LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 20163/2014 proposto da:
B.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALESSANDRO VARALLO, 24, presso lo studio dell’avvocato UMBERTO FRATINI, rappresentata e difesa dall’avvocato CRISTIANO COMINOTTO;
– ricorrente –
contro
AZIENDA OSPEDALIERA ISTITUTI CLINICI DI PERFEZIONAMENTO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI DARADANELLI 46, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO CANNONE, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 03/03/2014 R.G.N. 760/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/07/2019 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato CRISTIANO COMINOTTO;
udito l’Avvocato ALESSANDRO CANNONE.
FATTI DI CAUSA
1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 3 marzo 2014) respinge sia l’appello principale di B.N. avverso la sentenza n. 5113/2010 del Tribunale di Milano sia l’appello incidentale dell’Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento (d’ora in poi: ICP).
La Corte d’appello di Milano, per quel che qui interessa, precisa che:
a) B.N. ha chiesto la dichiarazione di illegittimità della sanzione disciplinare della sospensione di sei mesi dal servizio irrogatale dall’ICP – con Delib. 16 giugno 2008, n. 267 – e la condanna dell’Azienda al risarcimento dei danni patrimoniali e non;
b) il primo Giudice ha respinto il ricorso affermando la legittimità del comportamento dell’ICP in quanto la ricorrente si era assentata dal servizio per 17 giorni, a decorrere dal 4 febbraio 2008, senza che l’Azienda avesse autorizzato la richieste di ferie di aspettativa avanzate e quindi pervenendo alla conclusione della proporzionalità della sanzione;
c) l’interessata non ha dimostrato che la situazione familiare difficile che si è trovata a dover affrontare fosse di improvvisa e indifferibile urgenza tale da rientrare nell’ambito applicativo dell’art. 36, comma 7 dell’ANC;
d) comunque, una situazione del genere avrebbe potuto giustificare l’assenza al massimo per il solo giorno 4 febbraio 2008 e, quindi, certamente essa era inidonea a giustificare la lunga successiva assenza;
e) in sintesi, la B. ha agito in violazione dei principi di correttezza, buona fede e diligenza, nè può essere sottaciuto che la presente vicenda ha come preambolo le contestazioni della ricorrente al trasferimento in un diverso ambulatorio comunicatole poco prima;
f) ne consegue che nulla può essere riconosciuto alla B. come risarcimento del danno;
g) peraltro, anche la richiesta di danni avanzata da ICP nell’appello incidentale va respinta in quanto, come già rilevato dal primo Giudice a proposito di analoga domanda riconvenzionale, l’ICP non ha fornito la prova dei danni che sostiene di aver subito nè ha provato un danno all’immagine.
2. Il ricorso di B.N., illustrato da memoria, domanda la cassazione della sentenza per cinque motivi; resiste, con controricorso, l’Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I – Profili preliminari.
1. Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità proposta dall’ICP controricorrente, per la mancata produzione, da parte della ricorrente, in allegato al presente ricorso del testo integrale dell’Accordo collettivo nazionale (d’ora in poi: ACN) per la disciplina dei rapporti con i medici specialisti ambulatoriali interni, veterinari ed altre professionalità (biologi, chimici, psicologi) ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992 e successive modificazioni, approvato dalla Conferenza Stato-Regioni e Province Autonome in data 23 marzo 2005, richiamato nei motivi di ricorso.
Deve essere, al riguardo, ricordato che, con la sentenza del 19 marzo 2014 n. 6335 in discontinuità con il precedente indirizzo, si è affermato il principio secondo cui la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicchè, anch’essa comporta, in sede di legittimità, la riconducibilità del motivo di impugnazione all’errore di diritto, direttamente denunciabile per cassazione, con la correlativa esenzione dall’onere di depositare il contratto collettivo del settore pubblico su cui il ricorso si fonda.
1.1. Tale nuovo orientamento, che viene qui condiviso e ribadito, si è consolidato nella successiva giurisprudenza, sicchè è assurto al rango di “diritto vivente” (vedi, fra le tante: Cass. 9 settembre 2014, n. 18946; Cass. 16 settembre 2014, n. 19507; Cass. 17 maggio 2016, n. 10060; Cass. 12 ottobre 2016, n. 20554) e porta a considerare irrilevante il deposito del testo dell’anzidetto Accordo collettivo – che ha carattere nazionale – al fine dell’ammissibilità delle denunce di violazione delle norme in esso contenute, proposte nel presente ricorso.
II – Sintesi dei motivi di ricorso.
2. Il ricorso è articolato in cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, sostenendosi che la Corte d’appello è giunta alla conclusione della proporzionalità dell’irrogata sanzione disciplinare, sul presupposto della avvenuta violazione delle norme contrattuali da considerare erroneo perchè l’art. 36, comma 7, dell’ACN prevede espressamente che il medico possa assentarsi dalla struttura senza dover rispettare il normale iter di richiesta dell’aspettativa non retribuita “in caso di inderogabile urgenza”.
E questa norma di carattere eccezionale è quella da applicare alla presente fattispecie, mentre la Corte territoriale ha fatto riferimento all’art. 38 dell’ACN che disciplina i permessi annuali retribuiti, ma richiesti dall’interessata.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, contestandosi l’affermazione della Corte d’appello relativa all’irrilevanza, nell’ambito della complessiva valutazione dei fatti, della mancata accettazione da parte dell’Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento (d’ora in poi: ICP) della proposta conciliativa formulata dal Collegio di conciliazione, perchè in contrasto con il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 66, comma 7 (abrogato dalla L. n. 183 del 2010) ove si stabiliva che il comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa doveva essere valutato dal giudice per il regolamento delle spese.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza o del procedimento, perchè nella sentenza impugnata si fa riferimento – come preambolo – alle contestazioni della ricorrente al trasferimento in un diverso ambulatorio, andandosi così oltre il thema decidendum e, quindi, con ultrapetizione.
2.4. Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza o del procedimento, per omessa pronuncia sulla domanda proposta dalla B. in appello di condanna dell’Azienda al versamento dei contributi previdenziali e alla regolarizzazione del rapporto nei suoi aspetti previdenziali e fiscali.
2.5. Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, con riferimento all’assoluzione da tutti gli addebiti disposta dalla Commissione Medica, organo disciplinare dell’Ordine dei Medici di Milano in data 9 maggio 2009, al termine di un nuovo procedimento disciplinare per gli stessi fatti, sull’assunto secondo cui la richiesta di assenza dal servizio non era da considerare strumentale ma era motivata da una reale esigenza per seri e comprovati motivi.
III – Esame delle censure.
3. Il ricorso non è da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.
3.1. Il primo motivo è inammissibile, per plurime concorrenti ragioni.
In primo luogo va rilevato che con le censure con esso proposte, in sostanza, si chiede inammissibilmente a questa Corte di effettuare una “rivisitazione” del giudizio sulla proporzionalità della sanzione irrogata alla ricorrente rispetto agli addebiti contestati, giudizio che è devoluto al giudice del merito, rientrando nella ricostruzione del fatto da questi operata.
A ciò va aggiunto che la Corte d’appello non ha erroneamente applicato l’art. 38 dell’ACN, come si afferma in ricorso, ma ha correttamente fatto applicazione dell’art. 36, comma 7, dello stesso ACN, sottolineando che:
a) l’interessata non ha dimostrato che la situazione familiare – certamente difficile – che si è trovata a dover affrontare il 4 febbraio 2008 fosse di improvvisa e indifferibile urgenza, come richiesto dell’art. 36, suddetto comma 7 dell’ANC;
d) in ogni caso, una situazione del genere avrebbe potuto giustificare l’assenza senza autorizzazione al massimo per il solo giorno 4 febbraio 2008 mentre sarebbe stata comunque inidonea a giustificare la lunga successiva assenza della ricorrente, per la quale era certamente necessaria la prescritta autorizzazione che non è stata chiesta dall’interessata.
A fronte di queste specifiche argomentazioni, la ricorrente non impugna la ratio – idonea a sorreggere la decisione sul punto – relativa al rilevato difetto di allegazione e prova in merito al carattere improvviso e indifferibilmente urgente della situazione familiare che si è trovata ad affrontare il 4 febbraio 2008, elemento centrale per la ricostruzione della vicenda anche successiva.
3.2. Il secondo motivo è inammissibile perchè con esso si contesta un giudizio rimesso al giudice del merito, consistente nell’affermata irrilevanza nell’ambito della valutazione complessiva dei fatti della mancata accettazione da parte di ICP della proposta conciliativa formulata dal Collegio di conciliazione e non si dimostra in modo esauriente quali siano stati gli effetti pregiudizievoli per la ricorrente di tale valutazione sulla decisione assunta.
Nè va omesso di rilevare che le censure sono prospettate senza il dovuto rispetto – in riferimento alla suddetta proposta, di cui si assume l’erronea interpretazione da parte della Corte d’appello – del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti (o atti processuali) è tenuto ad assolvere il duplice onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 (a pena di inammissibilità) e all’art. 369 c.p.c., n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso), indicando nel ricorso specificamente il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice del merito (trascrivendone il contenuto essenziale) e fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, onde porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la ritualità dell’allegazione del documento stesso e la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726; Cass. 14 settembre 2012, n. 15477; Cass. 8 aprile 2013, n. 8569).
3.3. Il terzo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato in quanto, come emerge chiaramente dalla lettura della sentenza (e come risulta anche dal ricorso), la Corte d’appello ha fatto riferimento alle contestazioni della ricorrente al disposto trasferimento presso un diverso ambulatorio (comunicatole poco prima dell’inizio della vicenda processuale) solo come “preambolo” della vicenda processuale stessa.
Pertanto, quello contestato non è un passaggio decisivo della sentenza, ma viene utilizzato dalla Corte d’appello solo per ricostruire la vicenda, senza che al suddetto riferimento alle contestazioni per il trasferimento sia stato attribuito alcun effetto sulla decisione finale.
Pertanto, si tratta di un passaggio motivazionale che risulta privo di rilevanza decisionale che, quindi, risulta svolto “ad abundantiam” e pertanto non rientra nella “ratio decidendi” della sentenza, essendo da configurare come un “obiter dictum”, come tale non vincolante, improduttivo di effetti giuridici e quindi, non sono suscettibile di gravame, nè di censura in sede di legittimità (Cass. 11 giugno 2004, n. 11160; Cass. 22 novembre 2010, n. 23635; Cass. 8 febbraio 2012, n. 1815).
3.4. Il quarto motivo è inammissibile per l’assorbente ragione che le censure con esso proposte sono formulate senza il dovuto rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, che si applica anche alle censure con le quali si denunciano ipotizzati errores in procedendo, come accade nella specie.
Infatti, il fatto che, in tale ultima ipotesi, la Corte di cassazione sia giudice anche del “fatto processuale” ed abbia il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la Corte stessa debba ricercare gli atti autonomamente, essendo, invece, la parte interessata tenuta ad assolvere il duplice onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 (a pena di inammissibilità) e all’art. 369 c.p.c., n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso), indicando nel ricorso specificamente il contenuto essenziale del documento di cui si assume l’erronea interpretazione da parte del giudice del merito (trascrivendolo) e fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali (Cass. 17 gennaio 2007, n. 978; Cass. SU 14 maggio 2010, n. 11730).
Nella specie nel ricorso si sostiene che la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciare sulla domanda proposta dalla attuale ricorrente in appello di condanna dell’Azienda al versamento dei contributi previdenziali e alla regolarizzazione del rapporto nei suoi aspetti previdenziali e fiscali senza tuttavia assolvere i suddetti oneri e senza neppure specificare e dimostrare di avere ritualmente avanzato la suddetta domanda nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
3.5. Infine è inammissibile anche il quinto motivo, per la principale ragione che, anche in questo caso, le censure sono formulate senza il dovuto rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, di cui si è detto.
IV – Conclusioni.
4. In sintesi, il ricorso deve essere respinto.
5. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, Euro 5500,00 (cinquemilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 3 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019