Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.21348 del 13/08/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25866/2018 proposto da:

F.P., elettivamente domiciliato in Roma, Viale delle Milizie n. 38, presso lo studio dell’avvocato Parenti Luigi, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2722/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, pubblicata il 26/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/07/2019 dal cons. Dott. TRICOMI LAURA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI CORRADO, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine rigetto;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Tiberia Pomponi, con delega, che si riporta.

FATTI DI CAUSA

F.P. propone ricorso per cassazione con tre mezzi, corredati da memoria, avverso la sentenza della Corte di appello di Roma che, nell’ambito di una controversia di scioglimento del matrimonio contratto con C.S., per quanto interessa, confermava le statuizioni assunte in primo grado sia in merito all’affidamento della figlia G. (nata il *****), essendo nel frattempo l’altra E. (nata il *****) divenuta maggiorenne, e sia al mantenimento di entrambe.

C.S. è rimasta intimata.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo testualmente rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 337 ter c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5; mancata valutazione della sussistenza dell’alienazione parentale e disposizione ingiustificata di affidamento esclusivo della figlia minore alla madre”, il ricorrente si duole che sia stato disposto l’affido esclusivo della figlia minore alla madre.

Dopo avere osservato che tale residuale modalità di affidamento può essere disposta solo ove l’affido condiviso risulti oggettivamente e gravemente pregiudizievole per il minore, ovvero uno dei genitori sia manifestamente incapace o inidoneo ad assumere il compito di curare ed educare il minore, il ricorrente si duole che tutto ciò non sia stato affatto considerato e che sia stato pure del tutto tralasciato quanto riferito dal F. in ordine alla “sussistenza di grave e finalizzata alienazione parentale, finalizzata su piani anche di altro rilievo esterno e che sono uno dei frammenti di un CASO e vicenda, si ribadisce, notori” (fol. 12 del ricorso).

Il ricorrente sottopone a critica la statuizione della Corte di appello che ha disposto l’affidamento esclusivo della minore alla madre, dando prevalenza ai desideri ed alle esigenze espressi dalla figlia all’epoca sedicenne e considerando anche che la partecipazione effettiva del genitore F. alla vita della stessa non era più in essere da anni e che l’eventuale affido condiviso avrebbe reso più complicata l’adozione delle decisioni necessarie per la figlia. A parere del ricorrente, l’allontanamento dalle figlie era conseguito alla estromissione attuata nei suoi confronti contro la sua volontà, frutto proprio di alienazione genitoriale che la Corte di appello aveva negato. Inoltre sostiene che non vi è alcuna prova che la presenza paterna determinerebbe un nocumento nella vita della figlia.

Il F. riconduce la prospettazione a molteplici vicende personali, riferisce di un piano di isolamento attuato nei suoi confronti, nel quale C.S. avrebbe avuto “un ruolo di interesse generale” (fol. 14 del ricorso) conseguente ad attività di indagini svolte, quale magistrato, in anni trascorsi.

Si duole, inoltre, che la Corte di appello abbia riconosciuto prevalenza ai desideri della minore, senza considerare che questi erano frutto dell’alienazione parentale; che non sia stata considerato il ruolo genitoriale da lui svolto per nove anni nei confronti “dei figli acquisiti M. e B.D. e l’obnubilamento del coniuge Fo.Pa. e della stessa famiglia F.- Fo.”; che non siano state assunte le prove che avrebbero documentato l’esistenza di rapporti cordiali e diretti del padre con le figlie (parla di screen shot).

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità in merito alla tempestiva proposizione della questione dell’alienazione parentale – di cui non si rinviene traccia nella sentenza impugnata – ed agli specifici termini in cui sarebbe stata sottoposta ai giudici di merito, giacchè in ricorso non s’illustrano, nè trascrivono i relativi passi dei pregressi atti in merito.

A ciò va aggiunto che tale prospettazione appare inconciliabile con quanto accertato dalla Corte di appello.

Invero la Corte territoriale ha dato atto di quanto accertato dal Tribunale circa i profili di salute psichica del F. e le conseguenze sul rapporto genitoriale e del fatto che ciò non era stato contestato dall’appellante, rammentando anche che il Tribunale aveva affermato che “la relazione con le figlie si era interrotta per molteplici motivi, essenzialmente riconducibili alle crescenti manifestazioni del disturbo di personalità del F., che ha portato quest’ultimo all’intero di un’interpretazione alterata della realtà e dei rapporti personali e professionali, vissuta come a lui avversa, all’inclusione del coniuge tra le persone a lui nemiche e all’esclusione della relazione con le figlie in quanto incapaci di sostenere le rivendicazioni, argomentazioni e visioni di congiure ai propri danni formulate dal genitore” (fol. 4 della sent. imp.). Dette conclusioni sono state ribadite dalla Corte di appello, dopo avere acquisito informazioni aggiornate sulla condizione delle figlie “rimaste molto provate dalla relazione con il padre, sin quando è per loro stato possibile mantenerla”, osservando che la minore “ha rappresentato una forte determinazione nel preservare la condizione di stabilità personale e relazionale raggiunta escludendo alcun desiderio od esigenza di riprendere i contatti con il genitore” (fol. 4 della sent. imp.).

Orbene il motivo di ricorso risulta inammissibile anche sotto questo profilo, perchè non focalizza questa ratio decidendi e non si confronta affatto con la statuizione, limitandosi sostanzialmente a sostenere una propria personale rappresentazione dei fatti.

2. Con il secondo motivo testualmente rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 147 c.c. in combinato disposto all’art. 315 bis c.c., comma 1, ed all’art. 337 ter c.c., comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, il ricorrente si duole della mancata/erronea valutazione delle risultanze probatorie afferenti la sua concreta situazione economico/patrimoniale e personale familiare, lamentando che non siano stati considerati le sue condizioni di vita e familiari, segnatamente i figli M. e D. ed il coniuge Fo.Pa., al fine di pervenire ad una corretta quantificazione della somma necessaria per il mantenimento delle figlie E. e G..

Il ricorrente si duole che la Corte di appello abbia confermato l’assegno mensile di Euro 500,00= previsto per il mantenimento delle due figlie, oltre alla partecipazione al 50% delle spese straordinarie.

In particolare lamenta che non si sia tenuto conto che quanto percepito nel 2013 per il trattamento di fine servizio (Euro 260.000,00) era stato impegnato in parte in una onerosa battaglia legale condotta dal F.; che il ricorrente provvedeva a corrispondere circa Euro 12.000,00 annui, a titolo di mutuo per l’abitazione assegnata alle figlie; che queste disponibilità economiche si erano quasi esaurite e ciò nonostante la stessa Corte di appello avesse riconosciuto che F. non era più titolare di stipendio e non ancora titolare del reddito da pensione; che doveva provvedere anche alla sua nuova famiglia; che C.S. godeva di redditi provenienti dalla professione di avvocato.

Il secondo motivo è infondato.

Contrariamente a quanto assume il ricorrente, la Corte di appello ha tenuto conto di tutte le evidenze economiche rappresentate, la perdita della retribuzione, la percezione del TFR, l’onere di pagamento del mutuo di una abitazione che, pur assegnata alle figli, rimane comunque di proprietà del F., le capacità reddituali della ex-moglie, l’esistenza di una precedente famiglia, rimarcando l’autosufficienza economica dei figli nati dalla precedente unione, e la presenza dell’attuale nuova famiglia. Invero, l’assegno di mantenimento, a seguito di adeguata ponderazione, è stato stabilito in misura contenuta (Euro 500,00 per entrambe le figlie), tanto più che la mancata percezione della retribuzione e/o della pensione da parte del genitore non esclude l’obbligo di mantenimento dei figli.

Giova sottolineare che nessun dovere di mantenimento sussiste in favore dei figli del nuovo coniuge, a cui debbono provvedere i genitori biologici.

In buona sostanza la doglianza sollecita un riesame del merito inammissibile in sede di legittimità ove non prospettata secondo i parametri normativi del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, mediante la denuncia dell’omesso esame di un fatto decisivo che, nel caso, non si ravvisa.

3. Con il terzo motivo testualmente rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., anche in correlazione con l’art. 2712 c.c., art. 20 CAD (Codice dell’Amministrazione Digitale”, D.Lgs. 7 marzo 2005 e l’art. 1, lett. b) TUDA, nonchè dell’art. 147 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5", il ricorrente lamenta la violazione del diritto di prova in suo danno. Sostiene il ricorrente che la Corte di appello non avrebbe posto a fondamento della decisione tre dvd di prove dirette già prodotte in primo grado e si duole della mancata ammissione della prova articolata in riferimento alla teste Fo.Pa..

Il motivo è infondato.

Secondo un principio consolidato “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.” (Cass. n. 16056 del 02/08/2016; conf. Cass. n. 19011 del 31/07/2017).

Invero “Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.” (Cass. n. 9097 del 07/04/2017) Alla stregua di tali principi il motivo risulta infondato.

Premesso che la decisione impugnata ha respinto la produzione del nuovo dvd dando atto – secondo la stessa prospettazione del ricorrente – che questo riproduceva il contenuto dei dvd già versati in giudizio, ed ha valutato le emergenze istruttorie nell’ambito delle prerogative riconosciutele in linea con i principi ricordati, si deve osservare che nessun fatto storico specifico e decisivo è possibile desumere dal motivo, che si focalizza piuttosto sui supporti e sui mezzi strumentali (dvd, registrazioni audio e/o video di conversazioni) e sulla personale interpretazione che degli stessi ha compiuto il ricorrente di quanto registrato, piuttosto che non sui fatti storici di cui sarebbe stato omesso l’esame.

In merito alla prova testimoniale, la mancata trascrizione dei capitoli di prova impedisce di valutare la censura.

4. In conclusione il ricorso va rigettato.

Non si provvede sulle spese di giudizio, attesa l’assenza di attività difensiva della parte intimata.

Non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Va disposto che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019

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