LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15424/2018 proposto da:
M.A., elettivamente domiciliato in Roma, viale Angelico n. 38, presso lo studio legale dell’avvocato Roberto Maiorana, che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, *****;
– intimato –
avverso la sentenza n. 857/2017 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 13/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2019 da ALDO ANGELO DOLMETTA.
FATTI DI CAUSA
1.- M.A., cittadino pakistano, ha presentato ricorso avanti alla Corte di Appello di Trieste avverso l’ordinanza ex art. 702 bis cod. proc. civ. del Tribunale di Trieste del 27 marzo 2017 che, facendo seguito alla decisione assunta dalla Commissione territoriale di Gorizia, ha respinto la richiesta di riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria), come pure quella relativa al riconoscimento del diritto al permesso per ragioni umanitarie.
Con sentenza depositata il 13 novembre 2017, la Corte giuliana ha respinto l’appello così presentato, rilevando, in particolare, che “il vissuto del richiedente resta appena tratteggiato nell’impugnazione”; che il racconto portato al riguardo appare anche non verosimile; che, in ogni caso, la “situazione generale dell’area di provenienza, secondo i rapporti COI nazionali in atti”, da un canto non si coniuga con quanto raccontato (reclutamento da parte di terroristi talebani con attacco a una madrassa), dall’altro non contempla situazioni del genere di quelle considerate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; che quanto al punto della protezione umanitaria, il richiedente non ha indicato nessun profilo di vulnerabilità specificamente attinente alla sua propria persona.
2.- Avverso questa sentenza M.A. propone ricorso, sviluppando tre motivi di cassazione.
Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese nella presente fase del giudizio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3.- Il ricorrente censura la decisione della Corte di Appello: (i) col primo motivo, per omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione Territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente, in relazione al punto della c.d. protezione sussidiaria; (ii) col secondo motivo, perchè la Corte ha errato nel ritenere insussistenti le condizioni richieste dalla legge per il riconoscimento della protezione sussidiaria, data per contro la presenza di una “grave condizione di pericolo per la sicurezza individuale all’interno del Pakistan”; (iii) col terzo motivo, per non avere ritenuto la Corte territoriale il diritto del richiedente al riconoscimento del permesso per ragioni umanitarie.
4.- I primi due motivi di ricorso, suscettibili di esame unitario, si manifestano inammissibili.
In effetti, il ricorso non indica quali specifiche dichiarazioni del ricorrente e quali sue condizioni non sarebbero state prese in esame dalla Corte triestina.
In realtà, lo stesso si limita ad affermare – con rilievo indiscutibilmente generico – come il ricorrente abbia “essenzialmente indicato”, con le sue dichiarazioni, “di trovarsi in una situazione nella quale nulla avrebbe potuto fare per sè e per la propria famiglia in quanto “immerso” in un sistema che non offre guarentigia alcuna, anche e soprattutto (ciò non è detto apertis verbis, ma si deduce) per le condizioni di diffusa violenza”.
Del pari, il ricorso non viene a indicare una concreta situazione di esposizione al pericolo, cui sarebbe esposto il ricorrente (situazione come, poi, “astrattamente riconducibile a una situazione tipizzata di rischio”: Cass., 28 giugno 2018, n. 17075). L’allegazione del ricorrente viene in definitiva a risolversi nella pura e semplice asserzione che “la condizione del paese di origine del ricorrente è assolutamente pericolosa e tale condizione avrebbe dovuto essere valutata dalla Corte di Appello”.
5.- Il terzo motivo di ricorso è inammissibile, in ragione della genericità che l’affligge.
Il ricorrente non indica specifiche condizioni di vulnerabilità del ricorrente ovvero dei “seri motivi” atti a condurre al riconoscimento della protezione umanitaria. Non può infatti ritenersi sufficiente, al riguardo, il nudo assunto secondo cui, “dal momento in cui il richiedente è giunto nel territorio del nostro Paese”, il ricorrente è “titolare del pieno diritto ad accedere alla protezione umanitaria affinchè gli sia garantito un livello di vita adeguato, per sè e per la propria famiglia, laddove le condizioni socio-economiche e sanitarie del Paese di origine non consentano un livello sufficientemente adeguato e accettabile di vita”.
6.- In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo il disposto dell’art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile, il 28 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019