LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi – rel. Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16064/2018 proposto da:
S.I., domiciliato in Roma, piazza Cavour presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dell’avvocato Andrea Diroma in forza di procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 102/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 13/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2019 dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 S.I., cittadino del *****, ha impugnato dinanzi al Tribunale di Trieste la decisione negativa della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Gorizia, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, la protezione sussidiaria o umanitaria.
Il ricorrente, originario della regione del Punjab, di religione sunnita, aveva raccontato di aver intrattenuto una relazione con una ragazza di famiglia sciita, avversata dalla famiglia di lei e proseguita di nascosto; nel giorno in cui i due giovani avevano deciso di sposarsi clandestinamente, i famigliari della ragazza erano intervenuti, e lo avevano violentemente percosso procurandogli danni permanenti, e minacciato; la ragazza era stata segregata e forse uccisa; il ricorrente era quindi scappato dal Paese di origine.
Il Tribunale di Trieste ha respinto la domanda, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione internazionale, anche umanitaria.
2. L’appello proposto dal S., a cui ha resistito l’Amministrazione dell’Interno, è stato rigettato dalla Corte di appello di Trieste, a spese compensate, con sentenza del 13/3/2018.
3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso S.I. con atto notificato il 12/5/2018, svolgendo quattro motivi.
L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita con controricorso notificato il 15/6/2018, chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I primi due motivi sono strettamente connessi e in parte ripetitivi e possono essere esaminati quindi congiuntamente.
1.1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.
Secondo il ricorrente, la Corte di appello aveva espresso un giudizio soggettivo e arbitrario in ordine ai fatti narrati dal richiedente asilo, senza adoperarsi in alcun modo per la loro verifica in violazione del canone legale di valutazione di cui al predetto art. 3, che presuppone la collaborazione del Giudice nell’istruzione della controversia e la presunzione di buona fede del richiedente.
1.2. Con il secondo motivo proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente deduce violazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14.
Il ricorrente lamenta di non essere stato ritenuto attendibile sulla base di una opinione personale e non oggettiva; invece la credibilità non doveva essere pesata alla stregua del criterio della sufficienza della prova; i fatti rilevanti dovevano essere accertati in condivisione fra richiedente e giudice; l’onere probatorio, anche in difetto di prove, poteva ritenersi soddisfatto attraverso un resoconto coerente e plausibile del tipo di persecuzioni temute e delle ragioni di tali paure.
Erroneamente la Corte di appello aveva preteso dal ricorrente la prova certa dei fatti sui quali si basava la sua domanda.
1.3. Le censure proposte non appaiono pertinenti alla ratio decidendi e non sono adeguatamente specifiche.
1.4. Giova premettere che del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2 impongono al richiedente un dovere di cooperazione consistente nell’allegare, produrre o dedurre “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare” la domanda di protezione internazionale. In ordine alla documentazione la norma mitiga l’obbligo di produzione, coerentemente con il più incisivo obbligo dell’autorità decidente di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta, indicando i documenti “comunque appena disponibili”. Nel comma 2 viene specificato il contenuto degli elementi rilevanti che il richiedente è tenuto a fornire; il comma 5, infine, stabilisce che anche quando tali circostanze non siano suffragate da prove, la veridicità delle dichiarazioni deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.
Tali disposizioni codificano in subiecta materia il principio del cosiddetto “onere probatorio attenuato”, nel quale la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poichè incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Sez. 6, 25/07/2018, n. 19716).
Tuttavia, i canoni di valutazione fissati dalle lett. c) ed e) sopra citate chiariscono che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese, quando il complessivo quadro allegativo e probatorio fornito non sia esauriente, purchè il giudizio di veridicità alla stregua degli altri indici (di genuinità intrinseca) sia positivo (Sez.6, 24/9/2012, n. 16202 del 2012; Sez.6, 10/5/2011, n. 10202).
1.5. L’accertamento del giudice di merito deve innanzitutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa la sua esposizione a rischio grave alla vita o alla persona, che deve essere precisa e attendibile, se pur sfornita di prova, perchè non reperibile o non esigibile: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso (Sez.6, 27/06/2018, n. 16925; Sez.6, 10/4/2015 n. 7333; Sez.6, 1/3/2013 n. 5224).
La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 01; Sez. 6 – 1, n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571 – 01).
1.6.Nella fattispecie la Corte triestina ha dato, specificamente e puntualmente, rilievo al fatto che il S. non ricordava nè la data, nè il mese, del tentativo da parte sua di sposarsi con la ragazza, con il tragico epilogo dell’intervento violento dei familiari di lei, le percosse e le minacce, la menomazione fisica subita e la decisione di fuga; appare quindi riconducibile all’area del giudizio di fatto e al versante del merito la valutazione negativa espressa della Corte territoriale a fronte della incapacità del richiedente di situare nel tempo il tragico evento che ben avrebbe dovuto imprimersi nella sua memoria, per le violenze subite, la necessità della fuga e l’ultimo incontro con l’amata segregata e forse uccisa.
La Corte di appello ha inoltre stigmatizzato anche sotto altro profilo la lacunosità del racconto del S., che non aveva spiegato perchè non si sarebbe rivolto per ottenere protezione alle forze di polizia e ha quindi concluso per la non credibilità e genericità del racconto del richiedente, non solo perchè privo di riscontri.
2. Con il terzo motivo proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.
2.1. La Corte di appello, quanto alle condizioni generali del Punjab, si era basata sui rapporti COI elaborati nel 2013 e 2014 e al rapporto PIPS, mentre dalle medesime fonti richiamate emergeva un rapporto EASO dell’agosto 2015, che riferiva anche per il Punjab, seppur meno che per altre zone del *****, la sussistenza di un conflitto armato generalizzato, con dati aggiornati a tutto il 2014.
Il ricorrente segnala inoltre il rapporto EASO agosto 2017 e il rapporto Amnesty International 2017-2018 reperibili sullo stesso sito refworld citato dalla Corte triestina.
2.2. Non sussiste la violazione di legge denunciata, poichè la Corte di appello ha proceduto all’accertamento consultando specifiche fonti internazionali di informazione circa la situazione di stabilità e sicurezza nella Regione del Punjab; a tale accertamento il ricorrente contrappone una diversa fonte informativa, che risulterebbe citata nelle stesse fonti utilizzate dalla Corte triestina, senza però affermare e dar conto di come e quando tale documento risultasse acquisito agli atti processuali.
2.3. Quand’anche tale documento risultasse acquisito, non sussisterebbe affatto una ipotesi di omesso esame di fatto decisivo controverso fra le parti, visto che la Corte di appello ha valutato la situazione attuale del Punjab, esprimendo un giudizio di fatto insindacabile in questa sede e ritenendo più attendibile una fonte di prova piuttosto che un’altra.
Quanto ai rapporti EASO 2017-2018 e Amnesty International 2017-2018 si tratta all’evidenza di fonti informative che neppure la ricorrente assume di aver sottoposto all’attenzione del Giudice del merito.
3. Con il quarto motivo proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, art. 10 Cost., comma 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 6, par.4, direttiva115/2008.
3.1. Secondo il ricorrente, l’oggettiva documentazione del percorso di integrazione sociale intrapreso e il risultato ottenuto erano sufficienti al riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Quanto alla situazione di vulnerabilità soggettiva – esclusa dalla Corte – la sentenza impugnata aveva dimenticato che il concetto di salute ex art. 32 Cost. andava riferito al benessere generale della persona e non alla mera integrità psico-fisica.
3.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, di per sè, isolatamente e astrattamente considerata, l’integrazione socio-lavorativa sul territorio italiano del richiedente asilo non costituisce un elemento sufficiente per il riconoscimento della protezione umanitaria (Sez. 6 – 1, n. 17072 del 28/06/2018, Rv. 649648 – 01; Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01).
La condizione di fragilità e di particolare vulnerabilità soggettiva del richiedente asilo è stata motivatamente esclusa dalla Corte di appello con riferimento al pregresso svolgimento da parte del S. nel Paese di origine di una attività lavorativa di muratore e dalla persistenza di legami con la famiglia di origine che tuttora vive nel suo villaggio.
A tale valutazione il ricorrente contrappone una generica deduzione volta ad attribuire rilevanza al diritto costituzionale al benessere generale della persona, priva di ogni concretezza e determinazione, che si risolverebbe con il riconoscimento della protezione umanitaria tutte le volte in cui il richiedente persegua con il viaggio migratorio un obiettivo di miglioramento delle sue condizioni personali di benessere; e ciò in difetto del requisito imprescindibile di una inaccettabile compressione dei diritti umani sotto la soglia della tollerabilità nel Paese di provenienza, riferibile in modo soggettivo e personalizzato anche al richiedente asilo.
4. Il ricorso deve quindi essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato a rifondere le spese al controricorrente, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare al controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 28 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019