Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.21370 del 13/08/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 19297/2018 r.g. proposto da:

I.O., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce ai ricorso, dall’Avvocato Alessandro Praticò, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Torino, Via Groscavallo n. 3.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministero legale rappresentante pro tempore.

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino, depositata in data 20.12.2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/5/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

RILEVATO

che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Torino – decidendo sull’appello principale proposto dal Ministero dell’Interno e su quello incidentale proposto da I.O. avverso l’ordinanza emessa in data 17.2.2017 dal Tribunale di Torino (con la quale era stata accolta la domanda, avanzata in via subordinata, di protezione umanitaria ed erano state respinte le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria) – ha accolto l’appello principale del Ministero, respingendo dunque tutte le domande di protezione avanzate dal richiedente, e ha, invece, respinto l’appello incidentale volto invece ad ottenere la reclamata protezione sussidiaria.

La corte del merito ha ritenuto superfluo il richiesto interrogatorio libero del richiedente; ha ritenuto che la valutazione di non credibilità espressa dal primo giudice in relazione al racconto del richiedente giustificava di per sè il rigetto di tutte le domande di protezione, compresa quella umanitaria (invece riconosciuta nel giudizio di primo grado), protezione quest’ultima di cui comunque non ricorrevano i presupposti, giacchè il mero inserimento del richiedente nel contesto socio-lavorativo italiano non consente di per sè il rilascio del permesso di soggiorno per tali motivi; ha comunque evidenziato che non ricorrevano le condizioni di vulnerabilità personale necessarie per il riconoscimento della invocata protezione umanitaria. La corte di merito ha inoltre evidenziato che il racconto della vicenda personale del richiedente (che aveva narrato di essere stato coinvolto, suo malgrado, in una faida tra bande criminali che aveva determinato anche l’omicidio della sorella e che ora avrebbero potuto vederlo coinvolto anche nel procedimento penale per la morte, sempre per omicidio, dell’aggressore della sorella) non costituiva ragione sufficiente per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il giudice di appello ha inoltre evidenziato che la situazione socio-politica della Nigeria, quale paese avviato alla democrazia e in grande espansione economica, non legittimava neanche la reclamata protezione sussidiaria, posto che il ricorrente avrebbe potuto richiedere ed ottenere la protezione statuale in riferimento alle conseguenze della vicenda personale sopra tratteggiata.

2. La sentenza, pubblicata il 20.12.2017, è stata impugnata da I.O. con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.

Il Ministero non ha svolto difese.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente, lamentando omesso esame di un fatto decisivo e violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 5, comma 6 e art. 14, lett. a e b, si duole della mancata valutazione del fatto della impossibilità di una effettiva difesa dello stato nigeriano nei confronti della violenza cui sarebbe suscettibile di essere sottoposto il richiedente.

2. Con il secondo motivo si denuncia sempre un omesso esame di un fatto prospettato come decisivo, e cioè il timore di subire un processo iniquo e di subire una condanna a pena ingiusta.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge, in relazione al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 2, per aver correttamente valutato il pericolo di subire aggressione da un’associazione criminale come una condizione di vulnerabilità per il riconoscimento della protezione umanitaria.

4. Con il quarto motivo si articola vizio di omesso esame dei motivi di appello in relazione sempre alla richiesta di protezione umanitaria e in relazione alla situazione socio-politica del paese di provenienza.

5. Con il quinto ed ultimo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5,comma 6 e dell’art. 8 Conv. Europea dei diritti dell’uomo e per omesso esame di un fatto decisivo relativo al profilo di integrazione dello straniero in Italia per la protezione umanitaria.

6. Il ricorso è fondato per le ragioni qui di seguito precisate.

6.1 Il primo e secondo motivo (che possono essere esaminati congiuntamente) sono invero fondati.

Questa Corte ha, invero, più volte affermato che il diritto alla protezione sussidiaria non può essere escluso dalla circostanza che a provocare il danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati qualora nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, dunque, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali (Cass., 20/07/2015, n. 15192; Cass., 03/07/2017, n. 16356; Cass., 09/10/2017, n. 23604). In tal senso si è altresì statuito che le minacce di morte da parte di una setta religiosa (o di un gruppo segreto armato) integrano gli estremi del danno grave del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 e non possono essere considerate un fatto di natura meramente privata anche se provenienti da soggetti non statuali, sicchè l’adita autorità giudiziaria ha il dovere di accertare, avvalendosi dei suoi poteri istruttori anche ufficiosi ed acquisendo le informazioni sul paese di origine, l’effettività del divieto legale di simili minacce, ove sussistenti e gravi, ovvero se le autorità del Paese di provenienza siano in grado di offrire adeguata protezione al ricorrente (Cass. 15/02/2018, n. 3758).

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha ritenuto assolutamente credibile ed attendibile la narrazione dei fatti, e tuttavia non ha disposto alcun accertamento, volto ad appurare se la denunciata – come si evince dai motivi di appello incidentale riprodotti nel ricorso – situazione di inefficienza e di corruzione della polizia in Nigeria e di parzialità della giustizia siano effettive e reali, onde consentire al richiedente tutela sia da possibili vendette dei familiari dell’ucciso, sia dalla sottoposizione ad un processo iniquo e della sottoposizione a pene inumani e degradanti.

6.2 I restanti motivi di censura rimangono assorbiti.

Si impone pertanto la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla corte di appello competente cui si demanda anche la statuizione sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo e secondo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, cui demanda anche la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019

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