LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26956/2017 proposto da:
T.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 19, presso lo studio dell’avvocato LUIGI PAMPHILI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE GIURATRABOCCHETTA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
– intimato –
avverso la sentenza n. 215/2017 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 28/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/05/2019 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO.
RITENUTO IN FATTO
Con ricorso depositato tempestivamente, T.A. cittadino originario della Costa d’Avorio, impugnava dinanzi al Tribunale di Potenza il provvedimento con cui la Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Crotone, gli aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale, sussidiaria e di quella umanitaria.
Il ricorrente riferiva di essere fuggito dalla Costa d’Avorio perchè, dopo la morte del padre, era stato ripudiato e cacciato dalla famiglia della madre, essendo nato fuori del matrimonio, non essendosi i genitori mai sposati, in quanto in Costa d’Avorio i figli nati da coppia non sposata vengono considerati illegittimi.
Si costituiva in giudizio il Ministero chiedendo il rigetto delle domande di parte attrice.
Il Tribunale di Potenza rigettava la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e quella di protezione sussidiaria ed umanitaria. La Corte d’Appello di Potenza, con la sentenza n. 215/2017 confermava le statuizioni di prime cure.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, articolato in sei motivi, T.A..
Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.
IL P.G. ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo censura la statuizione che ha escluso lo status di rifugiato, denunciando violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 4, 5,6,7,8 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, deducendo che la Corte d’Appello ha erroneamente escluso che gli atti di persecuzione lamentati dal ricorrente siano idonei a determinare il riconoscimento dello status di rifugiato.
Il motivo è inammissibile.
La Corte territoriale ha infatti da un lato rilevato la mancanza di elementi di riscontro che inducessero a ritenere attendibile il racconto; dall’altro ha escluso, sulla base di fonti internazionali attendibili ed aggiornate che in Costa d’Avorio la condizione di figlio nato fuori dal matrimonio dia luogo ad una situazione di grave discriminazione di cui al D.lgs. n. 251 del 2007, art. 7 e che dunque che i figli nati fuori dal matrimonio costituiscano un particolare gruppo sociale di cui alla lett. d), caratterizzato da un’effettiva discriminazione e possiedano un’identità distinta nel paese di origine, essendo percepiti come “diversi” dalla società.
A tale accertamento il ricorrente si limita a contrapporre una vicenda rilevante su un piano strettamente familiare, senza il coinvolgimento diretto o indiretto della pubblica autorità e relativa ad atti di persecuzione posti in essere ai danni del richiedente dai parenti della madre.
Il secondo motivo denuncia nullità della sentenza per omessa motivazione in relazione al rigetto della domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), per aver escluso la protezione sussidiaria in forza di una motivazione meramente apparente, con riferimento alla situazione di cui all’art. 14, lett. c).
Il terzo motivo censura la medesima statuizione di diniego della protezione sussidiaria denunciando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27.
Il quarto e quinto motivo denunciano la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 115 c.p.c. e la violazione di legge censurando la statuizione della sentenza impugnata che ha ritenuto di non concedere la protezione umanitaria al ricorrente sul presupposto della scarsa credibilità della narrazione.
Il sesto motivo denuncia il vizio di violazione di legge in relazione alla statuizione che non ha riconosciuto al ricorrente la protezione umanitaria, lamentando la violazione del principio di non refoulement.
I motivi che per la stretta connessione vanno unitariamente esaminati, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
La Corte territoriale ha escluso la sussistenza di un danno grave quale presupposto della c.d. protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 256 del 2007, art. 14, atteso che, secondo la prospettazione del ricorrente il pregiudizio lamentato risultava riconducibile a minacce esclusivamente provenienti dalla famiglia materna, rilevando inoltre sul piano della credibilità che il richiedente non aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare il racconto e che la narrazione non risultava avere riscontro con la generale situazione del paese di origine (pag. 7), fermo restando che gli elementi forniti erano di così scarsa evidenza da escludere tale possibilità.
Ciò posto, avuto riguardo alla situazione di cui all’art. 14, lett. c), il ricorrente non risulta aver messo in relazione, nei gradi di merito, la propria fuga o il pericolo di rientro nel proprio paese d’origine con una situazione di violenza generalizzata derivante da una situazione di conflitto armato tale da determinare una minaccia grave alla propria vita, nè tale situazione viene prospettata, in ossequio ai principi di autosufficienza e specificità del ricorso, nel presente motivo.
Quanto alla censura sulla scarsa credibilità, conviene premettere che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione, della motivazione apparente, o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 3340/2019).
Inoltre, qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua dei criteri di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel paese di origine – con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) – salvo che – ipotesi neppure allegata nella specie – la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018).
Nel caso di specie le censure sollevate con riferimento alla scarsa credibilità sono inammissibili in quanto, nonostante l’indicazione della rubrica, tendono di fatto a sollecitare un riesame, in questa sede, dell’apprezzamento del giudice di merito sulla credibilità del racconto e sull’ambito strettamente familiare delle minacce, fermo il rilievo che il richiedente non ha neppure allegato di aver chiesto protezione allo Stato, nè le ragioni per le quali la protezione richiesta non gli sarebbe stata offerta dalle autorità statali.
E’ sufficiente al riguardo rammentare che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 24155 del 2017; 22707 del 2017).
Quanto infine alla censura avverso il mancato riconoscimento della protezione umanitaria è evidente che l’attendibilità della narrazione svolge un ruolo rilevante, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito un’effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, questa dev’essere necessariamente correlata alla condizione del richiedente, posto che solo la sua attendibilità consente di attivare poteri officiosi (Cass. 4455/2018).
Il mezzo è sotto tale profilo del tutto generico e non contiene una allegazione della specifica situazione di fragilità del richiedente, limitandosi ad operare, da un lato, il riferimento al pericolo di persecuzioni in caso di ritorno in Patria, situazione in ordine alla quale il ricorrente non è stato ritenuto credibile, e dall’altro l’ottimo livello di inserimento del ricorrente nel contesto sociale ed istituzionale italiano indicato.
In assenza di prova della significativa compromissione di diritti fondamentali inviolabili nel paese di origine, peraltro, risulta privo di decisività il livello di inserimento del richiedente nel nostro paese.
Il ricorso va dunque respinto e, considerato che il Ministro non ha svolto attività difensiva, non deve provvedersi sulle spese del giudizio. Poichè il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non deve disporsi il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019