Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.23919 del 25/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6169-2015 proposto da:

R.A.I. RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO SCOGNAMIGLIO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente principale –

contro

P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 7, presso lo studio dell’avvocato SARA D’ONOFRIO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e contro

R.A.I. RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A.;

– ricorrente principale – controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 10922/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/02/2014, R.G.N. 7997/2005.

RILEVATO

CHE:

1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 10922/2013, pronunciando sulle opposte impugnazioni, confermava l’accertamento della nullità del termine apposto al primo contratto a tempo determinato intercorso tra P.A. e la RAI, nonchè la declaratoria di sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con diritto della lavoratrice all’inquadramento come assistente alla regia di 5 livello; in accoglimento parziale dell’appello principale proposto dalla RAI, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava la società al pagamento, ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, in luogo di tutte le retribuzioni maturate dal 23.4.2004, di un’indennità commisurata a otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, previa compensazione con quanto già corrisposto alla P. a titolo di trattamento di fine rapporto alla cessazione di fatto di ogni rapporto di lavoro a termine, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.

2. Avverso detta sentenza la società RAI proponeva ricorso per cassazione affidandosi a tre motivi, cui resisteva con controricorso la lavoratrice, che proponeva a sua volta ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.

3 Successivamente, la società ha depositato copia del verbale di conciliazione intervenuto tra le parti in sede sindacale, con il quale è stata definita ogni questione relativa alla controversia in esame, chiedendo che fosse dichiarata la cessazione della materia del contendere, con compensazione delle spese.

CONSIDERATO

CHE:

1. L’intervenuta conciliazione della lite successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, comportando la sostituzione del nuovo assetto pattizio voluto dalle parti del rapporto controverso alla regolamentazione datane dalla sentenza impugnata, che resta così travolta e caducata, fa venir meno l’interesse alla naturale definizione del giudizio e determina la cessazione della materia del contendere.

2. Invero, come di recente chiarito dalle Sezioni Unite della Corte con sentenza n. 8980 del 2018, nel caso in cui nel corso del giudizio di legittimità le parti definiscano la controversia con un accordo convenzionale, la Corte deve dichiarare cessata la materia del contendere, con conseguente venir meno dell’efficacia della sentenza impugnata, non essendo inquadrabile la situazione in una delle tipologie di decisione indicate dall’art. 382 c.p.c., comma 3, artt. 383 e 384 c.p.c. e non potendosi configurare un disinteresse sopravvenuto delle parti per la decisione sul ricorso e, quindi, una inammissibilità sopravvenuta dello stesso.

2.1. Come osservato dalle S.U., la pronuncia che la Corte è sollecitata ad adottare non può essere una pronuncia di inammissibilità sopravvenuta del ricorso, perchè essa, come le pronunce di inammissibilità in genere, che evidenziano l’esistenza di una situazione in cui l’impugnazione non poteva essere proposta o è stata proposta in modo inidoneo, lascerebbe in essere la sentenza impugnata, il che non è quello che le parti chiedono. Poichè la situazione che si esamina suppone, naturalmente, che la controversia abbia un oggetto che le parti possono regolare convenzionalmente, il che è quanto accade nella specie, la circostanza che anche in Cassazione il processo in simili casi è dominato dall’interesse delle parti e dal loro potere dispositivo giustifica che la Corte debba rispettare la loro richiesta concorde di dichiarare la controversia definita dall’intervenuto accodo negoziale. Tanto impone, nell’esercizio dei poteri decisionali, di adottare una formula decisoria che realizzi detto interesse e che dunque dia atto della cessazione della materia del contendere per l’intervenuto accordo negoziale.

2.2. Tale dichiarazione implica necessariamente, proprio perchè la Corte accerta che la controversia è ormai oggetto solo di regolazione convenzionale, la constatazione dell’automatica perdita di efficacia della sentenza impugnata, atteso che le parti, regolando con l’accordo negoziale la vicenda, hanno inteso affidare esclusivamente ad esso la sua disciplina, così rinunciando a valersi di detta efficacia.

2.3. Il fenomeno che si verifica non è una “cassazione” della sentenza impugnata, bensì l’accertamento che la sua efficacia è venuta meno per effetto dell’accordo negoziale delle parti, perchè con esso le parti ne hanno disposto (sent. cit.).

3. Conclusivamente, anche nel caso in esame, i ricorsi debbono essere definiti con la declaratoria della cessazione della materia del contendere in forza di un accordo conciliativo intervenuto fra le parti, con conseguente venir meno dell’efficacia della sentenza impugnata. Le spese sono compensate tra le parti (cfr. punto 4, lett. g A dell’accordo).

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

4.1. Invero, in tema di impugnazione, il meccanismo sanzionatorio del raddoppio del contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, è applicabile qualora il procedimento per cassazione si concluda con integrale conferma dell’efficacia della statuizione impugnata, cioè con il rigetto dell’impugnazione nel merito, ovvero con la dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità del ricorso, mentre in questo caso l’adottanda declaratoria della cessazione della materia del contendere, pur determinando la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio, accerta il venir meno dell’efficacia della sentenza impugnata in forza di un intervenuto accordo negoziale fra le parti. La predetta misura si applica ai soli casi – tipici – del rigetto dell’impugnazione o della sua declaratoria d’inammissibilità o improcedibilità e, trattandosi di misura eccezionale, lato sensu sanzionatoria, è di stretta interpretazione e non suscettibile, pertanto, di interpretazione estensiva o analogica (cfr. Cass. n. 23175 del 2015). Per la medesima ragione essa non trova applicazione nel caso di declaratoria di cessazione della materia del contendere.

P.Q.M.

La Corte dichiara cessata la materia del contendere. Compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 2 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019

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