Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.21285 del 09/08/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28261/18 proposto da:

A.I., rappresentato e difeso dall’avvocato Diego Perricone, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso, presso di lui domiciliato in Caltanissetta, via Tamburini 2;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza del Tribunale di Palermo 21 agosto 2018 n. 374;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10 luglio 2019 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

FATTI DI CAUSA

1. A.I., cittadino pakistano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di essere stato costretto a lasciare il suo Paese (Pakistan) per il timore di essere ucciso dagli appartenenti ad un gruppo terroristico di stanza in una foresta prossima al suo villaggio, i quali avevano appreso che egli aveva denunciato alla polizia i furti e le violenze da essi commesse ai danni del villaggio.

3. La commissione territoriale rigettò tutte le domande del richiedente asilo; il Tribunale confermò tale decisione.

Il Tribunale ritenne confuso e non credibile il racconto dell’odierno ricorrente; ha in ogni caso aggiunto che quel racconto non evidenziava una persecuzione per ragioni politiche, di religione, di etnia; nè sussisteva nella specie quello stato di “particolare vulnerabilità” che giustificava la protezione umanitaria, essendo il ricorrente maggiorenne e non affetto da alcuna patologia.

4. La sentenza è impugnata per cassazione da A.I. con ricorso fondato su due motivi.

Il Ministero dell’interno non si è difeso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Sostiene che erroneamente il Tribunale ha escluso la sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. (b) e (c), perchè se egli tornasse nel proprio paese correrebbe il rischio di essere torturato e ucciso da parte dei suoi persecutori, e cioè gli appartenenti al gruppo terroristico *****.

Aggiunge che, in ogni caso, in Pakistan sussiste una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, attestata da numerose fonti internazionali, e che erroneamente la Corte d’appello l’aveva esclusa.

1.2. Il motivo è fondato nella parte in cui lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. (c).

Il Tribunale ha escluso che nel Pakistan sussista una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, affermando che tale conclusione è stata ricavata “dalle notizie assunte”.

La sentenza non precisa quali siano le fonti consultate, ed a che epoca risalgano.

Ciò posto in fatto, si rileva in diritto che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, stabilisce che ogni domanda di protezione internazionale deve essere esaminata “alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale”.

La norma, dettata per l’esame della domanda di protezione da parte delle Commissioni territoriali, spiega comunque una efficacia indiretta nel successivo giudizio di impugnazione dinanzi l’Autorità Giudiziaria. Il provvedimento di quest’ultima, infatti, non potrebbe essere motivato per relationem rinviando alle fonti citate dalla Commissione territoriale. Il giudice di merito, pertanto, non può limitarsi a valutazioni solo generiche a tal riguardo, nè può omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte (Sez. 1 -, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01).

Al contrario, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve essere interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Sez. 1 -, Ordinanza n. 13449 del 17/05/2019, Rv. 653887 – 01).

La violazione, da parte del giudice di merito, di tale onere, può tradursi – ed essere censurata, come nel caso di specie – in una falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. (c), consistente in un vizio di sussunzione: ed infatti la sentenza impugnata ha ritenuto in iure insussistente il diritto alla protezione sussidiaria, senza avere previamente accertato in facto (accertamento da compiersi, per quanto detto, attraverso l’indicazione di fonti aggiornati ed autorevoli) la sussistenza nel Pakistan di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.

2. Il secondo motivo di ricorso:

2.1. Col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.

Sostiene che in caso di rimpatrio egli si verrebbe a trovare “in una condizione di vulnerabilità, intesa come pregiudizio e lesione dei diritti fondamentali alla cui tutela è posta la ratio della protezione umanitaria, anche alla luce della situazione quanto meno di certa instabilità politico-sociale in cui versa il Pakistan”.

2.2. Il motivo è inammissibile per la sua totale genericità.

Il ricorrente, infatti, non indica quale sarebbe la sua particolare condizione di vulnerabilità giustificativa della protezione umanitaria, limitandosi ad un del tutto generico richiamo alle condizioni sociopolitiche del Pakistan. Non è dedotta, in particolare, nell’illustrazione del motivo, nessuna ipotesi specifica di vulnerabilità, nè tanto meno si indica nel ricorso quando, in che termini ed in quale atto processuale tale situazione specifica di vulnerabilità era stata dedotta nei gradi di merito; nè ovviamente, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, che è misura atipica e residuale, può conseguire ipso iure al solo fatto che il richiedente si sia viste rigettare le altre domande di protezione internazionale (Sez. 1 -, Ordinanza n. 13088 del 15/05/2019, Rv. 653884 02).

3. Le spese.

3.1. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

la Corte di Cassazione:

(-) accoglie il primo motivo di ricorso; rigetta il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019

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