Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.23626 del 24/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2894/2015 R.G. proposto da:

Equitalia Sud s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Stefano Carnevale, con domicilio eletto in Roma, via Alberico II, n. 4, presso lo studio dell’Avv. Maria Grazia Affatato;

– ricorrente –

contro

T.P., nato a *****;

– intimato –

avverso la sentenza n. 10792 del Tribunale di Napoli depositata il 16 luglio 2014.

Udita la relazione svolta in camera di consiglio dal Consigliere Cosimo D’Arrigo;

letta la sentenza impugnata;

letto il ricorso.

RITENUTO

Il Tribunale di Napoli accoglieva parzialmente l’opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi proposta da T.P. avverso un pignoramento effettuato in suo danno, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 72-bis da Equitalia Sud s.p.a..

Avverso tale decisione l’agente di riscossione ha proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo. L’intimato non ha svolto attività difensiva.

CONSIDERATO

In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata.

Il ricorso è inammissibile, in quanto privo dell’esposizione, ancorchè sommaria, dei fatti di causa, sostituita dalla mera riproduzione testuale dell’atto di opposizione e della comparsa di costituzione. Esso quindi non soddisfa i requisiti di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

In particolare, il ricorso in esame va ascritto al genere dei c.d. ricorsi assemblati, ossia nei quali l’esposizione dei fatti di causa è sostituita dall’interpolazione grafica o dalla testuale riproduzione degli atti dei gradi di merito. Il ricorso per cassazione redatto mediante assemblaggio – cioè attraverso la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale, contenuto degli atti processuali – è carente del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che non può, a fronte dell’utilizzo di tale tecnica, neppure essere desunto, per estrapolazione, dall’illustrazione del o dei motivi (Sez. 6 – 3, Sentenza n. 3385 del 22/02/2016, Rv. 638771). Ciò in quanto la tecnica di redazione mediante integrale riproduzione di una serie di documenti si traduce in un’esposizione dei fatti non sommaria, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, e comporta un mascheramento dei dati effettivamente rilevanti, tanto da risolversi in un difetto di autosufficienza (Sez. 5, Sentenza n. 18363 del 18/09/2015, Rv. 636551).

Tale elaborazione giurisprudenziale è peraltro conforme a quanto già ritenuto dalle Sezioni unite, secondo cui, ai fini del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso (Sez. U, Sentenza n. 5698 del 11/04/2012, Rv. 621813).

Il ricorso è quindi inammissibile, anche perchè alla carenza espositiva non è possibile rimediare accedendo ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la stessa sentenza impugnata (Sez. 6 3, Ordinanza n. 1926 del 03/02/2015, Rv. 634266; Sez. 1, Sentenza n. 19018 del 31/07/2017, Rv. 645086).

Sebbene tale rilievo sia assorbente, non è superfluo osservare che ne ricorre un’ulteriore ragione di inammissibilità del ricorso.

Infatti, con lo stesso si deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., consistita nell’omesso esame di una serie di documenti che dimostrerebbero l’intervenuta notificazione delle cartelle di pagamento in relazione alle quali, invece, è stata dichiarata la parziale nullità dell’atto di pignoramento.

Tale doglianza è carente di specificità, poichè l’agente di riscossione omette di riportare, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il contenuto degli atti sui quali si fonda il ricorso, richiamandoli in modo diretto o indiretto.

La doglianza sarebbe infondata anche nel merito, poichè, in sede di legittimità, una questione di violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, bensì, rispettivamente, solo allorchè si deduca che quest’ultimo abbia posto alla base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso (valutandole secondo il suo prudente apprezzamento) delle prove legali ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Sez. 6 – L, ordinanza n. 27000 del 27/12/2016 – Rv. 642299). Il principio del libero convincimento posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c. opera, infatti, interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità. Ne consegue che la denuncia della violazione delle regole suddette da parte del giudice di merito configura un errore di fatto, censurabile mediante il paradigma normativo del difetto di motivazione e dei limiti consentiti dalla nuova formulazione dell’attuale art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017 – Rv. 645828).

La censura prospettata dal ricorrente non rientra in alcuna delle ipotesi prospettate. Consegue che la doglianza risulta semplicemente tendente a sollecitare una rivisitazione degli apprezzamenti effettuati dal giudice di merito, inammissibile in sede di legittimità.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Poichè la parte intimata non ha svolto, in questa sede, attività difensiva, non si fa luogo alla liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.

Ricorrono, invece, i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019

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