LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 12170/2017 proposto da:
A.Y., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la cancelleria civile della Corte di cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato Massimo Gilardoni giusta procura speciale allegata al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BRESCIA elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12 presso l’Avvocatura generale dello Stato che lo rappresenta e difende ex legge;
– controricorrente –
contro
PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 452/2017 della Corte di appello di Brescia, depositata il 24/03/2017;
udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia nella pubblica udienza del 24/05/2019;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo, assorbito il secondo.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Brescia, con sentenza depositata il 24 marzo 2017, ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dal cittadino pakistano A.Y. confermando la decisione di primo grado resa dal Tribunale della medesima città che aveva escluso i presupposti per ottenere lo status di rifugiato o l’ammissione alla protezione sussidiaria, nella natura personale degli episodi narrati.
Il richiedente aveva riferito: di essere originario della città di *****, nella regione del Sind; di essere stato aggredito da parenti che volevano impossessarsi del fondo edificabile, lasciato in eredità a suo padre; di essere stato minacciato e colpito alla nuca ed alle gambe con il calcio di un fucile e quindi, nel corso di una seconda aggressione, intervenuta ad opera del medesimo clan familiare che aveva fatto irruzione nella sua abitazione, di aver subito la rottura di un braccio tanto da dover essere ricoverato in ospedale per quattro giorni. Il capo villaggio, investito dell’accaduto, aveva lasciato non risolto il problema ed il ricorrente si era quindi rivolto alle forze di polizia che si rifiutavano di intervenire perchè corrotte dai propri parenti, facoltosi.
Nel luglio del 2013 l’istante veniva di nuovo aggredito e nel settembre minacciato di morte per essersi rivolto ad un legale; rifugiatosi a *****, in esito a continuate aggressioni ai danni della madre e della sorella, egli si vedeva costretto a fuggire, raggiungendo l’Italia dalla Libia.
La Corte di merito nel rigettare il ricorso escludeva l’esistenza di comportamenti persecutori per ragioni di razza, religione od altro, attribuendo quelli dedotti a ragioni di carattere economico ed ai danni del richiedente l’esistenza di atti di indiscriminata violenza rispetto ai quali lo Stato non potesse proteggerlo e, ancora, dei requisiti per la protezione umanitaria.
2. Avverso l’indicata sentenza ricorre in cassazione A.Y. con due motivi. Resiste con controricorso l’Amministrazione dell’Interno.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo viene dedotta la violazione del dovere di cooperazione istruttoria per omesso accertamento della situazione del Pakistan in relazione alla domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c).
La Corte di merito avrebbe travisato le dichiarazioni rese in sede di audizione dal richiedente ed avrebbe ritenuto il mancato assolvimento dell’onere probatorio senza procedere ad alcun controllo delle fonti sulle questioni poste con le dichiarazioni e quindi sulla inadeguatezza dello Stato a prestare protezione al richiedente rispetto alle violenze dei parenti nel tasso di corruzione dell’Autorità pubblica.
Il motivo è inammissibile perchè privo del carattere della decisività.
Ai fini della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non è sufficiente la presenza di violenza indiscriminata nel paese di origine del richiedente, ma è altresì necessario che tale violenza si associ a “situazioni di conflitto armato interno o internazionale” che, nella specie, non sono dedotte dal ricorrente.
La mancata allegazione dell’estremo indicato rende inadempiuto il dovere di allegazione che grava sul richiedente la protezione sussidiaria e fa sì che il giudice del merito non resti, a sua volta, nella conseguenzialità del relativo onere, tenuto alla collaborazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.
In tema di protezione internazionale, l’attenuazione del principio dispositivo derivante dalla “cooperazione istruttoria”, cui il giudice del merito è tenuto, non riguarda il versante dell’allegazione, che anzi deve essere adeguatamente circostanziata, ma la prova, con la conseguenza che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda. Ne consegue che in relazione alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), deve essere allegata quantomeno l’esistenza di un conflitto armato o di violenza indiscriminata così come descritti dalla norma (Cass. 31/01/2019 n. 3016).
2. Con il secondo motivo si fa valere la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per essere stata la protezione umanitaria esclusa senza alcuna indagine sui requisiti propri di una tale misura.
Il motivo è inammissibile per genericità perchè non vengono neppure precisate le ragioni dell’invocato riconoscimento della protezione umanitaria (arg. ex Cass. 03/02/2015 n. 1926).
4. Il ricorso va conclusivamente dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente alle spese processuali nei termini di cui in dispositivo.
5. Deve darsi atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente ammesso in via provvisoria ed anticipata al patrocinio a spese dello Stato, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, stante la prenotazione a debito in ragione dell’ammissione al predetto beneficio (Cass. 22/03/2017 n. 7368).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019