LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –
Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28316-2014 proposto da:
N.O. in proprio, elettivamente domiciliato in ROMA VIA F.
VALESIO 1, presso lo studio dell’avvocato EUGENIO PACE, rappresentato e difeso dall’avvocato O.N. rappresentato e difeso da se medesimo;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente con atto di costituzione –
avverso la sentenza n. 351/2013 della COMM. TRIB. REG. di Roma, depositata il 06/12/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/04/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO BERNAZZANI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE AUGUSTINIS UMBERTO che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso.
FATTI DI CAUSA
N.O. propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza n. 351/21/13 resa dalla CTR del Lazio, pronunciata il 29.10.2013 e depositata il 6.12.2013, che ha accolto l’appello dell’Ufficio avverso la decisione di prime cure, favorevole al contribuente, in controversia concernente l’impugnazione di avviso di accertamento con cui era stata recuperata a tassazione ai fini Irpef per l’anno di imposta 2005 la plusvalenza derivante dalla cessione di un immobile sito in *****, ricalcolata sulla base degli accertamenti effettuati dalla G.d.F., a loro volta fondati sulle dichiarazioni rese dal soggetto acquirente.
L’Agenzia ha depositato atto ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.
Il contribuente ha, altresì, depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, il contribuente deduce la nullità della sentenza impugnata e dell’intero giudizio per omessa comunicazione della udienza di discussione del ricorso, in violazione del principio del contraddittorio; il motivo contiene anche una richiesta di rimessione in termini.
Con il secondo motivo di gravame, il ricorrente lamenta la mancata rilevazione d’ufficio, da parte della CTR, dell’inammissibilità dell’appello per tardività, essendo l’impugnazione dell’Agenzia delle entrate pervenuta all’appellato in data 30.10.2012, a fronte di una decisione della CTP depositata in data 12.3.2012. Nello svolgimento del motivo viene, altresì, formulata istanza di sospensione dell’esecutorietà della sentenza impugnata.
2. In via preliminare ed assorbente rispetto all’esame dei predetti motivi, va rilevato che il ricorso è inammissibile in quanto tardivo, essendo stato consegnato per la notifica all’Ufficiale giudiziario in data 3.11.2014, ossia ben oltre il termine di sei mesi previsto dall’art. 327 c.p.c.
2.1. Il ricorrente ha bensì riconosciuto, a tale proposito, di avere ricevuto la notifica del ricorso in appello tramite servizio postale in data 30.10.2012, ma ha dedotto di avere avuto conoscenza della avvenuta fissazione dell’udienza di discussione del ricorso avanti alla CTR e della pronuncia della relativa sentenza solamente al momento della notifica della cartella esattoriale emessa in conseguenza della decisione, ossia dopo l’integrale decorso del termine di impugnazione, avendo la CTR omesso sia di dare avviso al contribuente appellato della predetta udienza di discussione del ricorso sia di dare comunicazione della successiva pronuncia che ha definito il giudizio.
2.2. Questa Corte, con indirizzo prevalente e consolidato (cfr. Sez. 5, n. 23323 del 15/10/2013, Rv. 629486 – 01; Sez. 6 – 5, n. 14746 del 13/06/2017, v. 644592 – 01; Sez. 6 – 5, n. 24899 del 09/10/2018, Rv. 650979 – 01; Sez. 5, n. 12761 del 10/06/2011, Rv. 618471 – 01; cfr. anche Sez. 5, n. 16004 del 08/07/2009, Rv. 608996 – 01; Sez. 5, n. 6375 del 22/03/2006, Rv. 588298 – 01; isolata è, in senso contrario, Sez. 5, n. 6048 dell’11/03/2013), ha avuto modo di affermare che, nel processo tributario, l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva, oltre il termine “lungo” dalla pubblicazione della sentenza, previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 38, comma 3, presuppone che la parte dimostri l'”ignoranza del processo”, ossia di non averne avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e, altresì, della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza; situazione che non è ravvisabile, nella specie, in capo al ricorrente, che ha ammesso di aver ricevuto la notificazione del ricorso della controparte ed al quale, pertanto, non può dirsi ignota la proposizione dell’appello.
2.3. Nè, come ha precisato l’orientamento di legittimità richiamato, assume rilievo ai fini che qui occupano l’omessa comunicazione della data di trattazione del ricorso, che è, invece, deducibile quale motivo di impugnazione ai sensi dell’art. 161 c.p.c., comma 1, esperibile nei termini di legge, la cui inosservanza determina il passaggio in giudicato della sentenza stessa.
2.4. Conformemente all’orientamento citato, al quale il Collegio intende dare continuità, deve ritenersi che tale interpretazione sia pienamente conforme ai principi costituzionali ed all’ordinamento comunitario, in quanto diretta a realizzare un equilibrato bilanciamento tra le esigenze del diritto di difesa e il principio di certezza delle situazioni giuridiche.
Sotto il primo profilo si è, infatti, già escluso (cfr. Sez. 5 n. 10497 del 03/07/2003; Sez. 5, n. 24913 del 10/10/2008) ogni profilo di contrasto con gli artt. 24 e 3 Cost., poichè – anche alla luce delle indicazioni della sentenza n. 584 del 1980 della Corte costituzionale – una diversa disciplina del termine in argomento altererebbe il sistema delle impugnazioni, nel quale la decorrenza fissata con riferimento alla pubblicazione è un corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, sicchè lo spostamento del “dies a quo” dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata “ex officio”.
Nè si è mancato di argomentare che la disciplina dettata dall’art. 327 c.p.c., comma 1, sia stato ritenuto conforme al dettato costituzionale, in ragione della congruità del termine annuale previsto dalla norma (nella previsione antecedente alla L. n. 69 del 2009) e del dovere di vigilanza della parte costituita in giudizio, in quanto coerentemente ispirato al necessario bilanciamento dell’inviolabile diritto di difesa con ineludibile principio di certezza delle situazioni giuridiche (cfr. Sez. 5, n. 25320 del 15/12/2010, Rv. 615368 – 01, con richiamo a C. cost n. 297/08; cfr. anche Sez. 5, n. 16032 del 29/07/2015, Rv. 636342 – 01).
Parimenti, con la citata sentenza n. 25320/10, si è rilevato come, nell’ambito dell’ordinamento comunitario, la stessa Corte di Giustizia ha, con orientamento consolidato, riconosciuto l’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata riveste sia nell’ordinamento giuridico comunitario sia negli ordinamenti giuridici nazionali e la necessità “al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia” che “le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili non possano essere più rimesse in discussione” (cfr. C.G. 3.9.2009 in causa C2/08 Olimpiclub, intervenuta su questione pregiudiziale proposta proprio da questa Corte e, altresì, C.G. 30.9.2003 in causa 224/01 Kobler; C.G. 16.3.2006 in causa C234/04 Kapfer). Si è, così, condivisibilmente affermato che il giudicato interno correttamente formatosi ai sensi dell’art. 327 c.p.c. è intangibile (cfr.C.G..1.6.1999 in causa C-126/97 Ecoswiss) e che detta norma, in quanto di generalizzata applicazione, è insuscettibile di determinare discriminazioni in danno di situazioni di natura comunitaria (così salvaguardando il principio di equivalenza), poichè, come rilevato da C. Cost. n. 297/08, realizza concretamente – in considerazione della congruità del termine fissato dal citato art. 327 e del dovere di vigilanza esigibile dalla parte costituita in giudizio, l’equilibrato bilanciamento delle esigenze del diritto di difesa con quelle del principio di certezza delle situazioni giuridiche, principio quest’ultimo che la stessa Corte di Giustizia reputa ineludibile salvaguardare, attraverso la previsione dell’intangibilità delle “decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi”.
3. Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile. Non v’è luogo a condanna alle spese attesa la mancanza di attività difensiva dell’Agenzia delle entrate.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, il Collegio dà, altresì, atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019