LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Presidente –
Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17702-2015 proposto da:
INTESA SANPAOLO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LEONE IV 99, presso lo studio dell’avvocato CARLO FERZI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANGELO GIUSEPPE CHIELLO e CESARE POZZOLI;
– ricorrente –
contro
R.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO AIELLO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 8519/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/01/2015, R. G. N. 4187/2011.
RILEVATO
CHE:
Con ricorso al Tribunale di Roma, R.E. esponeva che: – era stato dipendente di Cariplo, poi incorporata da Intesa Sanpaolo spa; per un determinato periodo di tempo, a decorrere dal 1.11.95, aveva svolto mansioni proprie della superiore qualifica di funzionario di 3 livello; – la banca, invece, da novembre 1997 fino alla cessazione del rapporto di lavoro in data 30.3.08 lo aveva adibito a mansioni dequalificanti rispetto al predetto 3 livello ormai acquisito di diritto; la banca aveva illegittimamente estinto la sua posizione previdenziale presso il fondo pensione per il personale CARIPLO dal 1.4.04.
Chiedeva pertanto: a) l’accertamento del suo diritto al superiore inquadramento dal 1.11.95; b) la conseguente condanna di Intesa Sanpaolo al pagamento delle differenze retributive dalla medesima decorrenza fino al termine del rapporto di lavoro; c) la condanna della banca al risarcimento del danno da demansionamento, a decorrere da novembre 1997 fino alla cessazione del rapporto di lavoro; d) l’accertamento del suo diritto all’iscrizione al predetto fondo previdenziale; e) in subordine la condanna della banca al risarcimento del danno derivato dall’omessa iscrizione al fondo pensione del personale Cariplo dal 1.4.04 fino alla cessazione del rapporto di lavoro. Costituitasi in giudizio, Intesa Sanpaolo contestava la fondatezza delle domande, di cui chiedeva il rigetto.
Assunte le prove testimoniali ammesse, il Tribunale adito, con sentenza dell’11.5.10, accoglieva soltanto la domanda sub c) e liquidava il danno in Euro 878 mensili dal 4.11.97 al 31.10.98 ed in Euro 1.756 mensili da novembre 1998 fino al 31.3.04, nonchè dal 12.6.06 fino al 31.3.08, somme già rivalutate a marzo 2008, oltre interessi legali dalle singole scadenze al saldo; rigettava tutte le altre domande e compensava per intero le spese processuali.
Avverso tale decisione Intesa Sanpaolo proponeva tempestivo appello lamentando che il giudice di prime cure avesse erroneamente: apprezzato le risultanze istruttorie e riconosciuto una dequalificazione professionale e un demansionamento, invece da escludere – omesso di rilevare la mancata protestà del R. al momento del mutamento di mansioni; – riconosciuto l’esistenza di un danno risarcibile pur avendo riscontrato assenza di allegazioni e prova; – omesso di rilevare che il ricorrente aveva chiesto solo il risarcimento del danno da dequalificazione professionale e perdita di chances; in subordine, si doleva della misura eccessiva del criterio di liquidazione del danno utilizzato.
Resisteva il R., proponendo appello incidentale in ordine alle domande non accolte.
Con sentenza depositata il 14.1.15, la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello principale, accogliendo parzialmente l’incidentale con condanna della Banca a regolarizzare la posizione contributiva del R. presso il Fondo pensioni dipendenti Cariplo pel periodo 1.4.04-31.3.08. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso Intesa Sanpaolo, affidato a cinque motivi, cui resiste il R. con controricorso, poi illustrati con memoria.
CONSIDERATO
CHE:
Con i primi tre motivi la Banca denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115,116,414 c.p.c., in relazione agli artt. 2697 e 432 c.p.c., nonchè art. 112 c.p.c. e art. 2103 c.c. per essere stata condannata al risarcimento del danno alla dignità professionale, non esplicitamente richiesto ed in assenza di allegazioni e prove da parte del lavoratore.
Il motivo è nella sostanza inammissibile perchè diretto ad una rivisitazione delle emergenze istruttorie e della congrua valutazione di esse da parte del giudice di merito, anche sotto il consentito profilo del ricorso a criteri presuntivi (Cass. sez. un. 6572/06 e successiva giurisprudenza, da ultimo Cass. ord. n. 21/19).
Deve poi rilevarsi che spetta al giudice di merito il potere di interpretare la domanda, così come fatto dalla sentenza impugnata che ha nello specifico congruamente ritenuto che la domanda di risarcimento del danno da dequalificazione professionale, specie come in concreto formulata (con riferimento alle circostanze fattuali esposte circa l’evidente demansionamento accertato), comprendesse, nel complesso, anche tale voce di danno non patrimoniale.
2.- Con quarto motivo la Banca denuncia la nullità della sentenza impugnata per avere accolto il ricorso incidentale con riferimento all’asserito diritto del R. alla regolarizzazione della sua posizione individuale presso il Fondo Pensione Cariplo senza rilevare che tale domanda non era stata avanzata nel ricorso ex art. 414 c.p.c.
Il motivo è infondato, risultando dalla sentenza impugnata (pag. 6), sul punto non contestata, che il R. svolse tale domanda col ricorso introduttivo del giudizio, tanto che il Tribunale la dichiarò infondata sulla base del presupposto, non condiviso dai giudici di appello, che la legittimazione passiva apparteneva al Fondo e non alla Banca.
3.- Con quinto motivo la Banca denuncia la violazione dell’art. 1362 c.c. e art. 437 c.p.c. per erronea interpretazione degli atti processuali del R., sempre con riferimento alla sussistenza della domanda inerente la regolarizzazione della sua posizione individuale presso il Fondo Pensione Cariplo.
Il motivo è assorbito da quanto evidenziato sub 2).
4.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e, liquidate come da dispositivo, debbono distrarsi in favore del difensore del R., dichiaratosi anticipante.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a., da distrarsi in favore dell’avv. F. Aiello. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 3 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019
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