Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.21389 del 13/08/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6534-2015 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MELLINI 7, presso lo studio dell’avvocato LUCIA ZACCAGNINI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GINO MARTINUZZI;

– ricorrente –

contro

TRENITALIA S.P.A., – Società con socio unico, soggetta all’attività

di direzione e coordinamento di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 32, presso lo studio dell’avvocato LUCIANO TAMBURRO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1113/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 13/08/2014 R.G.N. 321/2008.

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza n. 1113 del 13.8.2014 la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della pronuncia del giudice di prime cure, ha confermato la sussistenza di una dequalificazione professionale – per il periodo maggio 1999 – novembre 2000 – di S.G., operaio qualificato presso Trenitalia, e ha condannato il datore di lavoro al risarcimento del danno per perdita di chances da progressione in carriera a far tempo da giugno 2000 ad agosto 2007, data di indizione di una selezione interna riservata ai dipendenti del reparto di appartenenza del S.;

2. Propone ricorso avverso tale sentenza S.G. affidandosi a tre motivi e Trenitalia resiste con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

CHE:

3. con il primo motivo del ricorso principale si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c., comma 2, anche in relazione agli artt. 416 e 420 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), avendo, la Corte distrettuale, preso in considerazione la circostanza della mancata partecipazione del S. alla selezione interna nonostante si trattasse di fatto dedotto solamente in grado di appello e rilevando d’ufficio il concorso colposo del creditore ai fini della limitazione del risarcimento del danno;

4. con il secondo ed il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 2, e vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), avendo, la Corte distrettuale, trascurato di valutare se la condotta tenuta dal S. era ordinaria e non gravosa, se la selezione offriva una opportunità automatica (ossia basata solo sul titolo dell’anzianità di servizio) o, invece, riservava al datore di lavoro un’ampia discrezionalità nell’accertamento dei requisiti dei partecipanti;

5. il primo motivo non è fondato; la sentenza impugnata ha evidenziato, da una parte, che Trenitalia, in sede di appello, ha dedotto la circostanza che il S. non aveva partecipato alla selezione interna bandita il 10.8.2007 e, dall’altra, che la società “in via subordinata ha chiesto limitarsi il risarcimento del danno entro il limite temporale del 10 agosto 2007”;

6. risulta, inoltre, dal ricorso, che il S. ha proposto l’azione di demansionamento (e la richiesta di risarcimento del danno) nel novembre 2006 e, dunque, in data precedente l’indizione della selezione interna, con conseguente tempestività – trattandosi di circostanza sopravvenuta – della relativa allegazione svolta da Trenitalia in sede di appello;

7. la Corte distrettuale si è, dunque, conformata al principio di diritto richiamato dallo stesso ricorrente secondo cui, in tema di concorso del fatto colposo del creditore, previsto dall’art. 1227 c.c., comma 2, al giudice del merito è consentito svolgere l’indagine in ordine all’omesso uso dell’ordinaria diligenza da parte del creditore solo se sul punto vi sia stata espressa istanza del debitore, la cui richiesta integra gli estremi di una eccezione in senso proprio, dato che il dedotto comportamento che la legge esige dal creditore costituisce autonomo dovere giuridico, espressione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede (cfr. da ultimo Cass. n. 15750 del 2015);

8. il secondo ed il terzo motivo non sono fondati posto che l’accertamento dei presupposti per l’applicabilità della disciplina prevista dall’art. 1227 c.c., comma 2, che esclude il risarcimento con riguardo ai danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, integra un’indagine di fatto, riservata al giudice di merito, che rimane sottratta al sindacato di legittimità se assistita da congrua motivazione (Cass. S. U. n. 12348 del 2007; Cass. nn. 2063 e 20283 del 2004; Cass. n. 27554 del 2017);

9. va, inoltre, sottolineato che la sentenza in esame (pubblicata dopo l’11.9.2012) ricade sotto la vigenza della novella legislativa concernente l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (D.L. 22 giugno 2012, n. 83 convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134); l’intervento di modifica, come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053/2014), comporta una ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto, che va circoscritto al “minimo costituzionale”, consistente nel controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta)”.;

10. nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, nè gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori, avendo, la Corte distrettuale, rilevato che il S., a differenza di tutti i colleghi dello stesso reparto a cui apparteneva, non aveva presentato domanda di partecipazione alla selezione riservata ai dipendenti di quel reparto, nonostante fosse precisato – nel bando – che le candidature escluse dall’assegnazione dell’incarico sarebbero state tenute in considerazione per nuove ulteriori esigenze, così adottando un comportamento di mera inerzia di fronte all’altrui comportamento dannoso;

11. secondo consolidato orientamento, invero, sussiste l’obbligo del creditore (lavoratore) di cooperazione e di attivazione volto ad evitare l’aggravarsi del danno, secondo l’ordinaria diligenza ex art. 1227 c.c., comma 2, obbligo che riguarda solo le attività non gravose, nè eccezionali, o tali da non comportare notevoli rischi o sacrifici (cfr. da ultimo Cass. n. 7065 del 2018);

12. in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.

13. sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 4.000,00 per compensi professionali e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 30 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019

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