Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.23758 del 24/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25654/2017 proposto da:

K.S., elettivamente domiciliato in Roma Via Orazio 30 presso lo studio dell’avvocato Paolo Scipinotti e rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Diroma in forza di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 703/2017 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 08/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/05/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, depositato il 10/3/2015, K.S., cittadino del *****, ha impugnato dinanzi al Tribunale di Trieste la decisione negativa della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Gorizia, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o in subordine la protezione sussidiaria o umanitaria. Il ricorrente, agricoltore, aveva narrato di collaborare con il padre e di essere iscritto al partito minoritario *****, integralista e filo-pakistano, di cui il fratello era esponente locale, nonchè di aver lasciato il Paese temendo di essere arrestato dalla polizia o di subire violenze da parte degli attivisti del partito *****, che spesso cercavano suo fratello o si rivolgevano a lui per sapere dove si trovasse.

Costituitasi in opposizione la Commissione Territoriale, il Tribunale di Trieste ha respinto la domanda, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione internazionale, anche umanitaria.

2. L’appello proposto dal K. è stato rigettato dalla Corte di appello di Trieste, a spese compensate, con sentenza del 8/9/2017.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso K.S., con atto notificato il 28/10/2017, svolgendo un unico motivo, articolato in quattro sottocensure.

L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita con controricorso notificato il 28/11/2017, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia una serie di violazione di norme di diritto.

1.1. In primo luogo, il ricorrente lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e), art. 7 e art. 8, lett. e) e assume che la Corte di appello abbia ripetuto l’errore del primo Giudice, ritenendo gli atti persecutori non sufficientemente gravi e il richiedente asilo non attendibile e comunque qualificando la vicenda come del tutto marginale.

Invece il ricorrente non solo copriva il fratello ma era pure personalmente attivo nella propaganda del partito avverso a quello al potere, *****; le persecuzioni trovavano conferma nei rapporti COI acquisiti agli atti; la sentenza non menzionava neppure il prodotto affidavit rilasciato dal padre del K.; la valutazione di marginalità degli episodi narrati dal richiedente asilo era del tutto generica, poichè ignorava le percosse violente a più riprese inferte dalla polizia; il parere negativo dell’Alta Corte del Bangladesh circa la legalità del partito a cui aderiva il K. non teneva conto delle risultanze dei rapporti COI circa la scarsa indipendenza dell’autorità giudiziaria del Bangladesh e non incideva sulla rilevanza degli atti persecutori subiti.

1.2. Così argomentando, il ricorrente, lungi dal proporre la dichiarata censura per violazione di legge, introduce una critica nel merito alla ricostruzione dei fatti effettuata dalla Corte territoriale, dissentendo dalla sua valutazione, da un lato, circa la credibilità soggettiva del richiedente asilo, dall’altro, circa l’importanza e il rilievo degli episodi di violenza di matrice politica riferiti dal richiedente, ritenuti in concreto marginali.

1.3. Giova ricordare, al proposito, che la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poichè incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Sez. 6, 25/07/2018, n. 19716).

Il giudice deve tuttavia prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova, perchè non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso (Sez. 6, 27/06/2018, n. 16925; Sez. 6, 10/4/2015 n. 7333; Sez. 6, 1/3/2013 n. 5224).

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, stabilisce che anche in difetto di prova, la veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

Il contenuto dei parametri sub c) ed e), sopra indicati, evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese, quando il complessivo quadro allegativo e probatorio fornito non sia esauriente, purchè il giudizio di veridicità alla stregua degli altri indici (di genuinità intrinseca) sia positivo (Sez. 6, 24/9/2012, n. 16202 del 2012; Sez. 6, 10/5/2011, n. 10202).

Beninteso, il principio che le dichiarazioni del richiedente che siano inattendibili non richiedono approfondimento istruttorio officioso va opportunamente precisato e circoscritto: nel senso che ciò vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Invece il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Sez. 1, 31/1/2019 n. 3016).

Inoltre questa Corte ha di recente ribadito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01; Sez. 6 – 1, n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571 – 01).

1.4. In tale quadro e tenuto conto della proposizione di una censura per violazione di legge ex art. 360, n. 3, non è consentito al ricorrente lamentare la sottovalutazione di un specifico elemento probatorio che egli vorrebbe veder apprezzato positivamente mediante incursione diretta nel materiale probatorio da parte della Corte di legittimità.

Nella stessa prospettiva non merita condivisione l’ulteriore argomento speso dal ricorrente per contrastare la concorrente ratio decidendi, basata sull’apprezzamento della Corte territoriale circa il carattere illegale del partito di cui il fratello del ricorrente è esponente e per cui pure il ricorrente assume di aver militato, apprezzamento basato sulla decisione al riguardo assunta dall’Alta Corte del Bangladesh, che questa Corte non può censurare, come il ricorrente richiede, oltretutto apoditticamente, negando autorevolezza e indipendenza a tale Autorità bengalese, che ha ritenuto il partito islamico estremista in questione non rispettoso dei valori costituzionali.

1.5. In secondo luogo, il ricorrente lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) e art. 14, in ragione del concreto pericolo corso dal ricorrente in caso di rimpatrio a causa della grave situazione di instabilità politica del Bangladesh e dei ricorrenti atti di violenza politica diffusa in quell’area; a tal proposito la Corte di appello sarebbe incorsa in una lettura parziale delle COI (country of origin informations: informazioni sul Paese di provenienza) acquisite.

1.6. In tal modo il ricorrente prospetta una censura di puro merito alla valutazione espressa dalla Corte circa la sussistenza di una instabilità socio-politica sfociante in conflitto interno armato idoneo ad esporre a rischio diffuso di violenza indiscriminata la popolazione civile, rilevante D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, nello scrupoloso rispetto del canone normativo, in riferimento alle informazioni raccolte (COI redatte dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo).

1.7. In terzo luogo, il ricorrente prospetta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per l’apodittica e aprioristica valutazione di inattendibilità del richiedente e di inverosimiglianza del suo narrato, poichè non era possibile addebitare al richiedente asilo la mancata delucidazione a fronte di chiarimenti che non gli erano mai stati richiesti, nè la carenza di supporto documentale alla narrativa.

1.8. Tuttavia la valutazione di inattendibilità del racconto rappresenta nel tessuto della pronuncia impugnata solo uno dei concorrenti motivi di reiezione della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria per rischio personalizzato e individuale, oltre alla marginalità della attività politica del richiedente e alla illegalità del partito per cui svolgeva la sua attività promozionale.

In ogni caso, la Corte territoriale ha basato la sua valutazione sulla mancanza di specificità del racconto del K. e sulla inverosimiglianza delle persecuzioni da lui riferite in rapporto al modesto ruolo svolto; nulla avrebbe impedito poi al richiedente asilo di integrare opportunamente nel proprio ricorso giurisdizionale quella lacune narrative che egli riteneva imputabili alla mancanza di richieste di delucidazioni e chiarimenti da parte degli intervistatori della Commissione territoriale.

1.9. Infine il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e art. 8 CEDU.

La Corte di appello aveva mancato di acquisire informazioni aggiornate sulla grave situazione economica e sociale del Bangladesh, con gravi carenze igienico sanitarie, denutrizione e insufficienza del reddito, e aveva inoltre enfatizzato la affermazioni del K. circa l’Islam politico, traendone la conseguenza che egli non volesse integrarsi in Italia, pur a fronte del percorso di istruzione formazione professionale intrapreso, solo sulla base della generica considerazione delle sue idee integraliste.

1.10. La Corte di appello ha ritenuto che il ricorrente non avesse una reale volontà di integrazione in Italia, alla luce delle sue convinzioni politico-religiose e della sua lontananza ideologica dai valori costituzionali del nostro Paese, così esprimendo un giudizio sul fatto, insindacabile in sede di legittimità.

D’altro canto, l’elemento dell’integrazione sociale, comunque in concreto insussistente, non è affatto sufficiente, di per sè, al riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, che richiede il concorrente e decisivo fattore dell’intollerabile compromissione nel Paese di origine dei diritti umani al di sotto della soglia essenziale, tale da determinare una situazione di particolare vulnerabilità soggettiva personale, nella specie esclusa dal Tribunale alla luce dello stesso racconto del richiedente asilo (da cui risultava che egli avesse un lavoro e una famiglia).

2. Il ricorso deve quindi essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato a rifondere le spese all’Amministrazione controricorrente, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare al controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019

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