LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare G. – rel. Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28421/2017 proposto da:
C.A., domiciliato in Roma, piazza Cavour presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione, e rappresentato e difeso dall’avv. Paola Chiandotto, in forza di procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Commissione Territoriale Riconoscimento Protezione Internazionale Gorizia, Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso la sentenza n. 757/2017 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 12/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/05/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, depositato il 12/2/2015, C.A., cittadino del *****, ha impugnato dinanzi al Tribunale di Trieste la decisione negativa della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Gorizia, chiedendo il riconoscimento della protezione sussidiaria o umanitaria.
Il Tribunale di Trieste ha respinto la domanda, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione internazionale, anche umanitaria.
2. L’appello proposto dal C. è stato rigettato dalla Corte di appello di Trieste, con dichiarazione di non luogo a provvedere in punto spese, con sentenza del 12/10/2017.
3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso C.A., con atto notificato il 11/11/2017, svolgendo due motivi.
L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita in giudizio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, lett. f), nonchè difetto di motivazione.
1.1. Il ricorrente imputa alla Corte triestina di non avere riconosciuto nella fattispecie la situazione di minaccia grave, derivante da situazione di violenza indiscriminata, come meglio definita nella giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenze C465/07 “Elgafaji” e C-285/2012 “Diakitè”) nel senso di un pericolo indiscriminato di esposizione a violenza dei civili per il solo trovarsi sul territorio del Paese: a tal proposito la Corte di appello aveva mancato di procedere al debito accertamento con riferimento all’area di provenienza e alla capacità delle autorità statuali di controllare e fronteggiare la violenza diffusa da parte delle autorità locali.
1.2. Il motivo non è pertinente e specifico rispetto alla pronuncia impugnata.
La Corte di appello ha ampiamente motivato nel p. II della sentenza, alle pagine 5-6, le ragioni, fondate sulle informazioni assunte in altro procedimento e acquisite agli atti, sulla base delle quali ha ritenuto che la zona di Kayes, da cui proviene il ricorrente non sia stata direttamente e immediatamente interessata alle vicende belliche che hanno afflitto il Mali e che sia caratterizzata da una apprezzabile stabilità, a differenza di altre aree del Paese, in particolare quelle site al Nord del Mali; ha anche aggiunto che non era sufficiente l’esistenza di formazioni di guerriglia in presenza di una ferma volontà e di una capacità di intervento e protezione da parte del Governo locale.
L’accertamento officioso non è mancato e il ricorrente dissente nel merito dalla valutazione espressa dalla Corte territoriale.
1.3. In subordine, osserva ancora il ricorrente, la situazione in atto avrebbe comunque giustificato il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6.
L’argomentazione non coglie il segno perchè la Corte territoriale ha escluso in punto di fatto che sussista un apprezzabile rischio di subire atti di violenza da parte dei civili nella zona di provenienza del ricorrente; se il rischio vi fosse stata, sarebbe spettata la protezione sussidiaria.
2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce violazione di legge con riferimento al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 18, per la ravvisata violazione del principio di non respingimento, ai sensi dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra; la Corte di appello in applicazione di tale principio, che vieta il rimpatrio forzoso verso un Paese non sicuro, avrebbe dovuto riconoscere al richiedete la protezione umanitaria onde evitare violazione dei diritti umani fondamentali.
Anche in questo caso il motivo non è pertinente e specifico rispetto alla pronuncia impugnata.
Il principio invocato non viene in considerazione nella fattispecie poichè l’argomentazione del ricorrente si basa su di un fatto indimostrato ed anzi escluso nel merito; ossia l’insicurezza del Paese di provenienza.
3. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.
Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’Amministrazione.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019