale azione si riveli oltremodo gravosa, può direttamente chiedere il rimborso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, nel rispetto del principio unionale di effettività”.

Il primo motivo di ricorso va, pertanto, accolto, con assorbimento del secondo e del terzo motivo.

La sentenza impugnata va pertanto cassata senza rinvio e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo della lite.

Le spese dell’intero giudizio possono essere integralmente compensate per la parziale novità della questione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbiti il secondo ed il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo della lite; compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2019

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472