Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.21358 del 13/08/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6027/2018 proposto da:

U.M., rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA ISABELLA CHEVALLARO del Foro di Aosta e domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 190/2018 della CORTE D’APPELLO di ‘FORINO, depositata il 25/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/05/2019 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO.

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso depositato tempestivamente, U.M. cittadino originario della Nigeria, impugnava dinanzi al Tribunale di Torino il provvedimento con cui la Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Torino, gli aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale e di quella umanitaria.

Il ricorrente riferiva che il padre adottivo lo aveva mandato via di casa ed egli era andato dapprima a vivere con un amico e di essere successivamente fuggito dalla Nigeria perchè il padre adottivo lo aveva accusato di aver ucciso la madre ed aveva minacciato di ucciderlo ed aveva in effetti ucciso la persona che lo aveva ospitato.

Riferiva inoltre di esser stato a sua volta ingiustamente accusato dalla polizia dell’omicidio dell’amico e dichiarava dunque di temere, in caso di rientro, sia la ritorsione del padre adottivo, sia il fatto di essere imprigionato e condannato per l’omicidio di colui che lo aveva ospitato, cui era assolutamente estraneo.

Il Tribunale di Torino rigettava la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e quella di protezione sussidiaria ed umanitaria. La Corte d’Appello di Torino con la sentenza n. 190/2018 confermava le statuizioni di prime cure.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, il richiedente, il quale in prossimità dell’odierna adunanza ha depositato memoria ilustrativa.

Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per avere il giudice di appello omesso di disporre una consulenza tecnica d’ufficio in relazione al rinnovo dell’audizione del richiedente con interprete e con assistenza psicologica.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale, con adeguato apprezzamento di merito, ha ritenuto che non fosse necessario ripetere innanzi al giudice l’audizione che era stata svolta innanzi alla Commissione territoriale, effettuata in lingua inglese e con l’ausilio di un interprete e sulle cui modalità di svolgimento nessuna obiezione era stata sollevata dal richiedente.

Non sussiste dunque la dedotta violazione di legge, fermo che la valutazione sull’espletamento dell’audizione è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, in relazione alla eventuale necessità di approfondimento, esigenza che nel caso di specie il giudice di merito ha ritenuto non sussistente.

Il secondo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 3, in relazione al diniego di protezione internazionale e sussidiaria.

Il motivo è inammissibile in quanto non si confronta con la ratio della pronuncia impugnata, che ha escluso in radice la credibilità del racconto.

Si osserva al riguardo che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto, rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione, della motivazione apparente o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 3340/2019).

Orbene, quando le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua dei criteri di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel paese di origine – con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) – salvo che – ipotesi neppure allegata nel caso di specie – la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018).

Il terzo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, in relazione al diniego della protezione umanitaria, rilevando, da un lato le difficoltà obiettive ed i pericoli cui sarebbe esposto il richiedente in caso di rientro nel paese di provenienza, dall’altro il suo provato inserimento nel contesto sociale e nel volontariato.

Pure tale motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio della pronuncia.

Conviene premettere che l’attendibilità della narrazione svolge un ruolo rilevante anche in relazione alla valutazione della sussistenza dei presupposti della protezione umanitaria, atteso che la significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili dev’essere necessariamente correlata alla condizione personale del richiedente medesimo, posto che solo la sua attendibilità consente di attivare poteri officiosi (Cass. 4455/2018).

Il mezzo è peraltro del tutto generico e non contiene una allegazione della specifica situazione di fragilità del richiedente, che viene fatta genericamente discendere dalla mancanza di riferimenti nel paese di origine e dall’inserimento nella vita sociale del nostra paese.

Il quarto mezzo denuncia la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 75, in relazione alla statuizione della sentenza impugnata che ha disposto il non luogo a provvedere sulla revoca del patrocinio a spese dello stato.

Il motivo è inammissibile per carenza di interesse, in quanto nessun concreto pregiudizio discende dalla suddetta statuizione di non luogo a provvedere.

In ogni caso, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 della stesso D.P.R., dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, ancorchè adottata con sentenza, sia impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 del D.P.R. citato (Cass. 3028/2018).

Il ricorso va dunque respinto e, considerato che il Ministro non ha svolto attività difensiva, non deve provvedersi sulle spese del giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019

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