LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 13978/2016 proposto da:
F.G., elettivamente domiciliato in Roma, viale Liegi, n. 58, presso lo studio dell’Avvocato Romano Cerquetti, che lo rappresenta e difende per delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Unicredit s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, piazza del Popolo, n. 18, presso lo studio dell’avvocato Raffaele Lener, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3681/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 16/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/04/2019 dal cons. Dott. Giuseppe De Marzo;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Sorrentino Federico, che ha concluso per l’inammissibilità e, in subordine, per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato Romano Cerquetti, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito per il controricorrente l’Avvocato Dott. Cipriani Carlo, per delega, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza depositata il 16 giugno 2015 la Corte d’appello di Roma, decidendo a seguito di cassazione con rinvio disposta con sentenza di questa Corte n. 21163 del 17 settembre 2013, in riforma della decisione di primo grado, ha accolto la domanda risarcitoria proposta da F.G. nei confronti di Unicredit s.p.a., subentrata a Capitalia s.p.a., per effetto del comportamento contrario a buona fede della banca, che non aveva avvertito il correntista dell’impossibilità di incassare la somma di 3.500,00 Euro, versata a copertura di un assegno che la banca non avrebbe potuto pagare, a causa della chiusura del conto.
2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale, nel determinare il risarcimento del danno, ha escluso che potessero essere riconosciuti pregiudizi diversi da quelli rappresentati dalla perdita della somma sopra indicata e dalla violazione della dignità e reputazione personale. In particolare, la sentenza impugnata ha ritenuto che non fosse stata fornita prova specifica della generale e assoluta inaccessibilità del F. al credito, con riguardo alla possibilità di conseguire finanziamenti presso altre società finanziarie o di acquistare un’autovettura.
3. Avverso tale sentenza il F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso UniCredit s.p.a.. Il F. ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si lamenta nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per carenza del requisito della motivazione, rilevando che è notorio che una persona destinataria di un protesto non può accedere, soprattutto se non titolare di beni immobili, ad alcuna forma di finanziamento.
La doglianza è inammissibile, in quanto, pur prospettando formalmente un vizio di assenza di motivazione, ossia di violazione di legge, introduce nella sostanza – e oltretutto in termini di assoluta genericità – censure che afferiscono alla ritenuta illogicità dell’apparato argomentativo.
Ora, posto che la sentenza impugnata è stata depositata in data 16 giugno 2015, viene in questione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b) conv., con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata nel S.O. n. 171, della Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2012, n. 187), e applicabile, ai sensi del medesimo art. 54, comma 3 alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (al riguardo, va ricordato che, ai sensi dell’art. 1, comma 2 legge di conversione, quest’ultima è entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale).
Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come novellato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).
2. Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 91 c.p.c., per avere la Corte territoriale liquidato le spese senza tenere conto delle note versate in atti.
La censura è inammissibile.
Recentemente questa Corte (Cass. 19 novembre 2014, n. 24635), occupandosi di doglianza analoga, ha condivisibilmente osservato che è vero che (come, tra le più recenti, ricorda Cass. 29 maggio 2013, n. 13433), soprattutto in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, il giudice non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, in misura inferiore a quelli esposti, ma ha l’onere di dare adeguata motivazione dell’eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe; ma è altresì vero, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità (fra le ultime, v. Cass. 2 settembre 2013, n. 20063) che, quanto alle liquidazioni delle spese di lite, possono essere denunziate in questa sede di legittimità solo quelle che non rispettino le tariffe professionali, con obbligo, però e in tal caso, di indicare le singole voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (Cass. 29 aprile 1999, n. 4347; Cass. 24 maggio 2000, n. 6824; Cass. 14 luglio 2011, n. 14542): sussiste, in altri termini, un onere – per il ricorrente in cassazione – di specificare analiticamente in ricorso le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore (Cass. 29 aprile 1999, n. 4347; Cass. 21 aprile 2000, n. 5270; Cass. 7 agosto 2009, 18086; Cass. 4 luglio 2011, n. 14542; Cass. 26 ottobre 2012, n. 18400), con la precisazione in quella stessa sede testuale delle voci di tabella degli onorari e dei diritti di procuratore che si ritengono violate, nonchè le singole spese contestate o dedotte come omesse (Cass. 26 giugno 2007, n. 14744; Cass. 21 ottobre 2009, n. 22287).
Nella specie, non è riprodotta nel testo del ricorso la nota spese, nè è indicato, voce per voce, l’importo reclamato e malamente trascurato dal giudice di merito, in violazione – non emendabile con alcun atto successivo – del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6.
3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019