Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.21354 del 13/08/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23366/2017 proposto da:

S.E.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA S TOMMASO D’AQUINO 83, presso lo studio dell’avvocato FILOMENA MOSSUCCA, rappresentato e difeso dall’avvocato VIRGILIO DI LONARDO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 85/2017 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 17/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/05/2019 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO.

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso tempestivamente depositato S.E.M., cittadino del Gambia, impugnava dinanzi al Tribunale di Potenza il provvedimento con cui la Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Crotone, gli aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale, di quella sussidiaria e di quella umanitaria.

Il ricorrente riferiva che nel ***** quando era morta la madre era stato accolto, insieme alla sorella, da uno zio, il quale pretendeva di trattenere i pochi soldi che il ricorrente riusciva a guadagnare: per tale motivo era fuggito dal proprio paese per cercare fortuna altrove. Il Tribunale di Potenza, rigettava la domanda di protezione in tutte le forme e la Corte d’Appello di Potenza, con sentenza n. 85/2017 confermava la pronuncia di rigetto, ritenendo non sussistenti i presupposti per la concessione di alcuna forma di protezione.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione articolato in quattro motivi, S.E.M..

Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per assenza dei requisiti di forma, inesistenza della motivazione e motivazione apparente, in relazione all’inserimento di un passaggio motivazionale del tutto privo di collegamento logico con la statuizione di compensazione delle spese di lite.

Il motivo è inammissibile.

L’unica statuizione della sentenza che secondo la prospettazione della ricorrente sarebbe interessata dall’inserimento di una motivazione non congruente, concerne la pronuncia di integrale compensazione delle spese di lite.

Non risulta dunque alcun concreto interesse dell’odierna ricorrente, interamente soccombente, a censurare in via autonoma la statuizione di compensazione, considerato che costituisce principio consolidato di questa Corte quello secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa e dunque la pronuncia di soccombenza integrale non è in alcun modo idonea a determinare alcun pregiudizio in capo al ricorrente.

In ogni caso, il vizio dedotto non sussiste atteso che l’ampia motivazione rivela i modo chiaro la “ratio decidendi” della pronuncia di compensazione, fondata sul fatto che nel caso di specie l’esito del giudizio sia dipeso piuttosto che dalla diligenza e dall’attività delle parti, da fattori da queste ultime non controllabili a priori e mutevoli nel corso del processo.

Il secondo mezzo denuncia il vizio di motivazione apparente ed il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, per avere la Corte affermato che la condizione di “vulnerabilità” del richiedente, in relazione alla protezione umanitaria, non poteva farsi discendere esclusivamente dalle condotte ascritte allo zio del richiedente.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale ha escluso, con apprezzamento adeguato, che le sole condotte ascritte allo zio del richiedente integrassero, di per sè, una grave lesione di diritti fondamentali.

La statuizione è conforme a diritto.

La protezione umanitaria, infatti, è una misura residuale, nel senso che essa copre situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione in conseguenza della situazione di vulnerabilità del richiedente (Cass. 23604/2017; 14005/2018).

Essa tuttavia presuppone una significativa compromissione dei diritti inviolabili, che non può riconnettersi a vicende meramente private, come nel caso di specie, ma deve trovare fondamento nella situazione del paese di origine, seppure necessariamente correlata alla allegazioni del richiedente.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione di numerose disposizioni di legge, in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria.

Il motivo è inammissibile per genericità, poichè si limita all’enunciazione delle disposizioni che si assumono violate.

E’ al riguardo sufficiente rammentare che il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), giusta il disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 4), dev’essere, a pena di inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate, ma anche delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, cosi da prospettare criticamente una valutazione comparativa tra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito a questa Corte di adempiere al proprio ruolo istituzionale di verificare il fondamento della denunciata violazione (ex multis, Cass. 16038/2013; 25419/2014; 287/2016).

Il quarto mezzo censura il diniego della protezione umanitaria, prospettando la violazione dell’art. 360, nn. 3) e 5).

Il motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio della pronuncia impugnata.

Invero, la Corte non ha fatto discendere il diniego di protezione umanitaria, come dedotto dal ricorrente, automaticamente dal rigetto delle forme di protezione internazionale e sussidiaria, ma, con apprezzamento adeguato, ha escluso la sussistenza di una situazione di vulnerabilità rilevante, in considerazione dell’ambito strettamente familiare dei maltrattamenti lamentati e la mancanza di una rilevante compromissione di diritti inviolabili del richiedente.

Il ricorso va dunque respinto e, considerato che il Ministero dell’Interno non ha svolto difese, non deve provvedersi sulle spese del presente giudizio.

Poichè il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non deve disporsi il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019

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