LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5746/2018 proposto da:
M.R., elettivamente domiciliato in Roma, presso la cancelleria della Corte di cassazione, piazza Cavour, rappresentato e difeso dall’avvocato Marco Fattori, giusta procura speciale per atto separato;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 926/2017 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 20/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2019 dal cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.
FATTI DI CAUSA
1.- M.R., cittadino bengalese, ha presentato ricorso avanti alla Corte di Appello di Trieste avverso l’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. del Tribunale di Trieste del 15 maggio 2017 che, facendo seguito alla decisione assunta dalla Commissione territoriale di Gorizia, ha respinto la richiesta di riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria), come pure quella relativa al riconoscimento del diritto al permesso per ragioni umanitarie.
Con sentenza depositata il 20 dicembre 2017, la Corte giuliana ha respinto l’appello così presentato, rilevando, in particolare, che il “ciclico sopraggiungere di alluvioni e il passaggio incontrollato degli elefanti, che mettono in pericolo la vita degli abitanti”, è circostanza che “non rientra nei casi previsti dalla legge per la concessione della protezione sussidiaria”; che comunque non emergono, dalle notizie in atti e reperibili sui siti, “particolati timori o gravi pericoli per motivi climatici” con riferimento al Bangladesh; che, quanto al punto della protezione umanitaria, lo stesso richiedente “non ha dedotto di avere subito violazione dei diritti umani”.
2.-Contro questa sentenza, M.R. presenta ricorso, articolando due motivi di cassazione.
Resiste il Ministero con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3.- Il ricorrente censura la decisione della Corte di Appello: (i) col primo motivo, assumendo violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, non avendo la Corte territoriale tenuto conto che “le gravi carestie causate dalle alluvioni inducono un clima di violenza, peraltro in assenza di adeguata repressione e controllo da parte delle Autorità statali”; (ii) col secondo motivo, assumendo violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 29 e 32 in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria, per non avere la Corte territoriale tenuto conto della Circolare del Ministero dell’Interno del luglio 2015 e, più in particolare, della “vulnerabilità del soggetto perchè vittima di una calamita naturale nello Stato di provenienza e perchè, in conseguenza di tale eventi, lo stesso ha perso, oltre ai familiari, anche l’unica fonte del proprio sostentamento”.
4.- Il ricorso è inammissibile.
Lo stesso si risolve, infatti, in una serie di asserzioni di tratto solo generico ovvero riferite a situazioni di mera potenzialità (o di semplice virtualità).
Così, la rilevazione che una congiuntura di carestia, che sia venuta a colpire una data zona territoriale, possa di per sè comportare anche il verificarsi di più o meno accentuati e diffusi episodi di violenza non implica, in quanto tale, che una simile evenienza si sia effettivamente concretizzata nel caso qui in esame. Non diversamente, il ricorrente si limita a paventare, per la zona di sua provenienza, il rischio di calamità naturali, quali cause potenziali di una eventuale vulnerabilità.
5.- Le spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 2.100,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi).
Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo il disposto dell’art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 28 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019