Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.23882 del 25/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24738/2013 R.G. proposto da:

AB Engineering s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Cantillo Oreste e dal’Avv. Cantillo Guglielmo, elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, Via Lungotevere dei Mellini n. 17, in virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata, in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, n. 447/5/2012, depositata il 10 settembre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 maggio 2019 dal Consigliere D’Orazio Luigi.

RILEVATO

Che:

1. L’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento nei confronti della AB Engineering s.r.l., per l’anno 2005, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), anche con l’utilizzo degli studi di settore D.L. n. 331 del 1993, ex art. 62-sexies, utilizzando l’incidenza percentuale degli indici di bilancio rispetto alla media delle altre imprese della Provincia di Salerno, e rilevando incongruenze contabili (irregolare deduzione di costi per locazione usufruita anche da terzi, omessa contabilizzazione delle rimanenze, versamenti e prelievi ingiustificati sul conto corrente della società, irregolare compilazione dello studio di settore).

2. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, trattandosi di attività di natura altamente specialistica non paragonabile ad altre attività similari, ma solo con poche aziende concorrenti.

3. La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, evidenziando l’utilizzo di due appartamenti con intero canone di locazione dedotto, pur se l’utilizzo riguardava anche una diversa società, la insufficiente prova contraria della società, l’omessa contabilizzazione delle rimanenze, l’assenza di giustificazione di versamenti e prelevamenti sul conto corrente della società D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32.

4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società.

5.Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo di impugnazione la contribuente deduce “omessa pronuncia: violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”, in quanto il giudice di appello ha omesso ogni statuizione sulla questione preliminare concernente l’ammissibilità dell’accertamento analitico-induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), in relazione all’accertata inesistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, sia con riguardo alla legittimità della ricostruzione del reddito con l’utilizzo delle medie di settore.

1.1. Tale motivo è infondato.

Invero, la Commissione regionale, accogliendo l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, ha implicitamente rigettato tutte le censure sollevate dalla società.

Non ricorre, infatti, il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (Cass., 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass., 13 agosto 2018, n. 20718).

2. Con il secondo motivo la ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, e del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, convertito con modificazioni dalla L. n. 427 del 1993, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto il giudice di appello ha ritenuto erroneamente legittimo l’accertamento analitico-induttivo emesso dall’ente impositore, pur in mancanza dei requisiti previsti dalle norme richiamate in rubrica. Infatti, l’avviso di accertamento si fondava su “non precisate medie di settore provinciali e regionali degli indici di bilancio dichiarati da altre società”. L’Agenzia ha, dunque, avviato una procedura di accertamento standardizzato, mediante l’applicazione delle medie di settore, non utilizzabili però nei confronti della contribuente, che svolge una attività del tutto peculiare ed altamente specializzata, sì che gli indici di bilancio non sono idonei ad integrare gli elementi presuntivi richiesti dalla legge.

2.1. Tale motivo è inammissibile.

Invero, la motivazione della sentenza di appello poggia su un apparato argomentativo robusto, che si fonda sulla indebita deduzione di costi per appartamenti utilizzati in locazione anche da una società terza, sulla assenza di prova contraria da parte della contribuente, sulle inesattezze nella contabilità, su versamenti e prelievi ingiustificati sul conto corrente della società ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32.

La ricorrente chiede una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto, soprattutto in relazione alla erronea comparazione dei valori di bilancio (indici ROE, ROI e ROS) della società con quello di altre società della Provincia di Salerno, non consentito in sede di legittimità.

3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “motivazione insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, avendo il giudice di appello reso una motivazione “del tutto incongrua”. La Commissione regionale, non comprendendo le ragioni dell’avviso di accertamento, che si era affidato in via esclusiva allo scostamento del reddito dichiarato con quello emergente dalle medie di settore, ha invece fondato la decisione sulla mancata giustificazione di versamenti e prelevamenti sul conto corrente della società. Nè ha effettuato “la benchè minima indagine o valutazione” sulla concreta applicabilità dei dati di bilancio desunti dalle medie di settore. Nulla ha rilevato la Commissione regionale sulla alta specializzazione della contribuente. Trattasi, quindi, di motivazione insufficiente che “riguarda, quindi, la carente se non addirittura omessa – valutazione delle corpose e dettagliate circostanze innanzi enunciate”.

3.1. Tale motivo è infondato.

Invero, la contribuente censura correttamente la sentenza di appello con il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per motivazione insufficiente e contraddittoria, in quanto la sentenza di appello è stata pronunciata il 10-9-2012, mentre la novella di cui al D.L. n. 83 del 2012 si applica a partire dalle sentenze pubblicate l’11-9-2012.

Tuttavia, la motivazione risulta, pur nella sua estrema sintesi, sufficiente a rappresentare l’iter logico-giuridico approntato dal giudice di appello. Infatti, la Commissione regionale ha indicato analiticamente tutti gli elementi posti a base dell’accertamento analitico-induttivo da parte della Agenzia delle entrate. In particolare, la motivazione si è soffermata sulla indebita deduzione dei costi di locazione riferibili anche ad altra società, sulle omissioni ed inesattezze riscontrate in contabilità, oltre che sulla mancata giustificazione di versamenti e prelevamenti ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32.

Nè il giudice deve tenere conto di tutti gli elementi di prova in atti, ben potendo indicare in motivazione quelli ritenuti decisivi ai fini della pronuncia, reputandosi implicitamente disattesi i restanti elementi istruttori non riportati in motivazione.

Tra l’altro, diversamente da quanto allegato dalla ricorrente, nell’avviso di accertamento, come riportato dalla contribuente nel ricorso per cassazione, si fa riferimento, tra gli altri elementi, anche alle movimentazioni del conto corrente della società, che non ha dato giustificazione a versamenti per Euro 18.000,00 ed a prelevamenti per Euro 22.000,00 (“emessi in assenza di operazioni di natura commerciale”).

Inoltre, la ricorrente non riporta specificamente le questioni sottoposte alla Commissione regionale con le controdeduzioni in appello, limitandosi a richiamare il contenuto del ricorso introduttivo, non trascritto, ma semplicemente riassunto in modo generico. La società non ha in alcun modo indicato le ragioni della “altissima specializzazione” dell’attività svolta, anzi ha dedotto che nel “territorio” vi erano altre (pure se “pochissime”) “imprese concorrenti”. Non viene, quindi, in alcun modo spiegata la ragione per cui le “medie di settore” non fossero utilizzabili nel caso in esame, tanto più che il giudice di appello, a sostegno della decisione, pone anche gli accertamenti bancari.

4. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 2.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019

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