LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14035-2018 proposto da:
P.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO BORGATTI, 25, presso lo studio dell’avvocato ANTONGIULIO AGOSTINELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE GAMBARDELLA;
– ricorrente –
contro
MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AVENTINA 3/A, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO CASULLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ORONZO MAZZOTTA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1041/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 02/11/2017 r.g.n. 1048/16.
RILEVATO
CHE:
Il Tribunale di Siena respingeva il ricorso proposto da P.B. di impugnativa del licenziamento per giusta causa intimatogli dal Monte dei Paschi di Siena il 9.9.11, per indebite ingerenze nei confronti di colleghi per favorire talune persone, fisiche e giuridiche, nelle richieste di finanziamenti. Il primo giudice riteneva illegittime, per difetto di immediatezza, le prime due contestazioni, delle tre su cui si fondava il recesso, e sussistente la terza.
Avverso tale sentenza proponeva appello il P.; resisteva il MPS, proponendo appello incidentale.
Con sentenza depositata il 2.11.17, la Corte d’appello di Firenze respingeva entrambi i gravami, compensando per un terzo le spese del grado, ponendo a carico del P. il residuo.
La Corte fiorentina riteneva pienamente provate, in base alle testimonianze escusse, la documentazione in atti, comprese numerose e-mails, che il P. avesse ripetutamente abusato della sua posizione sovraordinata all’interno della Banca per esercitare indebite pressioni su colleghi e sottoposti al fine di indirizzare in senso positivo pratiche di mutui e finanziamenti di persone fisiche e giuridiche a lui legate da interessi personali e/o economici.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il P., affidato a cinque motivi, cui resiste la Banca con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
CHE:
Deve pregiudizialmente respingersi eccezione di inammissibilità del presente ricorso per violazione dell’art. 348 ter c.p.c., non essendo stata data prova che la sentenza impugnata si sia basata sui medesimi accertamenti di fatto esaminati dal primo giudice.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 per violazione del principio di specificità della contestazione.
Il motivo è infondato avendo la sentenza impugnata congruamente accertato che nella contestazione erano puntualmente indicate le pratiche, le condotte ed i soggetti relativi ai comportamenti contestati, peraltro già emersi dal rapporto ispettivo dell’11.7.11.
Con secondo motivo il P. denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 per violazione del principio di immodificabilità della contestazione, con particolare riferimento al fatto che in sede giudiziaria la Banca avrebbe introdotto ulteriori contestazioni, quali le minacce nei confronti dei sottoposti.
Il motivo è infondato posto che, come correttamente affermato dalla sentenza impugnata secondo pacifica giurisprudenza, è legittima una precisazione dell’infrazione contestata anche in sede giudiziaria, purchè non sia modificato nella sostanza il fatto posto a base del licenziamento (Cass. n. 3752/85, Cass. n. 3245/03).
Con terzo motivo il P. denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, nonchè della L. n. 300 del 1970, art. 7 in combinato disposto con l’art. 115 c.p.c., per erronea valutazione delle prove, ritenendo fondati fatti che non erano stati provati dalla Banca, lamentando inoltre la sproporzione tra essi ed il licenziamento adottato.
Il motivo è inammissibile.
Deve infatti considerarsi (cfr. di recente Cass. n. 13798/17, Cass. n. 21455/17) che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), sicchè quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053), coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi ricorrente nel caso in esame). Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione (rimessi all’apprezzamento del giudice di merito: quanto alla proporzionalità della sanzione cfr. Cass. n. 8293/12, Cass. n. 144/08, Cass. n. 21965/07, Cass. n. 24349/06; quanto alla gravità dell’inadempimento, cfr. Cass. n. 1788/11, Cass. n. 7948/11) ineriscono ad un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, vizio limitato al generale controllo motivazionale (quanto alle sentenze impugnate depositate prima dell’11.9.12) e successivamente all’omesso esame di un fatto storico decisivo, in base al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Deve allora rimarcarsi che “..L’art. 360 c.p.c., nuovo testo n. 5) introduce nell’ordinamento un nuovo e diverso vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881).
Il ricorso non rispetta il dettato di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, novellato n. 5, limitandosi in sostanza a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa, ampiamente valutate dalla Corte di merito.
Con quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 2 deducendo l’inefficacia del licenziamento per non avere la Banca comunicato per iscritto i motivi del licenziamento, pur richiesti dal dipendente.
Il motivo è infondato, posto che laddove, come nella specie, si tratti di licenziamento disciplinare preceduto dalla necessaria preventiva contestazione (contenente i fatti contestati e l’intrinseco o palese giudizio datoriale di gravità degli stessi) e la lettera di licenziamento si riporti a tali fatti contestati, il meccanismo previsto dall’art. 2 citato (ante legem n. 92 del 2012) non ha ragion d’essere, essendo il recesso già stato ampiamente motivato dal datore di lavoro (Cass. n. 15986/16). Con quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 per non avere la sentenza impugnata correttamente valutato la questione della mancata affissione del codice disciplinare sottoposta al suo esame.
Il motivo è infondato in quanto i gravi fatti addebitati, concretando violazioni di leggi, anche penali, ed in sostanza la violazione del cd. “minimum etico”, non necessitano per la loro sanzionabilità dell’affissione del codice disciplinare (cfr. Cass. n. 54/17, Cass. n. 22626/13, secondo cui il principio di necessaria pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica nei casi in cui il licenziamento sia irrogato per sanzionare condotte del lavoratore che concretizzano violazione di norme penali o che contrastano con il cosiddetto “minimo etico”, mentre deve essere data adeguata pubblicità al codice disciplinare con riferimento a comportamenti che violano mere prassi operative, non integranti usi normativi o negoziali).
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 15 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2019