Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.23939 del 25/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 204-2017 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NOMENTANA 316, presso lo studio dell’avvocato PIERO FRANCESCHI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, c/o L’AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE, presso lo studio dell’avvocato DORA DE ROSE, rappresentata e difesa dall’avvocato NIVES MURA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 190/2016 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 16/06/2016 R.G.N. 114/2015.

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Cagliari, con sentenza n. 190 del 2016, accoglieva il ricorso proposto da Poste Italiane s.p.a. e, in riforma della sentenza del Tribunale di Oristano, dichiarava la legittimità del provvedimento disciplinare irrogato dalla società al proprio dipendente F.A. con nota del 25 gennaio 2011, corrispondente alla sospensione dal servizio e dalla retribuzione per giorni cinque, e condannava il F. alla restituzione di quanto dalla società corrisposto in esecuzione della sentenza di primo grado, oltre accessori.

2. Poste Italiane s.p.a. aveva ascritto al dipendente di avere divulgato illecitamente atti interni e riservati, in violazione del codice etico in vigore nell’azienda, che impone a ciascun dipendente di improntare il proprio comportamento a principi di onestà, correttezza e trasparenza, nonchè degli obblighi previsti dagli artt. 2104 e 2105 c.c. e dall’art. 54 CCNL luglio 2007.

3. Avverso detta sentenza il F. proponeva ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resisteva con controricorso Poste Italiane.

4. Successivamente, la società depositava copia del verbale di conciliazione in sede sindacale con cui le parti avevano convenuto di porre fine al rapporto di lavoro e ai contenziosi in corso.

5. In prossimità dell’adunanza camerale odierna, i difensori delle parti hanno depositato istanza congiunta, datata 28 giugno 2019, chiedendo che, per effetto del menzionato accordo già versato in atti, fosse dichiarata la cessazione della materia del contendere con compensazione integrale delle spese.

CONSIDERATO

CHE:

1. L’intervenuta conciliazione della lite successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, comportando la sostituzione del nuovo assetto pattizio voluto dalle parti del rapporto controverso alla regolamentazione datane dalla sentenza impugnata, che resta così travolta e caducata, determina la cessazione della materia del contendere.

2. Invero, come di recente chiarito dalle Sezioni Unite della Corte con sentenza n. 8980 del 2018, nel caso in cui nel corso del giudizio di legittimità le parti definiscano la controversia con un accordo convenzionale, la Corte deve dichiarare cessata la materia del contendere, con conseguente venir meno dell’efficacia della sentenza impugnata, non essendo inquadrabile la situazione in una delle tipologie di decisione indicate dall’art. 382 c.p.c., comma 3, artt. 383 e 384 c.p.c. e non potendosi configurare un disinteresse sopravvenuto delle parti per la decisione sul ricorso e, quindi, una inammissibilità sopravvenuta dello stesso.

3. Poichè la situazione che si esamina suppone, naturalmente, che la controversia abbia un oggetto che le parti possono regolare convenzionalmente, il che è quanto accade nella specie, la circostanza che anche in Cassazione il processo in simili casi è dominato dall’interesse delle parti e dal loro potere dispositivo giustifica che la Corte debba rispettare la loro richiesta concorde di dichiarare la controversia definita dall’intervenuto accodo negoziale. Tanto impone, nell’esercizio dei poteri decisionali, di adottare una formula decisoria che realizzi detto interesse e che dunque dia atto della cessazione della materia del contendere per l’intervenuto accordo negoziale. Tale dichiarazione implica necessariamente, proprio perchè la Corte accerta che la controversia è ormai oggetto solo di regolazione convenzionale, la constatazione dell’automatica perdita di efficacia della sentenza impugnata, atteso che le parti, regolando con l’accordo negoziale la vicenda, hanno inteso affidare esclusivamente ad esso la sua disciplina, così rinunciando a valersi di detta efficacia. Il fenomeno che si verifica non è una “cassazione” della sentenza impugnata, bensì l’accertamento che la sua efficacia è venuta meno per effetto dell’accordo negoziale delle parti, perchè con esso le parti ne hanno disposto (cfr. S.U., sent. cit.).

4. Conclusivamente, anche nel caso in esame, il ricorso deve essere definito con la declaratoria della cessazione della materia del contendere, anche per le spese, in forza dell’accordo conciliativo intervenuto fra le parti, con conseguente venir meno dell’efficacia della sentenza impugnata.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1-bis.

5.1. Invero, in tema di impugnazione, il meccanismo sanzionatorio del raddoppio del contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, è applicabile qualora il procedimento per cassazione si concluda con integrale conferma dell’efficacia della statuizione impugnata, cioè con il rigetto dell’impugnazione nel merito, ovvero con la dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità del ricorso, mentre in questo caso l’adottanda declaratoria della cessazione della materia del contendere, pur determinando la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio, accerta il venir meno dell’efficacia della sentenza impugnata in forza di un intervenuto accordo negoziale fra le parti. La predetta misura si applica ai soli casi – tipici – del rigetto dell’impugnazione o della sua declaratoria d’inammissibilità o improcedibilità e, trattandosi di misura eccezionale, lato sensu sanzionatoria, è di stretta interpretazione e non suscettibile, pertanto, di interpretazione estensiva o analogica (cfr. Cass. n. 23175 del 2015). Per la medesima ragione essa non trova applicazione nel caso di declaratoria di cessazione della materia del contendere.

P.Q.M.

La Corte dichiara cessata la materia del contendere con compensazione delle spese.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 11 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019

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