Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.21498 del 20/08/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4443-2015 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 2, presso lo studio dell’avvocato ANDREA SACCUCCI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GUERINO MASSIMO OSCAR FARES, SALVATORE ABATE gusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 515/2014 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositato il 06/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/05/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie di parte ricorrente.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il sig. S.G. ricorre avverso il decreto della Corte d’appello di Potenza,che ha respinto la domanda da lui proposta nel 2014, ai sensi della L. n. 89 del 2001, per l’equa riparazione dell’eccessiva durata di un giudizio da lui introdotto davanti al tribunale amministrativo regionale della Puglia negli anni ‘90 del secolo scorso, definito dal giudice amministrativo con sentenza depositata il 28.6.13.

La corte territoriale ha disatteso la domanda dell’odierno ricorrente sul rilievo che nel giudizio amministrativo presupposto egli non aveva presentato l’istanza di prelievo di cui all’art. 71 del codice del processo amministrativo(D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), richiesta come condizione di proponibilità della domanda di equa riparazione dal D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo, in vigore dal 16.9.10, modificato dall’art. 3, comma 23, dell’allegato n. 4 al suddetto D.Lgs. n. 104 del 2010 e, successivamente, dal D.Lgs. n. 195 del 2011, art. 1, comma 3, lett. “a”, n. 6.

Il ricorso si articola in due motivi.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze si è costituito con controricorso.

Il primo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli art. 6 par. 1 CEDU, in relazione all’interpretazione offerta dalla Corte d’appello di Potenza in ordine al D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito in L. n. 133 del 2008, nella formulazione, vigente all’epoca della domanda, risultante dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 3, comma 23, dell’allegato n. 4 e, successivamente, dal D.Lgs. n. 195 del 2011, art. 1, comma 3, lett. “a”, n. 6.

Il ricorrente, sotto un primo profilo, assume che un’interpretazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, che precluda in modo assoluto la proponibilità della domanda di equa riparazione e in relazione a giudizi amministrativi nei quali non sia stata proposta istanza di prelievo sarebbe in contrasto con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo e, sotto un secondo profilo, contesta l’orientamento di questa Corte che esclude l’assimilabilità dell’istanza di prelievo all’istanza di fissazione dell’udienza.

Il secondo motivo solleva il dubbio di illegittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo in vigore dal 16 settembre 20010 ai sensi dell’art. 117 Cost.. Questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 28235/2017 ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito con modificazioni in L. n. 133 del 2008, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 3,comma 23, dell’Allegato, in relazione all’art. 117 Cost., comma 1, e ai parametri interposti degli artt. 6, par. 1, 13 e 46, par. 1 CEDU. Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato, dovendo prendersi atto che nelle more del presente giudizio è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 34 del 6 marzo 2019, che ha dichiarato incostituzionale il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 e successive modifiche, qui rilevante, trattandosi nella specie di procedimento per il quale non risulta applicabile la previsione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, come novellato dalla L. n. 208 del 2015(attesa la specifica norma transitoria di cui all’art. 6, comma 2 bis della stessa L. n. 89 del 2001, atteso che il processo presupposto alla data del 31 ottobre 2016 avrebbe già superato i termini di durata ragionevole).

La Consulta, nel richiamare la costante giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, 9 addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma ciò solo se “effettivi” e, cioè, nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente (così, in particolare, Corte Europea dei diritti dell’uomo, grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino contro Italia), ha ricordato come già con la sentenza del 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, detta Corte, pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo antecedente alla modifica di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010 – che avesse avuto come effetto quello di opporsi all’ammissibilità dei ricorsi ex lege Pinto (relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008), per il solo fatto della mancata presentazione di un’istanza di prelievo – avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente.

Ha altresì rammentato che di recente, con la sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, la Corte EDU aveva affrontato il problema dell’effettività del rimedio nazionale ex L. n. 89 del 2001, soggetto alla condizione di proponibilità della D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2. Ed esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al testo scaturito dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104 del 2010, aveva conclusivamente ritenuto che la procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dal combinato disposto della “legge Pinto” con la disposizione stessa, non potesse essere considerata un rimedio effettivo ai sensi dell’art. 13 della CEDU. Ciò soprattutto sul rilievo che il sistema giuridico nazionale non prevede alcuna condizione volta a garantire l’esame dell’istanza di prelievo.

Per l’effetto ha ritenuto che la norma in esame si pone in contrasto con la “costante giurisprudenza della Corte EDU”, atteso che l’istanza di prelievo, cui fa riferimento il D.L. n. 112 del 2008¸art. 54, comma 2, (prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla L. n. 208 del 2015), non costituisce un adempimento necessario ma una mera facoltà del ricorrente (ex art. 71, comma 2, del codice del processo amministrativo, la parte “può” segnalare al giudice l’urgenza del ricorso), con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia nè con l’obiettivo del contenimento della durata del processo nè con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata.

La sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma che subordinava la proponibilità della domanda di equo indennizzo alla necessaria presentazione dell’istanza di prelievo per contrasto con i parametri convenzionali della CEDU (art. 6 par. 1), la cui violazione comporta, appunto, per interposizione, quella dell’art. 117 Cost., comma 1, impone quindi la cassazione del decreto impugnato con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Potenza, in diversa, composizione, la quale dovrà in ogni caso considerare, come ribadito dalla Consulta nella menzionata sentenza, che la mancata presentazione dell’istanza di prelievo può costituire elemento indiziante di una sopravvenuta carenza, o di non serietà, dell’interesse della parte alla decisione del ricorso, potendo quindi assumere rilievo ai fini della quantificazione dell’indennizzo ex L. n. 89 del 2001, ma non potendo viceversa condizionare la stessa proponibilità della correlativa domanda.

Al giudice del rinvio è demandata anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso e cassa la decisione impugnata con rinvio anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Potenza in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2019

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