Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.23884 del 25/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9569/2013 R.G. proposto da:

M.V., elettivamente domiciliato in Roma, via L. Nobili, presso lo studio dell’avv. Menghini Mario, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente-

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 32/01/12 della Commissione tributaria regionale di Palermo 1, depositata in data 22 marzo 2012;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 maggio 2019 dal Consigliere Fraulini Paolo.

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale per la Sicilia in Palermo, riformando la sentenza di primo grado, ha dichiarato legittimo l’accertamento di cui all’avviso n. ***** relativo a Iva, Irpef e Irap, notificato a M.V. relativamente all’anno di imposta 2004, contenente ripresa a tassazione di maggior reddito artigiano, in applicazione di studio di settore.

2. Ha rilevato il giudice di appello che lo studio di settore, da cui si evinceva uno scostamento tra il reddito dichiarato e quello presunto sulla base del relativo indice, costituisce presunzione grave su cui legittimamente può basarsi la pretesa impositiva, specie se fondata su incongruenze desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta.

3. Per la cassazione della citata sentenza M.V. ricorre con due motivi, resistiti dall’Agenzia delle Entrate con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso lamenta:

a. Primo motivo: “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto: art. 53 Cost. – D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38, 39 e 42, L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181 – artt. 2727,2728 e 2729 c.c. – L. n. 212 del 2000, art. 7” deducendo l’erroneità della sentenza laddove ha ritenuto che il semplice studio di settore sia idoneo a costituire idonea prova della legittimità dell’attività impositiva, che invece deve necessariamente richiamare elementi emersi e valutati in sede di contraddittorio, cui il contribuente aveva partecipato, specificamente contestando lo studio applicato.

b. Secondo motivo: “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” deducendo come risultava dai due verbali redatti nella fase amministrativa, il contribuente aveva contestato la validità dei parametri applicati in virtù dello studio di settore con argomentazioni che l’Amministrazione aveva ritenuto generiche e pertanto non accoglibili.

2. L’Agenzia delle Entrate argomenta l’infondatezza del ricorso, di cui chiede il rigetto.

3. Il ricorso va respinto.

4. Nessuno dei due motivi di ricorso sostiene che nel corso del giudizio di merito sia stato dedotto lo specifico vizio di nullità dell’avviso di accertamento perchè non contenente le ragioni per cui le giustificazioni addotte dal contribuente nel corso del contraddittorio non sarebbero state ritenute valide. In ogni caso, in ossequio al principio di completezza del motivo di ricorso desumibile dal disposto degli artt. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, la censura avrebbe dovuto trascrivere e/o produrre l’avviso di accertamento, per consentire alla Corte di verificare se la motivazione dell’avviso riguardava anche l’esito del contraddittorio; ciò tanto più nella fattispecie ove l’Agenzia delle Entrate, a pagina 10 del controricorso, afferma che nell’atto impositivo le allegazioni difensive svolte dal ricorrente nel contraddittorio amministrativo sarebbero state tutte vagliate con specifica motivazione.

5. Ne consegue che, non risultando elementi per dedurre alcuna illegittimità del contraddittorio amministrativo, lo studio di settore può ben costituire la base probatoria per rilevare lo scostamento e, al fine di superare la presunzione di reddito determinata dalla procedura standardizzata, grava sul contribuente l’onere di dimostrare la sussistenza di circostanze di fatto tali da far discostare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento (ex multis, Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 769 del 15/01/2019); questione sulla quale il ricorso tace del tutto.

6. La soccombenza regola le spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna M.V. al pagamento, in favore della Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019

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