LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28270/2018 proposto da:
N.D., rappresentato e difeso dall’avv. Serena Brachetti del foro di Perugia giusta procura speciale in calce al ricorso (Pec: serena. Brachetti.avvocatiperugiapec.it);
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia dell’11-5-2017;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal cons. FRANCESCO TERRUSI.
RILEVATO
che:
N.D. ricorre per cassazione nei confronti della sentenza della corte d’appello di Perugia che ne ha respinto la domanda di protezione internazionale;
il ministero dell’Interno non ha svolto d fese.
CONSIDERATO
che:
il ricorrente denunzia nell’ordine: (i) violazione o falsa applicazione degli artt. 13 della direttiva n. 2005/85-CE, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 19 e della L. n. 241 del 1990, art. 21-octies nonchè omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, eccependo in concreto la nullità del procedimento amministrativo per omessa traduzione in lingua conosciuta o comunque comprensibile al richiedente, o ancora in lingua veicolare, della relata di notifica del provvedimento amministrativo di rigetto e delle sue motivazioni; (ii) violazione o falsa applicazione dell’art. 5 t.u. imm. in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria, per essere invece il corrispondente diritto soggettivo insuszettibile di degradazione a interesse legittimo; (iii) violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, non avendo il giudice a quo adempiuto al dovere di cooperazione istruttoria sulla grave situazione esistente in Nigeria, e in particolare nel *****; (iv) violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4 e motivazione apparente, generica, insufficiente e in ogni caso erronea circa un punto decisivo della controversia rappresentato dal dedotto status di rifugiato “sur piace”: si lamenta che la corte d’appello non abbia tenuto conto della situazione interna della Nigeria, ancora caratterizzata da scontri tra sette rivali, e della correlata esposizione del ricorrente al rischio di subire violenze indiscriminate; (v) violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e omessa o comunque apparente motivazione sul punto decisivo della vulnerabilità del ricorrente, avendo la corte d’appello mancato di assumere informazioni sul sistema giudiziario della Nigeria; (vi) violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 in combinato disposto con il t.u. imm., art. 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e ancora motivazione generica, apparente, insufficiente e in ogni caso erronea circa il punto decisivo della sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria, in relazione al giudizio di insussistenza della condizione di vulnerabilità del ricorrente e dello stato di integrazione sociale in Italia;
il primo motivo e quelli successivi dal terzo al quinto sono inammissibili, poichè riferiti a forme di protezione internazionale (rifugio e sussidiaria) negate dal giudice di primo grado;
invero dalla sentenza emerge che il tribunale aveva negato ogni forma di protezione diversa da quella – riconosciuta – di tipo umanitario, e la decisione era stata gravata solo dall’amministrazione, non anche invece dal richiedente;
pertanto tutte le questioni di cui ai citati motivi sono da considerare precluse dall’avvenuta formazione di un giudicato interno negativo;
egualmente sono inammissibili il secondo e il sesto motivo, attinenti al diniego di protezione umanitaria;
la corte d’appello ha osservato che, a fronte della condizione generale della Nigeria, non particolarmente allarmante all’attualità, non erano emersi seri motivo per la concessione della protezione umanitaria;
in sostanza, la corte d’appello ha negato la protezione umanitaria poichè essa era stata invocata sulla base delle medesime allegazioni (non personalizzate) poste al fondo della domanda di protezione sussidiaria; e dunque l’ha negata per un difetto di allegazione di condizioni specifiche di vulnerabilità soggettiva;
era onere del ricorrente indicare innanzi tutto a quale specifica condizione di vulnerabilità era stata associata la sua domanda di protezione umanitaria e in quale contesto e momento processuale – e in base a quale emergenza erano stati allegati fatti specifici da ulteriormente valutare a questo riguardo;
tale onere non risulta adempiuto, non essendo state riportate nel ricorso le corrispondenti parti degli atti di merito;
tanto consente di decidere la causa senza attendere l’esito della recente rimessione alle sezioni unite della questione attinente al regime di applicazione intertemporale del sopravvenuto D.L. n. 113 del 2018; la declaratoria di inammissibilità del ricorso implica in sè doversi dare atto dell’obbligo di versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato (Cass. n. 9660-19).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 28 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019