LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13907/2018 proposto da:
I.L., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Iacopo Casini Ropa, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 17/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/06/2019 dal cons. Dott. LUCIA TRIA.
RILEVATO
CHE:
1. il Tribunale di Ancona, con decreto pubblicato il 17 marzo 2018, respinge il ricorso proposto da I.L., cittadina nigeriana proveniente da *****, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessata escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);
2. il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:
a) le dichiarazioni della richiedente in merito alle ragioni che l’avrebbero costretta a lasciare il Paese di origine appaiono inidonee a giustificare un provvedimento di protezione perchè riguardano vicende scarsamente credibili, come rilevato dalla Commissione territoriale, e la ricorrente neppure in questa sede deduce motivi di vulnerabilità;
b) pertanto, la domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiata non può essere accolta perchè non risulta che la ricorrente sia esposta al rischio concreto di persecuzioni e che quindi, per tale ragione, non possa o non voglia giustificatamente avvalersi della protezione del Paese di provenienza;
c) nel colloquio non è emersa la prova certa o attendibile di un collegamento della situazione individuale della richiedente e il rischio di essere vittima di violenze in caso di rimpatrio in *****, da cui proviene, che non rientra fra gli Stati della Nigeria per i quali l’UNHCR ha sconsigliato il rimpatrio;
d) tale Stato non è neppure tra quelli della Nigeria ove è segnalato un elevato rischio di atti terroristici o rapimenti a danno di stranieri;
e) nel racconto non vi è cenno della violenza petrolifera e della violenza armata che si riscontra nel ***** e che, in particolare, in ***** ha indotto personalità politiche a fornire di armi i giovani per spingerli alla violenza;
f) mancano, quindi, le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria, in quanto non sembra sussistere il rischio per la ricorrente di subire la condanna alla pena di morte o trattamenti inumani o degradanti nel Paese di origine;
g) dagli accadimenti riferiti dall’interessata, a parte temute ripercussioni in caso di rimpatrio, non emergono sufficienti elementi di fondatezza a sostegno della sussistenza del rischio di subire un “danno grave”, del tipo indicato nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) tra i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria;
h) con riferimento all’ipotesi indicata nella lett. c) medesimo art. 14 è da escludere l’esistenza di un conflitto armato interno – pur nell’ampia accezione indicata dalla giurisprudenza – che possa creare una situazione di indiscriminata violenza tale da coinvolgere la ricorrente;
i) infine, va ricordato che per l’accoglimento della domanda di riconoscimento del diritto ad ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari devono sussistere particolari ragioni di carattere soggettivo ovvero condizioni di vulnerabilità non rientranti in quelle prese in considerazione dalla protezione internazionale;
3. il ricorso di I.L. domanda la cassazione del suddetto decreto per due motivi; il Ministero dell’Interno resta intimato.
CONSIDERATO
CHE:
Sintesi dei motivi.
1. il ricorso è articolato in due motivi;
2. con il primo motivo si contesta il rigetto della domanda di concessione della protezione sussidiaria e si denunciano: a) violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; b) insufficienza e contraddittorietà della motivazione; c) omesso esame di un fatto decisivo, sostenendosi che vi sarebbe una palese contraddizione nella motivazione del decreto impugnato tra la parte in cui si riconosce che nell'***** si riscontra una diffusa situazione di violenza armata favorita dal fatto che personalità politiche hanno fornito di armi i giovani per spingerli alla suddetta violenza e il diniego del riconoscimento della protezione sussidiaria per inesistenza di una situazione di “conflitto armato” interno, come configurato dalla CGUE;
3. con il secondo motivo si contesta il rigetto della domanda di concessione della protezione umanitaria e si denunciano: a) violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5; b) insufficienza e contraddittorietà della motivazione; c) omesso esame di un fatto decisivo, rilevandosi che il Tribunale ha respinto la domanda di protezione umanitaria senza applicare la relativa disciplina, in particolare, senza valutare gli elementi propri della vicenda personale della ricorrente e la sua vita personale e familiare in Italia, ma facendo riferimento ad astratti presupposti e quindi senza motivazione;
Esame delle censure.
4. L’esame dei motivi di ricorso porta alla dichiarazione di inammissibilità del primo motivo e all’accoglimento del secondo, nei limiti e per la ragioni di seguito esposti;
5. il primo motivo va dichiarato inammissibile perchè le censure con esso proposte finiscono con l’esprimere un mero – e, di per sè, inammissibile dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze processuali effettuate dal Tribunale a proposito della condizione personale della ricorrente sulla base dei dati tratti da fonti accreditate;
5.1. in particolare le censure si focalizzano sulla ipotizzata contraddittorietà rinvenibile nella motivazione del decreto impugnato per il fatto che il Tribunale, dopo aver affermato che nell'***** (da cui proviene la ricorrente) si riscontra una diffusa situazione di violenza armata ha poi escluso che tale situazione sia qualificabile come “conflitto armato” interno, quale configurato dalla giurisprudenza ed ha quindi respinto la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria;
5.2. il prospettato vizio di motivazione attiene, quindi, alla qualificazione e valutazione giuridica di fatti e concerne la parte della motivazione in diritto relativa all’esame della domanda di protezione sussidiaria;
5.3. ne deriva che la censura non risulta formulata in conformità con l’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis – secondo cui la ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207). Evenienze che qui non si verificano;
6. il secondo motivo è da accogliere, per il profilo di censura relativo allo sostanziale assenza – e, quindi, all’apparenza – della motivazione relativa al rigetto della domanda di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, domanda che, in base ad un costante orientamento di questa Corte, deve essere frutto di valutazione autonoma, non potendo il relativo rigetto conseguire automaticamene dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, in quanto è necessario che l’accertamento da svolgere sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che integrano i requisiti di tale forma di protezione (vedi, per tutte: Cass. 12 novembre 2018, n. 28990);
6.1. infatti, come denunciato dalla ricorrente, la motivazione sul punto è del tutto inidonea ad esplicitare le ragioni logico-giuridiche poste a base della relativa decisione, in quanto, senza contenere il necessario elemento della concisa esposizione del fatto posto a base del diritto controverso e senza alcun riferimento all’indagine sull’esistenza con specifico riferimento alla ricorrente di una situazione vulnerabile idonea a integrare il permesso umanitario, si risolve in una generica enunciazione dei presupposti che, in astratto, possono portare alla concessione della protezione umanitaria;
6.2. deve essere ricordato al riguardo che, per costante giurisprudenza di questa Corte – pur dopo la modifica dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 17, che ha portato alla sostituzione della “concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto della decisione” con la “concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione” – è pacifico che un elemento indispensabile della sentenza (o di altro provvedimento decisorio come l’attuale decreto) – nel suo complesso e con riguardo alle singole decisioni ivi assunte – sia la definizione del fatto da cui nasce il diritto preteso, che va comunque narrato, non in termini prolissi, ma nei suoi elementi rilevanti per la decisione, quali risultanti al termine dell’istruttoria, considerato che lo stesso legislatore, nel modificare l’art. 132 cit., ha espressamente stabilito un collegamento di tipo logico e funzionale tra l’indicazione dei fatti di causa e le ragioni poste dal giudice a fondamento della decisione (vedi per tutte: Cass. 11 novembre 2010, n. 22845; Cass. 10 dicembre 2015, n. 24940);
6.3. con indirizzi altrettanto fermi la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che, in tema di contenuto della sentenza (o del provvedimento di carattere decisorio), la concisa esposizione dei fatti rilevanti della causa non costituisce un elemento meramente formale, bensì un requisito da apprezzare esclusivamente in funzione dell’intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (Cass. 20 gennaio 2015, n. 920; Cass. 22 giugno 2015, n. 12864);
6.4. la sentenza (o il provvedimento) sono nulli ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, se manchi del tutto l’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (Cass. 8 gennaio 2009, n. 161; Cass. 15 marzo 2002, n. 3828);
6.5. è stato altresì affermato che il canone della chiarezza e della sinteticità espositiva degli atti processuali (di parte e di ufficio) è uno dei pilastri su cui si basa il giusto processo, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 2, e in coerenza con l’art. 6 CEDU (arg. ex Cass. 4 luglio 2012, n. 11199; Cass. 30 aprile 2014, n. 9488);
6.6. infine, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Cass. SU 5 agosto 2016 n. 16599; Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053 e ancora, ex plurimis, Cass. civ. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009);
6.7. il decreto impugnato, nella parte finale riguardante il rigetto della domanda di riconoscimento del diritto al permesso per motivi umanitari, risulta completamente privo della descrizione della situazione della richiedente al riguardo e quindi degli esiti dell’autonoma valutazione effettuata in sede giudiziaria sull’esistenza, o meno, nella specifica fattispecie sub iudice, delle condizioni di vulnerabilità che integrano i requisiti di tale forma di protezione;
6.8 ciò si traduce nella carenza, sul punto, della concisa definizione del fatto da cui nasce il diritto preteso – che, come si è detto, è un elemento che non può mancare in una sentenza così come in generale in un provvedimento decisorio essendo essenziale per la comprensione del ragionamento logico-giuridico che ha portato alla decisione – la cui assenza già rende, di per sè, viziato il provvedimento;
6.9. a ciò va aggiunto che la – pur graficamente esistente – motivazione del decreto sul punto risulta poco appagante in quanto è limitata all’elencazione dei requisiti normativamente richiesti per la protezione umanitaria come intesi dalla giurisprudenza di legittimità (al riguardo si cita Cass. 7 luglio 2014, n. 15466) senza alcuna precisazione delle ragioni per le quali nella specie si è esclusa la sussistenza dei suddetti requisiti;
6.10. pertanto, la motivazione stessa risulta di fatto omessa, visto che, per un costante e condiviso indirizzo di questa Corte, non adempie il dovere di motivazione il giudice che si limiti a richiamare principi giurisprudenziali asseritamene acquisiti, senza tuttavia formulare alcuna specifica valutazione sui fatti rilevanti di causa e, dunque, senza ricostruire la fattispecie concreta ai fini della sussunzione in quella astratta; in una situazione di tal tipo, infatti, il sillogismo che distingue il giudizio finisce per essere monco della premessa minore e, di conseguenza, privo della conclusione razionale (Cass. 27 maggio 2011, n. 11710; Cass. 30 ottobre 2015, n. 22242);
6.11. nella specie tale difetto è ancora più evidente per il fatto che Cass. 7 luglio 2014, n. 15466 – unico precedente menzionato – dopo avere richiamato i requisiti previsti dalla legge per la concessione della protezione umanitaria ha accolto il motivo di ricorso riguardante il rigetto della relativa domanda per il riscontrato totale mancato esame della sussistenza dei relativi requisiti di questa da parte del Giudice del merito, sicchè nel passo motivazionale di cui si tratta manca addirittura ogni riferimento a “principi giurisprudenziali asseritamene acquisiti”, posti a supporto della decisione assunta;
6.12. per le indicate ragioni la motivazione contenuta nel decreto impugnato relativamente al rigetto della domanda del permesso di soggiorno per motivi umanitari risulta nulla perchè priva della concisa esposizione sia delle ragioni di fatto della decisione (descrizione sintetica della fattispecie esaminata) sia delle ragioni di diritto della decisione stessa, cioè di una esposizione logica e adeguata al caso di specie che consenta di cogliere l’iter logico-giuridico seguito e comprendere se le tesi prospettate dalle parti siano state tenute presenti nel loro complesso;
6.13. si tratta, quindi, di una motivazione che corrisponde perfettamente alla suindicata nozione di “motivazione apparente” perchè pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente tuttavia è del tutto apodittica e tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento effettuato dal Tribunale con riguardo alla anzidetta fondamentale statuizione di carattere decisivo (vedi, per tutte: Cass. 7 aprile 2017, n. 9105);
Conclusioni.
7. in sintesi, il primo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il secondo deve, invece, essere accolto, per le ragioni e nei limiti suindicati;
8. il decreto impugnato, deve essere, quindi, cassato, in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa anche per le spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Ancona che, in diversa composizione, si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo e accoglie il secondo. Cassa il decreto impugnato, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Ancona, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 12 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019