Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.23880 del 25/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22223/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata, in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

M.C.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 3442/2011, depositata il 14 ottobre 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 maggio 2019 dal Consigliere D’Orazio Luigi.

RILEVATO

Che:

1. M.C., dipendente del Ministero delle Finanze, chiedeva all’Intendenza di Finanza il rimborso delle ritenute alla fonte operate dall’1-1-1982 all’1-3-1992 sull’indennità integrativa speciale a lui spettante.

2. il M. presentava ricorso avverso il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione finanziaria, ritenendo che l’indennità integrativa speciale, ai sensi del L. n. 324 del 1959, art. 1, comma 3. era esente da ritenute e non concorreva alla formazione del reddito complessivo ai fini dell’imposta complementare e dell’Irpef.

3. La Commissione tributaria di primo grado accoglieva il ricorso.

4. La Commissione tributaria di secondo grado rigettava l’appello proposto dalla Intendenza di finanza.

5. L’Intendenza di finanza proponeva gravame dinanzi alla Commissione tributaria centrale, rilevando che “a norma delle Circ. 13 dicembre 1973, n. 1/RT e Circ. 22 dicembre 1998, n. 42, prot. n. 8/1811 della Direzione Generale delle II.DD., la richiesta è da respingere in quanto l’indennità integrativa speciale in parola, corrisposta ai pubblici dipendenti ai sensi della L. 27 maggio 1959, n. 324, concorre, al pari degli altri emolumenti indicati nell’art. 48 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, alla formazione del reddito delle persone fisiche, anche perchè non esplicitamente menzionata nel DFR 29 settembre 1973, n. 601, recante la disciplina delle agevolazioni tributarie”.

6. La Commissione tributaria centrale dichiarava inammissibile il gravame in quanto non specifico, ai sensi del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 25.

7. Proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

8. Restava intimato il resistente.

9. Con ordinanza interlocutoria in data 28-6-2018 il Collegio, rilevato che il ricorso per cassazione risultava notificato alla parte personalmente, che dinanzi alla Commissione tributaria centrale il M. non risultava costituito, disponeva l’acquisizione del fascicolo d’ufficio, al fine di verificare la regolarità della notificazione del ricorso per cassazione.

CONSIDERATO

Che:

1. Anzitutto, si rileva che il ricorso per cassazione è stato correttamente notificato al resistente personalmente, in quanto il M. ha proposto il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, in data 8-6-1992 (quindi prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 546 del 1992), personalmente e non si è mai costituito con l’ausilio di un difensore nel corso degli altri gradi di giudizio.

Invero, la disciplina speciale di cui all’art. 17 comma 1 (“Le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie….”) e 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992 (“L’indicazione della residenza o della sede o l’elezione di domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo”) vale solo per i giudizi di merito tributari, ma non per il giudizio di cassazione, ove trova applicazione art. 330 c.p.c. – “si notifica, ai sensi dell’art. 170, presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio ” – (Cass.Civ., Sez.Un., 14916 del 2016).

Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, costituisce eccezione alla disposizione di cui all’art. 170 c.p.c., sicchè è applicabile anche alla notificazione del ricorso in appello, mentre l’art. 330 c.p.c. si applica al ricorso per cassazione (Cass., 4233/2017, in motivazione).

Tuttavia, l’ultrattività dell’indicazione della residenza, consente che il ricorso per cassazione sia correttamente notificato ai sensi dell’art. 330 c.p.c. alla residenza del contribuente, anche nel caso in cui il soggetto destinatario della notificazione non si sia costituito nel giudizio di appello oppure, pur costituitosi, non abbia fatto alcuna indicazione (Cass., sez. un., 20 luglio 2016, n. 14916). Poichè negli altri gradi di giudizio di merito non vi è stata alcuna elezione di domicilio, allora la residenza dichiarata nel primo grado di giudizio vale anche per il giudizio di cassazione, sicchè è corretta la notifica del ricorso per cassazione alla parte a mani proprie (come nel caso in esame).

2. Con un unico motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “nullità della sentenza e del procedimento per violazione del D.P.R. n. 636 del 1973, art. 25, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, in quanto la Commissione tributaria centrale ha erroneamente ritenuto che era inammissibile l’atto di gravame proposto dalla Intendenza di finanza avverso la sentenza della Commissione tributaria di secondo grado, per genericità dei motivi addotti.

2.1. Tale motivo è fondato.

Invero, la ricorrente ha riportato sia il testo della motivazione della sentenza della Commissione tributaria di secondo grado, che confermava la sentenza di primo grado, evidenziando che l’indennità integrativa speciale non era assoggettabile a ritenuta alla fonte, sia il gravame proposto dalla Intendenza di finanza avverso tale decisione, sicchè il motivo è autosufficiente perchè adeguatamente esposto nella sua completezza.

Nella sentenza della Commissione di secondo grado si afferma che “a sostegno del proposto appello, l’Intendenza di Finanza si è limitata a richiamare due circolari ministeriali. Detti richiami appaiono, peraltro, insufficienti a giustificare la riforma della decisione impugnata, giacchè il Collegio di prime cure non aveva omesso di occuparsi del contenuto delle circolari e lo aveva disatteso con argomentazioni logico-giuridiche assolutamente coerenti e ineccepibili”. La Commissione, quindi, aveva aggiunto ulteriori considerazioni, per cui l’indennità integrativa speciale non aveva natura retributiva in base alle “esplicite disposizioni” della Legge istitutiva, che che vi era differenza rispetto all’istituto della “scala mobile” per il settore privato, che tale indennità non era computabile ai fini pensionistici, che prevaleva l’espressione “non concorre a formare il reddito”, che il D.P.R. n. 601 del 1973 non aveva abrogato il regime della indennità integrativa speciale, che le circolari ministeriali non potevano superare l’orientamento giurisprudenziale favorevole al contribuente.

A fronte di tale motivazione, l’Intendenza di finanza ha affermato nel ricorso dinanzi alla Commissione tributaria centrale che “a norma della Circ. 13 dicembre 1973, n. 1/RT e Circ. 22 dicembre 1998, n. 42, prot. n. 8/1811, della Direzione Generale delle II.DD., la richiesta è da respingere in quanto l’indennità integrativa speciale in parola, corrisposta ai pubblici dipendenti ai sensi della L. 27 maggio 1959, n. 324, concorre, al pari degli altri emolumenti indicati nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, l’art. 48, alla formazione del reddito delle persone fisiche, anche perchè non esplicitamente menzionata nel D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 601, recante la disciplina delle agevolazioni tributarie”.

Il motivo di gravame dinanzi alla Commissione tributaria centrale, quindi, seppure estremamente sintetico, risulta indirizzato ad inficiare proprio la ratio decidendi della motivazione della sentenza della Commissione tributaria di secondo grado.

Invero, il motivo non si limita a richiamare il contenuto delle due circolari già oggetto del giudizio, ma evidenzia che l’indennità integrativa speciale partecipa alla formazione del reddito delle persone fisiche ed è stata comunque attinta dal D.P.R. n. 601 del 1973.

Per giurisprudenza di legittimità, infatti, in tema di contenzioso tributario, la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, determinano l’inammissibilità del ricorso in appello, non sono ravvisabili qualora il gravame, benchè formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi essere ricavati, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni (Cass. Civ., 24 agosto 2017, n. 20379).

3. La sentenza deve, allora, essere cassata con rinvio, in quanto nel giudizio di legittimità introdotto a seguito di ricorso per cassazione non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non si sia pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell’accoglimento di un’eccezione pregiudiziale, con la conseguenza che, in dipendenza della cassazione della sentenza impugnata per l’accoglimento del motivo attinente alla questione assorbente, l’esame delle ulteriori questioni oggetto di censura va rimesso al giudice di rinvio, salva l’eventuale ricorribilità per cassazione avverso la successiva sentenza che abbia affrontato le suddette questioni precedentemente ritenute superate (Cass. Civ., 5 novembre 2014, n. 23558).

Infatti, nell’ipotesi di omessa pronuncia dovuta al giudizio di assorbimento, la parte soccombente può impugnare la decisione in relazione alla sola questione su cui essa si basa, in quanto, in sede di legittimità, è superfluo enunciare tutte le diverse ed ulteriori questioni assorbite, che non possono formare oggetto di delibazione e su cui non può formarsi alcun giudicato interno, poichè non esaminate nel precedente grado di merito (Cass. Civ., 8 luglio 2014, n. 15583).

4. La sentenza va cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019

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